lunedì 31 gennaio 2011

non si può promuovere questo sincretismo e poi avvertire che bisognerà badare a evitare il sincretismo


Pubblichiamo un articolo dell'abbé Paul Aulegnier, uno dei fondatori dell'Istituto del Buon Pastore, a proposito della convocazione delle religioni del mondo ad Assisi, annunciata da Benedetto XVI per il prossimo ottobre.
L'articolo è stato pubblicato sul sito dello stesso abbé Aulagnier, nella sezione “regards sur le monde”, il 18 gennaio 2011

Perché il 27 ottobre 2011 non dobbiamo «commemorare questo gesto storico» di Assisi 1986


Il 1 gennaio 2011, in occasione della preghiera dell’Angelus, il Papa Benedetto XVI ha annunciato la sua intenzione di rinnovare la cerimonia interreligiosa di Assisi del 27 ottobre 1986:

«nel prossimo mese di ottobre, mi recherò pellegrino nella città di san Francesco, invitando ad unirsi a questo cammino i fratelli cristiani delle diverse confessioni, gli esponenti delle tradizioni religiose del mondo e, idealmente, tutti gli uomini di buona volontà, allo scopo di fare memoria di quel gesto storico voluto dal mio Predecessore e di rinnovare solennemente l’impegno dei credenti di ogni religione a vivere la propria fede religiosa come servizio per la causa della pace».

Lo aveva già annunciato nel suo messaggio per la Pace per l’anno 2011, dal titolo: Libertà religiosa, via per la pace.

Egli scriveva: «Nel 2011 ricorre il 25° anniversario della Giornata mondiale di preghiera per la pace, convocata ad Assisi nel 1986 dal Venerabile Giovanni Paolo II. In quell’occasione i leader delle grandi religioni del mondo hanno testimoniato come la religione sia un fattore di unione e di pace, e non di divisione e di conflitto. Il ricordo di quell’esperienza è un motivo di speranza per un futuro in cui tutti i credenti si sentano e si rendano autenticamente operatori di giustizia e di pace».

Si sa tuttavia che il Papa Benedetto XVI, allora ancora cardinale, non volle assistere a questa «Giornata mondiale di preghiera per la pace», a causa del rischio di sincretismo in una simile giornata. Così come, da quando è assiso sul soglio di Pietro, in due occasioni ha voluto apportare delle precisazioni su questa giornata, forse in vista dell’anniversario.

In un messaggio indirizzato al vescovo di Assisi, il 2 settembre 2006, egli scriveva: «Per non equivocare sul senso di quanto, nel 1986, Giovanni Paolo II volle realizzare, e che, con una sua stessa espressione, si suole qualificare come “spirito di Assisi”, è importante non dimenticare l’attenzione che allora fu posta perché l’incontro interreligioso di preghiera non si prestasse ad interpretazioni sincretistiche, fondate su una concezione relativistica. […] Perciò, anche quando ci si ritrova insieme a pregare per la pace, occorre che la preghiera si svolga secondo quei cammini distinti che sono propri delle varie religioni. Fu questa la scelta del 1986, e tale scelta non può non restare valida anche oggi. La convergenza dei diversi non deve dare l'impressione di un cedimento a quel relativismo che nega il senso stesso della verità e la possibilità di attingerla».

Ma, semplice appunto, non ha pregato lui stesso con i giudei e i rabbini della sinagoga di Roma in occasione della sua ultima visita?

Una cosa sono le parole, altra cosa gli atti.

E in visita ad Assisi, il 17 giugno 2007, il Papa ha dichiarato nuovamente nella sua omelia: « La scelta di celebrare quell’incontro ad Assisi era suggerita proprio dalla testimonianza di Francesco come uomo di pace, al quale tanti guardano con simpatia anche da altre posizioni culturali e religiose. Al tempo stesso, la luce del Poverello su quell’iniziativa era una garanzia di autenticità cristiana, giacché la sua vita e il suo messaggio poggiano così visibilmente sulla scelta di Cristo, da respingere a priori qualunque tentazione di indifferentismo religioso, che nulla avrebbe a che vedere con l’autentico dialogo interreligioso. […] Non potrebbe essere atteggiamento evangelico, né francescano, il non riuscire a coniugare l’accoglienza, il dialogo e il rispetto per tutti con la certezza di fede che ogni cristiano, al pari del Santo di Assisi, è tenuto a coltivare, annunciando Cristo come via, verità e vita dell’uomo, unico Salvatore del mondo».

Le intenzioni di Benedetto XVI sono certamente chiare e oneste… ma esse non possono impedire, de jure, il rischio di sincretismo, di relativismo e di indifferentismo. Come dice molto bene Romano Amerio, nel suo libro “Stat Veritas”: «Questo è puro parlato:… non si può promuovere questo sincretismo e poi avvertire che bisognerà badare a evitare il sincretismo» (Chiosa 51).

Non è neanche perché questa riunione si svolge ad Assisi, in cui il Poverello ha impresso il suo marchio del dono di sé a Cristo, che ad essa, di per sé, si può assicurare una corretta ortodossia. Si può essergli infedeli.

Di più, il 27 ottobre 1986, con Giovanni Paolo II, forse si voluto stare attenti «perché l’incontro interreligioso di preghiera non si prestasse ad interpretazioni sincretistiche» avendo cura « che la preghiera si svolga secondo quei cammini distinti che sono propri delle varie religioni». Desiderio sincero, certo, ma che non fu e non poteva essere realizzato, tanto che si può parlare, a giusto titolo, della giornata pancristiana di Assisi o dell’«illusione pancristiana di Assisi».

In effetti, ad Assisi, il 27 ottobre 1986, i cattolici non hanno pregato, al pari dei «rappresentanti delle altre religioni», per conto loro, come lascia intendere Benedetto XVI, secondo i propri riti e nella piena «espressione della propria fede», ma si sono riuniti in «preghiera ecumenica» con i «rappresentanti delle confessioni e delle comunità cristiane» nella cattedrale di San Rufino. Cosa chiaramente riportata da L’Osservatore Romano del 27/28 ottobre 1986. Là il Papa, spogliatosi di ogni insegna del suo primato, diede il via, sempre nella sua qualità di ospite – ciò che sarà Benedetto XVI il prossimo 27 ottobre – ad una celebrazione tipicamente protestante con lettura di passi della Bibbia, frammisti a canti, e conclusi dalla «preghiera universale», quella «di tutta la Chiesa». Testimonianza, questa, che si ritrova a pagina 3 del citato numero de L'Osservatore Romano.

Il saluto indirizzato all’assemblea, letto dall’«ospite», Giovanni Paolo II, ha parlato senza dubbio di «serie questioni che ancora ci dividono », ma ha anche detto che «il nostro presente grado di unità in Cristo è nondimeno un segno per il mondo che Gesù Cristo è veramente il principe della pace». Meglio ancora, ha concluso auspicando che la preghiera : « deve farci crescere nel rispetto degli uni verso gli altri come esseri umani, come Chiese e comunità ecclesiali» (Discorso ai rappresentanti delle confessioni e delle comunità cristiane, Cattedrale di San Rufino, 27 ottobre1986; vedi anche L’Osservatore Romano del 27/28 ottobre 1986).

Nessun’altra distinzione, se non quella imposta dal suo ruolo di «ospite che invita», è stata riconosciuta al Papa dal cerimoniale ecumenico. Cosa che scandalizzò talmente Mons. Lefebvre che vide in questo un’ingiuria al Vicario di Cristo. E perfino la preghiera finale dei «pancristiani», sulla piazza della Basilica inferiore di San Francesco è stata iniziata da una donna «pastore», mentre il Papa era solo quarto «tra tanti saggi».

A rincarare la dose, l’indomani dell’«incontro di Assisi», il cardinale Etchegaray dichiarava: «Per me la preghiera della Chiesa cristiana nella cattedrale di San Rufino è stata il momento, il tempo forte di tutta la giornata… La qualità e l’intensità di questa preghiera era tale che tutti sembravano illuminati come da una nuova comune effusione dello Spirito Santo». È così che egli si è «ridicolmente e sentimentalmente» espresso sul quotidiano Avvenire del 2 novembre 1986. E occorre ricordare che egli fu il grande organizzatore della giornata di Assisi.

Gioco forza si è costretti a riconoscere che nella Babele di Assisi i cardinali e lo stesso Papa hanno rappresentato di fatto, non la Chiesa cattolica, ma la «Chiesa cristiana» che comprende i non cattolici.

E chi erano quelli che componevano questa «Chiesa cristiana» che secondo il cardinale Etchegaray avrebbe avuto la sua Pentecoste ad Assisi? Le «diverse Chiese e confessioni che hanno Cristo per fondamento», ci dice L’Osservatore Romano del 27/28 ottobre 1986. In pratica: la Chiesa ortodossa, le «Chiese» riformate e la Chiesa cattolica. Evidentemente questa «Chiesa cristiana» non era la Chiesa cattolica, ma una super-chiesa che supera ed include la Chiesa cattolica stessa, al pari delle altre sedicenti «Chiese».

Che ecclesiologia!

In effetti, la preghiera della «Chiesa cristiana» ad Assisi non è stata quella della Chiesa cattolica, la cui fede si esprime pienamente nella Santa Messa, «sacrificio vero e autentico», come insegna il Concilio di Trento al contrario degli autori di queste «confessioni e comunità cristiane» riuniti con i cattolici a San Rufino. Il rito della Nuova Messa è stato celebrato il 27 ottobre di buon mattino, dal Papa, Giovanni Paolo II, a Perugia, prima di essere condotto ad Assisi, dove il cerimoniale lo ha ecumenicamente confuso con i suoi «fratelli separati» - e questo Benedetto XVI, malgrado la sua intenzione, non potrà fisicamente evitarlo – per pregare con loro «ecumenicamente» e «senza trionfalismo», spogliato della dignità di Vicario di Cristo, dimentico che la Chiesa cattolica è tutt’uno con Cristo che deve regnare eternamente su tutte le cose, tutti i beni, tutti gli esseri. Questo gli deriva di diritto divino. Ma questo non potrà essere confessato dal Papa. Eppure è la sua funzione!

Ma c’è di più, ad Assisi la Chiesa cattolica è stata messa, non al livello delle false religioni, che si dicano cristiane o no, ma al di sotto di esse. Si è ricordato al cardinale Etchegaray che è stato permesso a tutti di «esprimersi nella pienezza della propria fede» (DC del 7/21 settembre 1986), ma questo non è stato permesso ai cattolici; «che la preghiera di ciascuno è stata rispettata», ma quella dei cattolici non lo è stata. E quando, mettendo in moto il carosello finale sulla piazza bassa di San Francesco, si è trionfalmente dichiarato: «Ci siamo riuniti in piena fedeltà alle nostre tradizioni religiose, profondamente coscienti dell’identità di ciascuno dei nostri impegni della fede» (O. R., cit., p. 4), questo era vero per tutti salvo che per i cattolici, né per la loro preghiera, né per il loro Pontefice, Lui, che è pur sempre il Vicario di Cristo…

Infine, mentre era stato previsto con gran cura che i rappresentanti delle false religioni si riunissero, secondo il loro desiderio, «insieme per pregare, ma senza pregare insieme» (Radio Vaticana), i rappresentanti ufficiali dell’unica vera religione hanno pregato unendosi ai rappresentanti delle false religioni sedicenti cristiane.

La pratica pancristiana di Assisi basta a dimostrare, tra l’altro, che vent’anni di falso ecumenismo sono bastati perché tra i cattolici, a cominciare dalla gerarchia, prendesse piede l’indifferentismo pancristiano. Oggi tutto appare legittimo.

Per tutte queste ragioni, la «giornata di Assisi» non può essere né rinnovata né commemorata; essa non è «commemorabile»; essa non è degna della Chiesa cattolica, essa è «spregevole».