Habemus Papam. Il fumo di satana e l’uomo di Dio
«L’eco di quella celebrazione, pur tanto discreta, si diffuse rapidamente, e con un crescendo impressionante: dal Vaticano raggiunse i vari dicasteri ecclesiastici di Roma; da Roma raggiunse e ferì ai quattro punti cardinali dell’orbe terracqueo, tutti i prelati più rinomati, che di fronte a tanta audacia integrista e retrograda, impallidirono di santo sdegno.
Quel papuncolo [ovvero… Pio XIV, il protagonista “restauratore della Chiesa”] di transizione aveva osato celebrare, e in pubblico, la Messa pre-riforma, la Messa d’altri tempi, la Messa quale era stata celebrata da san Clemente a Roma e poi in esilio nel Chersoneso; quale era stata celebrata da sant’Ireneo a Smirne e poi da lui diffusa in missione tra i Celti delle Gallie; la Messa quale era stata celebrata dai santi dottori Agostino e Gerolamo in Asia e in Africa; la Messa che san Leone Magno, a Natale, celebrava tre volte; la Messa adornata di nuovi canti da san Gregorio Magno, come già aveva fatto sant’Ambrogio; la Messa quale era stata diffusa tra i pagani convertiti dell’Irlanda, dell’Inghilterra e della Germania dagli apostoli Agostino e Patrizio, e dal santo martire Bonifazio; quella Messa, quale era stata amata, desiderata e devotamente celebrata dai santi Bernardo e Bonaventura, ed arricchita di cantici immortali da san Tommaso d’Aquino; quella Messa che aveva ispirato cento polifonie, tra le quali la Missa brevis a Pier Luigi da Palestrina, e la Missa solemnis a Ludwig Beethoven; quella Messa che dopo Cristoforo Colombo si era diffusa nel lontano Occidente, e con san Francesco Saverio fino all’Oriente più estremo; la Messa per la quale aveva imporporata la porpora di cardinale con il proprio sangue Giovanni Fisher, vescovo di Rochester, e per la quale erano morti i Martiri inglesi a decine, a centinaia, a migliaia; la Messa delle estasi di santa Caterina da Siena e di santa Teresa d’Avila; la Messa di san Giovanni della Croce e di santa Margherita Maria Alacoque; la Messa insomma di tutti i Santi, di tutti i Martiri, di tutti i Confessori, di tutte le sante Vergini finora canonizzati. Che orrore, che scandalo! Quel papuncolo aveva osato tanto!» (pp. 223-224).
È uno dei tanti passaggi belli, graffianti e ad un tempo commoventi che si trovano nel romanzo storico-utopico del grande sacerdote e teologo salesiano, don Giuseppe Pace (1911-2000) (Habemus Papam. Il fumo di satana e l’uomo di Dio, Fede e Cultura, Verona 2011, pp. 485, euro 24).
Il romanzo fu scritto, evidentemente, dopo lo sbandamento dottrinale, morale e liturgico che ha seguito, pedissequamente, il Concilio Vaticano II e la sua generale applicazione. Nella prefazione, gli ottimi Mario Palmaro e Alessandro Gnocchi rivelano che fu l’associazione Una Voce di Torino che, tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli ottanta, stampò il romanzo in edizione extracommerciale con il titolo di Pio XIV. «L’autore […] scelse di usare lo pseudonimo di Walter Martin» (p. 7). In una breve Nota storica introduttiva, Carlo Raselli, che fu vicino al salesiano, ricorda che don Pace, scrittore di vaglia e polemista, negli anni ’70 «continuava a celebrare la Santa Messa di rito antico (…) e, quando accanto a Una Voce apparve il piccolo periodico “Notizie”, ne divenne il principale collaboratore con lo pseudonimo di Fra Galdino da Pescarenico.
I suoi articoli sulla difesa della Tradizione e della Santa Messa erano di grande conforto per i fedeli» (pp. 9-10). Il cuore del romanzo, che raccomandiamo ai lettori, consiste nell’opera di ripresa della fede e della disciplina in una Chiesa che sembrava (ma non era) abbandonata e desolata dallo Spirito Santo. Si tratta di un testo scorrevole, godibile e nutriente dal punto di vista spirituale. Chi lo leggerà con passione si appassionerà anche alla santa intrapresa di Pio XIV e cercherà poi di trasformare il romanzo in storia e, Deo adiuvante, in storia contemporanea
da Corrispondenza romana del 23 giugno 2011
Non tutti sanno che fu scritto anche il seguito della storia che continua con Pio XV e giunge fino al martirio. Si tratta di un altro piccolo capolavoro: fu pubblicato con il titolo scialbo di "Dopo Paolo VI, il Papa dalla coda di paglia": se Fede e Cultura pubblicherà il seguito come ci auguriamo scoprirete che il Papa dalla coda di paglia non è Paolo VI, come si sarebbe indotti a credere, ma Pio XV e scoprirete anche il perché....