giovedì 27 ottobre 2011

Primatus est ad aedificationem non ad destructionem Ecclesiae (Roberto Grossatesta)

Leggiamo sul numero 1 (78) del 2011 de "La Tradizione catolica" quest'interessante articolo che pubblichiamo oggi mentre si sta svolgendo la Giornata interreligiosa di Assisi.



Assisi 1986-2011: la continuità evolutiva” di un errore

Perché non si possono accettare
Assisi e ciò che rappresenta


Invitare i rappresentanti delle false religioni ad Assisi per promuovere il loro impegno religioso per la pace, è un implicito riconoscimento della accettabilità da parte di Dio dei loro falsi culti. Tali riunioni oltraggiano Dio e creano turbamento e confusione nei fedeli. «Pertanto nella misura in cui ad Assisi accadesse sostanzialmente ciò che è accaduto 25 anni fa non possiamo che reiterare il nostro nullam partem negli stessi termini utilizzati in quell’occasione».

L’invito di Benedetto XVI a partecipare ad una nuova edizione dell’incontro interreligioso per la pace di Assisi, a venticinque anni dalla sua prima edizione (1986), presenta, con quel nefasto evento, pericolose analogie, sia pure in presenza di maggiori accortezze. È evidente che, malgrado tali probabili accortezze,

ottobre 2011 è innanzitutto una data-anniversario e, come tale, rievoca e celebra, inevitabilmente, ciò che ottobre 1986 ha significato nella storia del post-concilio. Per ribadire – in un momento per certi aspetti diverso da quello di allora - la costanza della nostra opposizione a tutto ciò che possa suonare come avallo del relativismo e del sincretismo religioso, tante volte condannato dallo stesso Benedetto XVI, riproponiamo ai nostri lettori un articolo, dal titolo «ASSISI. Criteri teologici per condannare la giornata mondiale di Preghiera per la Pace», apparso sulla rivista «sì sì no no» proprio nell’ottobre 1986.


È stato detto, con precisione certamente involontaria, che «l’incontro di preghiera» di Assisi è un’«iniziativa personale» di Giovanni Paolo II. In quanto iniziativa “personale” - un’uscita, per intenderci - essa non impegna minimamente il suo mandato di «pastore e maestro di tutti i Cristiani» e neppure attiene alla dottrina, uniformandosi al tema, politico, proposto dall’ONU per questo 1986 proclamato «anno internazionale della pace».

Tuttavia l’iniziativa, in sé e nelle sue implicazioni, appare oltremodo pericolosa per la retta coscienza dei fedeli cattolici. È quel che qui di seguito rileveremo. Il 27 ottobre p.v., dietro invito di Giovanni Paolo II, converranno in Assisi, oltre ai cattolici, «i rappresentanti delle altre religioni del mondo» per «un incontro di preghiera per la pace» .

Coloro che Giovanni Paolo II ha chiamato «rappresentanti delle altre religioni» sono stati sempre più propriamente chiamati dalla Chiesa «infedeli»: «in un senso più generale sono infedeli tutti quelli che non hanno la vera fede; in senso proprio gli infedeli sono i non battezzati e si distinguono in monoteisti (ebrei e maomettani), politeisti (indù, buddisti ecc) ed atei» . E quelle che Giovanni Paolo II ha chiamato «altre religioni» sono state sempre più propriamente chiamate dalla Chiesa «false religioni»: è falsa ogni religione non cristiana «in quanto non è la religione che Dio ha rivelato e vuole praticata. Anzi, è falsa anche ogni setta cristiana non cattolica, in quanto non accetta e non attua fedelmente tutto il contenuto della Rivelazione» .

Premesso ciò, l’«incontro di preghiera» di Assisi, alla luce della Fede cattolica, non può che essere valutato:

1. Un’ingiuria a Dio.

2. Una negazione dell’universale necessità della Redenzione.

3. Una mancanza di giustizia e di carità verso gli infedeli.

4. Un pericolo e uno scandalo per i cattolici.

5. Un tradimento della missione della Chiesa di Pietro.

Ingiuria a Dio

La preghiera, anche di supplica o petizione, è un atto di culto . In quanto tale, deve essere rivolta a Chi
è dovuta e nel modo dovuto.
A chi è dovuta: all’unico vero Dio, Creatore e Signore di tutti gli uomini, al quale il Signore Nostro Gesù Cristo li ha richiamati , consacrando il primo precetto della Legge: «Io sono il Signore tuo Dio […] Non avrai altri dei all’infuori di Me […] non li adorerai né li servirai» .

Nel modo dovuto: corrispondente, cioè, alla pienezza della Rivelazione divina, senza mescolanza di errori: «Viene l’ora, ed è questa, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; ché tali sono appunto gli adoratori che il Padre vuole». La preghiera diretta a false divinità, o animata da opinioni religiose contrastanti in tutto o in parte con la Divina Rivelazione, non è un atto di culto, ma di superstizione, non onora Dio, ma Lo offende, oggettivamente almeno, è un peccato contro il primo comandamento.

Chi pregheranno i convenuti in Assisi e in che modo? Invitati in veste ufficiale di «rappresentanti delle altre religioni», «pregheranno ciascuno nella maniera e nello stile che gli è proprio». Lo ha spiegato il Card. Willebrands, Presidente del Segretariato per i non cristiani. Lo ha confermato il 27 giugno u.s. il Card. Etchegaray in una conferenza stampa pubblicata da «La Documentation Catholique» 7/21 settembre 1986 nella rubrica «Actes du Saint Siege»: «Si tratta di rispettare la preghiera di ciascuno, di permettere a ciascuno di esprimersi nella pienezza della sua fede, della sua credenza».

In Assisi, dunque, il 27 ottobre la superstizione sarà largamente praticata e nelle sue specie più gravi: dal “culto falso” degli Ebrei, che, nell’era della grazia pretendono di onorare Dio negando il Suo Cristo, all’idolatria degli induisti e dei buddisti, che rendono culto alla creatura invece che al Creatore.

L’approvazione, quanto meno esterna, della gerarchia cattolica è sommamente ingiuriosa per Dio, supponendo e lasciando supporre che Egli possa riguardare con occhio ugualmente benigno tanto un atto di culto, che di superstizione, tanto una manifestazione di Fede che d’incredulità, tanto la vera religione che le false; in breve: tanto la verità che l’errore.

Negazione dell’universale necessità della Redenzione

C’è un unico Mediatore tra Dio e gli uomini: Gesù Nostro Signore, Figlio di Dio e vero uomo. Gli uomini, per natura, sono «filii irae»; per mezzo di Lui, invece, sono riconciliati col Padre e solo per la Fede in Lui possono avere l’ardire di accostarsi a Dio con tutta confidenza. A Lui è stato dato ogni potere in cielo e in terra e nel Suo nome ogni ginocchio deve piegarsi in Cielo, sulla terra e negli inferi.

Nessuno va al Padre se non per mezzo di Lui e non c’è nessun altro Nome sotto il Cielo nel quale l’uomo possa salvarsi. Egli è la Luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo  e chi non Lo segue cammina nelle tenebre. Chi non è per Lui è contro di Lui e chi non Lo onora oltraggia anche il Padre che Lo ha inviato (come fanno precisamente gli Ebrei). A Lui il Padre ha rimesso il giudizio degli uomini; anzi chi crede in Lui non è giudicato, ma chi non crede è già stato giudicato, perché non ha creduto nel nome dell’Unigenito Figlio di Dio. Lui e il Padre che lo ha mandato.

Egli, inoltre, è il Principe della Pace, essendo le divisioni, i conflitti, le guerre amaro frutto del peccato, dal quale, l’uomo si libera non per virtù propria, ma in virtù del Sangue del Redentore.

Che parte avrà Nostro Signore Gesù Cristo in Assisi nella preghiera dei «rappresentanti delle altre religioni » non cristiane? Nessuna, rimanendo per loro o un’incognita, o pietra d’inciampo, segno di contraddizione.

L’invito, dunque, rivolto loro a pregare per la pace del mondo suppone ed inevitabilmente lascia supporre che ci sono uomini - i cristiani - che debbono accedere a Dio per mezzo di Nostro Signore Gesù Cristo e nel Suo Nome, ed altri – il resto del genere umano – che possono accedere a Dio direttamente e in nome proprio prescindendo dal Mediatore; uomini che debbono piegare le ginocchia dinanzi a Nostro Signore Gesù Cristo, ed altri che ne sono esentati; uomini, che debbono cercare la pace nel regno di Nostro Signore Gesù Cristo, ed altri, che possono ottenere la pace fuori del Suo regno ed anche opponendosi ad esso. È quel che d’altronde si desume anche dalle dichiarazioni dei succitati cardinali: «Se per noi cristiani è Cristo la nostra pace, per tutti i credenti la pace è un dono di Dio»; «Per i cristiani la preghiera passa per il Cristo». «L’incontro di preghiera» di Assisi, dunque, è la negazione pubblica dell’universale necessità della Redenzione.


Mancanza di giustizia e di carità verso gli infedeli

«Gesù Cristo non è facoltativo» (Card. Pie). Non ci sono uomini che sono giustificati per la Fede in Lui ed altri che sono giustificati prescindendo da Lui: ogni uomo o si salva in Cristo, o si perde senza Cristo. Né ci sono fini ultimi naturali, per i quali l’uomo possa optare in alternativa al suo unico fine soprannaturale: se, sviato com’è dal peccato, non trova in Cristo la Via per conseguire il fine per il quale è stato creato, non gli resta che l’eterna rovina.

La vera Fede, non la “buona fede”, dunque, è la condizione soggettiva di salvezza per tutti, anche per i pagani: essendo necessaria di necessità di mezzo «in mancanza di essa (anche se incolpevole), è assolutamente impossibile di operare la salute eterna (Eb 11, 6)».

L’infedeltà volontaria – spiega san Tommaso – è una colpa e l’infedeltà involontaria è castigo. Gli infedeli, infatti, che non si perdono per il peccato d’incredulità, cioè per il peccato di non aver creduto in Cristo, del quale mai nulla seppero, si perdono per gli altri peccati, che non possono venir rimessi a nessuno senza la vera Fede.

Nulla, dunque, è più importante per l’uomo dell’accettazione del Redentore e dell’unione col Mediatore: è questione di vita o di morte eterna. È questo che gli infedeli hanno il diritto  di sentirsi annunciare dalla Chiesa cattolica conforme al comando divino. Ed è questo che ha sempre annunciato agli infedeli la Chiesa cattolica, pregando, non con loro, ma per loro.

Che accadrà ad Assisi? Non si pregherà per gli infedeli, presumendoli così implicitamente e pubblicamente non più bisognosi della vera Fede. Si pregherà, invece, insieme con loro o, secondo la sottigliezza rabbinica della Radio Vaticana, si starà insieme con loro per pregare, presumendo così implicitamente e pubblicamente che la preghiera dettata dall’errore è accetta a Dio quanto la preghiera «in spirito e verità» . «Si tratta di rispettare la preghiera di ciascuno» ha spiegato il Card. Etchegaray nella succitata dichiarazione.

Il che significa che gli infedeli, che converranno in Assisi e che – si badi bene – non sono quei «nutriti in silvis», che «mai nulla seppero della fede», di cui ipotizzano i teologi quando dibattono il problema della salvezza degli infedeli, saranno “rispettosamente” lasciati «nelle tenebre e nell’ombra di morte».

Autorizzati a pregare in veste di «rappresentanti delle altre religioni» e secondo le loro erronee credenze religiose, essi sono anzi incoraggiati a perseverare in peccati, quanto meno materiali, contro la Fede (infedeltà, eresia, etc.). Invitati a pregare per la pace nel mondo, definita un «bene fondamentale», «supremo», sono dirottati dai beni eterni verso un bene temporale, verso un fine secondario naturale, quasi non avessero un fine ultimo soprannaturale, esso sì, fondamentale e supremo, da conseguire: «Cercate il Regno di Dio e la sua giustizia e il resto vi sarà dato in sovrappiù». Per tutto ciò l’«incontro di preghiera» di Assisi, è una mancanza, quanto meno esterna, di giustizia e di carità verso gli infedeli.

Pericolo e scandalo per i cattolici

 La vera Fede è indispensabile alla salvezza. I cattolici, pertanto, hanno il dovere di evitare ogni pericolo prossimo per la Fede. Tra i pericoli esterni c’è il contatto, non giustificato da vera necessità, con gli infedeli. Tale contatto è illecito per diritto naturale e divino, ancor prima che per diritto ecclesiastico ed anche quando il diritto ecclesiastico non lo proibisce (ad esempio nella vita civile): «Haereticum hominem devita - Evita l’uomo eretico».

La Chiesa, poi, nella sua materna premura, ha sempre proibito tutto ciò che potesse essere per i cattolici non solo un pericolo per la Fede, ma anche un motivo di scandalo.

Quanto alle false religioni, la Chiesa ha sempre negato loro il diritto al culto pubblico; le ha tollerate, se necessario, ma la tolleranza «dice sempre ordine ad male da permettere per una qualche ragione proporzionata»; in ogni caso ha sempre evitato e proibito tutto ciò che includesse una qualche approvazione esterna dei riti acattolici.

Che cosa accadrà ad Assisi? I cattolici e gli infedeli vi «saranno insieme per pregare» (anche se «non per pregare insieme», secondo l’indegno giochetto di parole di cui sopra).

Il che vuol dire semplicemente che pregheranno insieme ad Assisi, ma da sedi separate e sempre insieme, ma a turno, nella cerimonia conclusiva nella Basilica Superiore di San Francesco. E ciò non per tutelare la Fede dei cattolici o per evitarne almeno lo scandalo.

Bensì perché si possa pregare «ciascuno nella maniera e nello stile che gli è proprio», per «rispettare la preghiera di ciascuno» e «permettere a ciascuno di esprimersi nella pienezza della sua fede, della sua credenza». Il che comporta l’approvazione almeno esterna 1) di quei falsi culti, ai quali la Chiesa cattolica ha sempre negato ogni diritto; 2) di quel soggettivismo religioso, che essa ha sempre condannato sotto il nome di indifferentismo o latitudinarismo e che «cerca di giustificarsi con le pretese esigenze della libertà, misconoscendo i diritti della verità oggettiva, che ci si manifesta sia col lume della ragione sia con quello della Rivelazione» . Ora l’indifferentismo religioso, che è «una delle più deleterie eresie» e che mette «sullo stesso piano tutte le religioni» e induce inevitabilmente a considerare irrilevante la verità della credenza religiosa ai fini della bontà della vita e della salvezza eterna: «Si finisce col considerare la religione come un fatto del tutto individuale, in cui ci si adatta alle disposizioni dei singoli, che si formano la loro religione, e col concludere che tutte le religioni sono buone, anche se tra loro contraddittorie». Ma con questo siamo fuori dell’atto di Fede cattolica. Siamo all’illuministico «atto di fede del Vicario savoiardo» di Rousseau, che è un atto d’incredulità nella divina Rivelazione. Questa, infatti, è un fatto reale, una verità accreditata da Dio con segni certi, perché l’errore in tal campo avrebbe per l’uomo conseguenze gravissime . Ora «in presenza di un fatto reale o di una verità evidente non si può essere tolleranti fino al punto di approvare l’atteggiamento di chi li considera inesistenti o falsi. Ciò comporterebbe che non crediamo affatto o non siano pienamente convinti della verità della nostra posizione o che siamo (giudichiamo di essere) in presenza di una materia assolutamente indifferente o banale, oppure che riteniamo verità od errore posizioni puramente relative».

E poiché l’«incontro di preghiera» di Assisi comporta appunto tutto questo, è occasione di scandalo per i cattolici ed un serio pericolo per la loro Fede. In forza dell’ecumenismo, essi si troveranno infine unificati, sì, con gli infedeli, ma nella «comune rovina».

 Tradimento della missione di Pietro e della Chiesa

Annunciare a tutte le genti:  1. che vi è un unico vero Dio, che si è rivelato per tutti gli uomini in Nostro Signore Gesù Cristo; 2. che c’è un’unica vera religione, nella quale unicamente Dio vuole essere onorato, perché è Verità e Gli ripugna tutto ciò che nelle false religioni – dottrine erronee, precetti immorali, riti sconvenienti – si oppone alla verità; 3. che vi è un Mediatore unico tra Dio e gli uomini, nel Quale l’uomo può sperare di salvarsi, perché tutti gli uomini sono peccatori e permangono nei loro peccati se privi del Sangue di Cristo; 4. che vi è un’unica vera Chiesa, che di questo Sangue divino è «conservatrice eterna» e che pertanto «bisogna credere che nessuno può salvarsi fuori della Chiesa Apostolica Romana, che questa è l’unica arca di salvezza, che perirà nel diluvio chi non vi entra» almeno con votum (desiderio), esplicito o implicito nella disposizione morale di compiere tutta la volontà di Dio, «se l’ignoranza è davvero invincibile»; annunciare questo, dicevamo, è la missione propria della Chiesa.

«Andate e ammaestrate tutte le genti; battezzatele nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto quanto Io vi ho comandato» ; «Andate per tutto il mondo, predicate l’Evangelo ad ogni creatura. Chi crede e sarà battezzato sarà salvo; chi invece non crederà sarà condannato» .

Affinché, poi, la Chiesa, potesse nei secoli assolvere con sicurezza questa sua missione, Nostro Signore Gesù Cristo conferì a Pietro, e ai suoi successori, la missione di rappresentarlo visibilmente: «Questo Vicario, dunque, non ha affatto l’incarico di stabilire una nuova dottrina con nuove rivelazioni, o di creare un nuovo stato di cose, o d’istituire nuovi sacramenti: non è questa la sua funzione. Egli rappresenta Gesù Cristo alla testa della sua Chiesa, la cui costituzione è perfetta.

Questa costituzione essenziale, cioè la creazione della Chiesa, è stata l’opera propria di Gesù Cristo, che Lui stesso doveva portare a termine e di cui dice al Padre: “Ho compiuto l’opera che mi desti da compiere”. Non c’è più niente da aggiungervi; ma è necessario soltanto mantenere questa opera, rendere sicura l’opera della Chiesa e presiedere al funzionamento dei suoi organi. Perciò due cose sono necessarie: governarla e perpetuare in essa l’insegnamento della verità. Il Concilio Vaticano I riconduce a questi due oggetti la funzione suprema del Vicario di Gesù Cristo. Pietro rappresenta Gesù Cristo sotto questi due aspetti». Potere, dunque, senza eguali sulla terra il potere di Pietro, ma potere vicario e, come tale, niente affatto assoluto, ma limitato dal diritto divino di Colui che rappresenta: «Il Signore affidò a Pietro le pecore, non di Pietro, ma Sue, affinché le pascesse non per se stesso, ma per il Signore».

Non è quindi nel potere di Pietro di  promuovere iniziative contrastanti con la missione della Chiesa e del Romano Pontefice, quale evidentemente è «l’incontro di preghiera» di Assisi. Non può invitare «rappresentanti» delle false religioni a pregare i loro falsi dei, in luoghi consacrati alla Fede del vero Dio, il Vicario di Colui che ha detto: «Vattene, satana, perché sta scritto: il Signore Dio tuo adorerai e a lui solo renderai culto»; non può autorizzare a prescindere da Nostro Signore Gesù Cristo, il Successore di colui che ebbe il primato per la sua Fede: «Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente». Non deve essere di inciampo alla Fede dei suoi fratelli e figli il Successore di colui che ha ricevuto il mandato di confermarli nella Fede.


Se non assisteremo, come è probabile, agli scempi di allora (statue di Buddha sui tabernacoli, in presenza del Santissimo; polli sgozzati sugli altari; riti di religioni pagane di fronte alla Presenza Reale di Nostro Signore Gesù Cristo…); se non ci sarà più dato di vedere empie communicationes in sacris con i pagani, poiché i cattolici pregheranno separatamente dai seguaci delle false religioni; se la Santa Sede non perde occasione per ribadire che, in ogni caso, questo incontro non deve essere interpretato come avallo al sincretismo religioso e del relativismo dottrinale… se tutto questo è vero, come speriamo che lo sia, permane, però, il problema dottrinale di fondo: le preghiere elevate alle false divinità - così come il loro incoraggiamento – non sono accette a Dio, indipendentemente dalle intenzioni soggettive dell’orante, in quanto oggettivamente idolatriche. La nostra costernazione non significa amarezza: vorremmo solo risparmiare alla Sposa di Cristo, Nostra Madre, questa ennesima umiliazione, che non può lasciarci indifferenti. Preghiamo ed invitiamo tutti a pregare Maria Santissima, perché interceda presso il suo Divin Figlio e venga risparmiata questa offesa al Suo Corpo mistico.