Gran battage per il libro del Papa. Ma la vera partita si gioca a Milano
E’ stato Gianfranco Ravasi, 68 anni, presidente del Pontificio consiglio della cultura, da oggi cardinale, a lanciare ufficialmente la propria candidatura per la diocesi di Milano (ermeneutica della continuità anche questo?). Sarà nel 2011, infatti, che il cardinale Dionigi Tettamanzi andrà in pensione (ah l'anagrafe!!). “Qualcuno la vede come un altro Martini, strappato agli studi e gettato nella mischia di una grande diocesi. Non le chiedo se è vero, ma solo se accetterebbe la sfida”, gli ha domandato Avvenire due giorni fa. Risposta: “Realisticamente si tratta più di un desiderio (o di un timore…) che di una possibilità concreta. La domanda in sé ha però una base di verità: la funzione di un capo dicastero è anche quella di essere uomo di chiesa, dunque pastore, con un campo pastorale. Per questo ogni sabato e domenica, quando sono in sede, accetto incarichi in tutta la periferia di Roma. Impartisco cresime, celebro feste patronali, partecipo a processioni con tanto di banda e fuochi artificiali” (che degnazione!). Come a dire: sono un uomo di cultura ma anche un pastore, uno che sa stare con la gente e la gente sa ascoltare. Un concetto ribadito ieri anche sul Corriere della Sera: “Quando cammino per Milano in molti, anche persone che non conosco, mi salutano, fermandomi, facendo domande. Resta una metropoli con molte potenzialità che però non sono sviluppate pienamente” (aspettan lui....).
La partita per Milano è ufficialmente aperta. E Ravasi, in questa partita, vuole dire la sua. Ravasi piace a Benedetto XVI, che però non lo vede come pastore ma più che altro come teologo importante, erudito e di peso. Non a caso, nel 2007, prima di affidargli il “ministero” della cultura, Ratzinger non diede seguito alla sua candidatura per le diocesi di Assisi e Parma.
Diversamente, sono il Corriere e il mondo milanese che via Solferino da sempre rappresenta a essere pronti a sostenere Ravasi anche affondando i colpi contro suoi eventuali avversari. Ieri, nella stessa edizione che lanciava Ravasi veniva dedicato ampio spazio al libro di Ferruccio Pinotti in uscita da Chiarelettere dedicato a Comunione e liberazione, la “lobby di Dio”, “la parabola di un movimento che si è fatto sistema”. In fondo al pezzo, l’attacco più duro: “L’obiettivo di Cl? Il prossimo Papa e il prossimo premier” (quod Deus avertat!). Ovvero Roberto Formigoni e Angelo Scola, “cardinale e patriarca di Venezia, considerato organico a Cl. L’impossibile è niente per Comunione e liberazione”. Quanto poi a chi il Corriere vedrebbe bene come Papa basta tornare al pezzo-intervista di Ravasi. In fondo al pezzo l’autore dell’intervista, Armando Torno, informa Ravasi della reazione che un milanese doc, Umberto Eco, ha avuto alla notizia di Ravasi cardinale. Dice Eco a Torno: “Se senti Ravasi, ricordagli che tifo per lui. Se diventa Papa, finalmente darò del tu al Pontefice. Per la prima e ultima volta” (Eco pensa di essere eterno...).
Scola è davvero un candidato per Milano? Fonti vaticane sorridono. E dicono al Foglio: “Inverosimile che il patriarca di Venezia, la diocesi che ha portato al papato Angelo Roncalli e Albino Luciani, lasci per Milano” (e per il card. Giuseppe Sarto damnatio memoriae). Anche se sul piano ideologico questa sembra essere la partita: scegliere tra un uomo nato e cresciuto nell’establishment milanese, amato dalla curia, un divulgatore della fede capace di valorizzare l’eredità che fu di Martini, il quale al progetto della “nuova evangelizzazione” wojtyliana contrappose l’idea della “cattedra dei non credenti” – l’apogeo fu nell’estate del 1997 quando, nel momento culminante dei funerali dello stilista Gianni Versace, trasmessi in mondovisione, al centro della cattedrale di Milano c’erano un pianoforte ed Elton John che suonava e cantava “Candle in the Wind” – a un presule legato a Milano ma all’impostazione martiniana alieno. Scola è tutto questo, senz’altro. Milanese (nato a Malgrate) ma cresciuto in Cl. Uomo del dialogo ma d’impostazione balthasariana: l’idea di “communio” contrapposta a quella di “concilium”, il dialogo “extra ecclesiam nulla salus” a quello “extra ecclesiam” tout court. “Dopo la nomina mi hanno scritto molti atei”, ha detto Ravasi a Torno. Chi? “Non facciamo nomi, sarebbero clamorosi. Diciamo soltanto che si possono quantificare in 5.300 e-mail e in un migliaio di lettere tradizionali” (si vantano di ciò di cui dovrebbero aver vergogna..., ci dica quanti ne ha convertiti finora...).
Ma c’è anche una terza ipotesi. E sembra la più verosimile. Nei Sacri Palazzi viene chiamata “ipotesi Schuster”. Alfredo Ildefonso Schuster divenne vescovo di Milano nel 1929. Romano, monaco, abate di San Paolo Fuori le Mura, non aveva nulla che lo legasse alla cattedra di sant’Ambrogio, se non che Pio XI intravide in lui i fasti di Carlo Borromeo, l’arcivescovo che riformò Milano puntando tutto su una nuova leva di sacerdoti. E’ questa figura che il Vaticano vaglia: un outsider, un nuovo Schuster (si, ma dove lo trovano???).