Il paradosso di un concilio che intendeva rendere la Chiesa più "pastorale", più vicina alle anime del "Popolo di Dio" e alla loro sensibilità, e invece lha impregnata di clericalismo.
Editoriale
di don Davide Pagliarani
Carissimi lettori,
Ci sembra interessante riflettere su un male che, negli stereotipi più comuni forgiati dalla Rivoluzione, viene sistematicamente attribuito alla Chiesa del passato quasi ne fosse una nota connaturale:il clericalismo.
Questo termine indica una certa tendenza propria agli uomini di Chiesa ad impicciarsi di ciò che non li riguarda, mettendo il naso in quegli ambiti che non sono di loro diretta competenza, a cominciare dalla politica e da tutto ciò che ha profumo di potere.
Risulta piuttosto facile trovare pretesti per incolpare la Chiesa del passato attraverso questa accusa e soprattutto tale critica si rivela estremamente funzionale alla legittimazione di tutte le rivoluzioni, sia di quella liberale che di quella iniziata con il Concilio Vaticano II: entrambe avrebbero contribuito a “purificare” la Chiesa rendendola più libera e leggera, finalmente capace di predicare il Vangelo e solo il Vangelo, con uno spirito realmente evangelico e quindi capace di consacrarsi ad una missione autenticamente spirituale.
A noi sembra che in realtà il Concilio abbia dato un contributo originale e insostituibile nel “clericalizzare” la Chiesa universale, nel senso che esso ha posto le premesse per obbligare la Chiesa ad occuparsi del mondo, dei suoi problemi terreni, delle sue ansie intramondane, attraverso un nuovo baricentro che è l’uomo come tale, nel suo essere concreto e storico. La prospettiva non è più quella tradizionale che cercava in Dio, nell’eternità, nel soprannaturale, nelle verità immutabili della fede degli archetipi per plasmare e correggere in qualche modo il divenire storico; ora è stato riconosciuto all’uomo il posto centrale e la soluzione ai suoi problemi è immanente all’uomo stesso: quindi essa va ricercata studiando l’uomo, valorizzando al massimo tutto ciò che è e che fa, interessandosi alla società umana in modo nuovo ed esauriente.
Di conseguenza gli uomini di Chiesa al passo con i tempi - ma non più con la loro missione - sono esperti di ambiente, legalità, democrazia, libertà, lavoro, immigrati, giustizia sociale, surriscaldamento del pianeta, raccolta differenziata, risparmio energetico, sicurezza stradale, etc…
Troviamo qui un’applicazione del concetto equivoco di “pastoralità” sul quale è stato costruito il Concilio, funzionale a canalizzare la missione della Chiesa in una dimensione intramondana che ha per oggetto l’uomo e si esaurisce nell’uomo: questo ruolo nuovo coincide con una sorta di promozione umana che non ha più per oggetto i fedeli battezzati, ma in qualche modo l’umanità intera come tale, nei confronti della quale la Chiesa ha una missione nuova che non coincide più con quella tradizionale.[1]
Soprattutto - e questo è l’aspetto più grave - si tratta di una prospettiva che in ultima analisi rinuncia agli strumenti soprannaturali quali i sacramenti, la vita spirituale, la santificazione personale, i concetti di grazia e di peccato, etc., per affidarsi solo a risorse puramente umane, quali le doti manageriali o l’abilità diplomatica. Il tutto ovviamente condito con le iniziative pastorali più originali, eccentriche, creative e apparentemente produttive. È giocoforza che in questa prospettiva il valore dei contatti col mondo politico e con il dio danaro rischiano di acquisire un’importanza disproporzionata, a causa della sostanziale assenza dell’elemento soprannaturale.
Notiamo inoltre che più si fanno propri i canoni e il metro del mondo per salvare il mondo, più ci si esprime in un modo e attraverso temi e figure consoni alla sensibilità del mondo: di conseguenza la Chiesa, pur godendo di un’apparente libertà, in realtà si ritrova oggi vincolata ad affermare ciò che il mondo vuole sentire e ad evitare ciò che potrebbe dare fastidio; si tratta certamente di una tentazione sempre esistita ma che nel passato era quantomeno arginata dall’antinomia mondo-chiesa che il Concilio ha voluto abbattere.
Ebbene questa prospettiva è eminentemente clericale: gli uomini di Chiesa di oggi si occupano di tutto, si pronunciano su tutto, mettendo spesso il naso in questioni che non li riguardano direttamente e per le quali non hanno competenze specifiche, né, soprattutto, le grazie di stato.
Questo neoclericalismo è la cifra più significativa della crisi del sacerdozio e l’indice più evidente del malessere di un clero che non sa più che cosa sia la Chiesa e perché esista.
La prima conseguenza è il necessario discredito della Chiesa, trascinata in un terreno che non è il suo: infatti ci sarà sempre qualche uomo di mondo che conosce i problemi del mondo meglio di chi, per vocazione, dovrebbe occuparsi di altro.
In secondo luogo la “nuova missione” sul mondo necessariamente non può armonizzarsi con quella tradizionale di salvare le anime e questo per un motivo molto semplice: è impossibile lavorare a questo nobile fine se lo spirito si occupa anche di altro, in quanto questo fine è raggiungibile solo se la consacrazione ad esso è totale.
La Chiesa non ha bisogno di preti né di vescovi che parlino di inquinamento o di promozione umana e che si impiccino di tutti i più disparati fatti e problemi di cronaca.
Quei preti non servono la Chiesa e non servono alla Chiesa.
La Chiesa ha bisogno di preti che parlino di Cristo crocifisso - e solo di Cristo crocifisso - scandalo per gli ebrei e follia per i gentili.
Vogliamo una Chiesa che parli ancora di Cristo Re, della Sua Divinità, dei Suoi diritti; una Chiesa che condanni l’errore e che insegni la Verità; una Chiesa che rincominci a parlare di Passione, di Piaghe, di Sangue, di Croce, di Sacrificio Propiziatorio, di santità, di grazia, di preghiera, di penitenza, di digiuno, di adorazione, di paradiso e di inferno; una Chiesa che lasci il mondo occuparsi delle sue insignificanti bagatelle e che lasci una volta per tutte i morti seppellire i morti.
È solo di questa predicazione che l’uomo ha bisogno, soprattutto oggi, e solo questa predicazione lo può ancora salvare; è solo per questa predicazione che Nostro Signore ha fondato la Sua Chiesa.
[1] È evidente che il Concilio ha inaugurato un nuovo modo di rapportarsi con il mondo, forzando la Chiesa ad occuparsi di tematiche e di problemi che non le competono direttamente. Anche sotto questo profilo esiste una perfetta continuità fra Concilio e Postconcilio. Emblematica in questo senso è la Costituzione pastorale “Gaudium et Spes”, la quale intende rivolgersi a tutti gli uomini indistintamente, anche a quelli che non invocano il nome di Cristo. Ebbene tale Costituzione tocca tutti i punti possibili e immaginabili scendendo in considerazioni varie e disparate sullo sciopero, sull’associazionismo sindacale, sul tempo libero, sugli investimenti, sulla moneta, sul problema del latifondo, etc…
da La Tradizione Cattolica - n°76 (2010 n°3)