Omaggio alla Francia, figlia primogenita della Chiesa
S. GIOVANNA D'ARCO (1412 - 1431)
VICINO A LEI SI PROVAVA GRANDE GIOIA
Immaginiamo la scena. Il processo si celebra in un’ampia sala, disadorna, fredda e poco illuminata. L’atmosfera generale non è di festa, ma tesa. I protagonisti? Molto semplice. Da una parte una cinquantina di uomini, tra i più dotti di Francia (c’erano anche inglesi), molti dei quali provenienti dalla università di Parigi. Uomini, ecclesiastici e laici, rotti alle fatiche sui libri, esperti nella ricerca teologica, temprati da innumerevoli dibattiti, confronti e lunghe discussioni, sempre accademiche mai banali. La teologia e la filosofia era il loro pane quotidiano.
Si sentivano forti, preparati, pronti a difendere la verità contro chiunque. E chi avevano davanti da interrogare? Quasi si vergognavano a guardarla. Non era certo pane per i loro denti teologicamente agguerriti: una semplice ragazza appena diciannovenne, che non sapeva né leggere né scrivere, nata a Domreny. Si chiamava Giovanna. Una delle domande: “Che aspetto aveva san Michele quando ti è apparso?”. Giovanna: “Non gli vidi in capo alcuna corona. Dei vestiti non so nulla”. Replica, con un pizzico di malizia: “Era nudo?”. Semplice la risposta: “Credete che Nostro Signore non abbia di che vestirlo?”. Il giudice rimane spiazzato. Ancora una domanda più subdola, fatta proprio per farla cadere nel tranello. L’inquisitore le chiede quale è la differenza tra chiesa militante e chiesa trionfante.
La risposta di Giovanna non è dettata dai grossi libri di teologia ma dal suo buon senso di semplice cristiana battezzata che frequentava la chiesa, che si confessava, che andava tutte le volte che poteva a messa: “Dato che tutta la chiesa è di Dio, la differenza non deve essere poi molto importante”. Tutte risposte giuste (cioè non eretiche) non certo adatte a risvegliare la dialettica super addestrata e ben collaudata di quegli uomini. I quali tuttavia non si danno per vinti. Vogliono incastrarla. È una questione... politica.
Quando per estorcere prove di una sua presunta disubbidienza alla chiesa, le chiede se non è doveroso obbedire al papa, ai vescovi, ai cardinali, Giovanna risponde: “Sì, Dio servito per primo”. È la volta poi di un alto prelato accademico, una personalità dell’università di Parigi. Le chiede se pensa di essere in grazia di Dio. Risposta: “Se ci sono, Iddio mi ci custodisca; se non ci sono, Iddio voglia collocarmici, perché preferirei morire che non essere nell’amore di Dio”. Non è una risposta che solletichi la vis dialettica ed erudita dell’interlocutore e dei suoi compari accademici. Quelle “volpi scolastiche” (Bernanos) tuttavia non si danno per vinte. La politica, quella peggiore (la storia ce lo insegna) un cavillo o un “vizio di forma” lo trova sempre (o lo inventa).
“Dolcissimo Dio,
in nome della vostra santissima passione...”
Davanti a tanta intelligenza e preparazione teologica, Giovanna opponeva una fede semplice e tanta umiltà. I verbali del processo riferiscono anche questa sua preghiera: “Dolcissimo Dio, in nome della vostra santissima passione, vi chiedo, se voi mi amate, di rivelarmi che cosa devo rispondere a questi uomini di Chiesa”. Ha scritto Regine Pernoud, una studiosa di Giovanna d’Arco: “Parole di dolorosa intimità. Esprimono tutto ciò di cui ella ha bisogno in quel preciso istante. Nulla di più. È la preghiera del cristiano, che sa che ogni grazia è la grazia del momento presente”.
Molto toccanti anche le ultime scene del recente film su Giovanna d’Arco (di Luc Besson). Giovanna, condannata ingiustamente di stregoneria, si rivolge a Gesù Cristo, dicendogli: “Stammi vicino, per favore. È questo quello che Tu vuoi? Non abbandonarmi, per favore”. Giovanna morì sul rogo, all’età di diciannove anni, guardando una croce, e mormorando il nome di Gesù. Era il 30 maggio del 1431. Un giorno di primavera.
In questi ultimi anni si è rifatto il “processo al processo” di questa condanna. È certamente una pagina nera nella storia in generale. Giovanna d’Arco fu una delle tante vittime innocenti della storia, vittima di certi uomini di chiesa del tempo e della politica, o meglio della ragion di stato, invocata e perseguita, anche nella palese ingiustizia dagli inglesi invasori della Francia. Ella fu vittima di un doppio gioco “ecclesiastico” e politico. La ragazza analfabeta di Domremy, senza saperlo si era messa di traverso a quella potente lobby ecclesiastica (teologi, professori di università, vescovi prezzolati, come il vescovo Pierre Cauchon, ex professore a Parigi, che condusse il processo) che supportava con raffinati
argomenti teologici le istanze del potere che sembrava vincente.
Questi “dietro l’ideologia architetta – la duplice monarchia – avevano anche elaborato un loro sistema affinché l’Università fosse considerata come la vera custode delle «chiavi della cristianità», sostituendosi al romano pontefice, di cui avrebbero presto cercato di sbarazzarsi nel corso di due concili burrascosi, quello di Basilea e quello di Costanza” (Regine Pernoud). I dotti che stavano davanti a Giovanna come accusatori e giudici si credevano già detentori di questo super primato della cultura sulla tradizione storica e biblica del primato del papa di Roma. Quando infatti Giovanna chiese che il suo caso fosse rimesso alla sede apostolica la sua richiesta incontrò sorde orecchie da mercante.
Il secondo grande ruolo, e purtroppo decisivo, fu giocato dalla politica degli inglesi. Sotto lo slogan della doppia monarchia c’era un progetto ambizioso: riunire in una sola corona, quella del re inglese naturalmente, anche il regno di Francia. Davanti a questo disegno mal si sopportava che ci fosse di mezzo una semplice ragazza analfabeta, che diceva di avere delle visioni e di udire voci, di agire in nome di Dio, e che era stata la causa principale della loro sconfitta nell’assedio di Orleans. Il fine giustificava i mezzi (anche già prima di Niccolò Macchiavelli). In questo caso un rogo, con una innocente bruciata perché accusata (senza prove) di stregoneria.
“Bisogna dare battaglia,
perché Dio conceda la vittoria”
Giovanna nacque a Domremy, nella Lorena in Francia, il 6 gennaio del 1412 da Jacques e Isabelle. Lo straordinario nella sua vita fino a tredici anni fu l’assoluta normalità. I suoi compaesani nelle testimonianze ripeteranno fino alla monotonia che Jannette era una come le altre. Le sue occupazioni erano le solite, molto banali, e ordinarie: aiutava il padre nella campagna all’aratro, qualche volta governava gli animali nei campi, faceva tutti i lavori femminili comuni. La sua istruzione religiosa le venne dalla madre. Lei stessa affermò: “Mia madre mi ha insegnato il Pater Noster, l’Ave Maria, il Credo.
Nessun altro, all’infuori di mia madre mi ha insegnato la mia fede”. Anche questo nella norma.
Io stesso debbo confessare la mia ignoranza e una certa pregiudiziale nei confronti di questa santa. Prima di documentarmi pensavo erroneamente che Giovanna d’Arco fosse santa solo per... pressioni e fini politici francesi. È un’eroina nella storia francese (“Non c’è storia più francese della sua” ha scritto il card. Etchegaray di Parigi), vittima della politica imperialista degli inglesi. Se la fanno dichiarare anche santa il suo richiamo patriottico diventerà più grande. Niente di questo. Ha scritto ancora il card. Etchegaray: “Se è vero che Giovanna d’Arco è santa non è certo perché ha salvato la Francia, né tantomeno perché è salita sul rogo, che la Chiesa non ha mai riconosciuto come martirio, ma semplicemente perché tutta la sua vita sembra essere in perfetta adesione a quella che lei afferma essere la volontà di Dio. Quello che lei fa, è ciò che Dio vuole e unicamente questo. “Poiché era Dio ad ordinarlo” ha dichiarato con forza, “anche se avessi avuto cento padri e cento madri anche se fossi stata figlia di re, sarei partita”.
La sua vita spirituale si nutriva dei “soliti mezzi” predicati dalla Chiesa in tanti secoli: pregava, andava in chiesa per la messa alla domenica, si confessava spesso, e faceva il proprio dovere bene e volentieri, nell’amore di Dio. C’è un altro elemento speciale nella santità di Giovanna: una parolina che torna insistente nelle testimonianze delle persone che le hanno vissuto vicino per anni. È l’avverbio “libenter” cioè “volentieri”, che il cancelliere incaricato di redigere i verbali riferì spesso. Tutto quello che Giovanna faceva, dissero i compaesani, lo faceva “volentieri”: volentieri filava, volentieri cuciva, volentieri faceva gli altri lavori di casa. Non solo, volentieri si recava in chiesa a pregare, quando suonavano le campane, e trovava così conforto nella confessione e nella Eucarestia. Così ha commentato Regine Pernoud: “Con questa tanto semplice «libenter», quella povera gente ci ha forse messo nelle mani i lineamenti più preziosi di Giovanna”. In lei si aveva quindi, nelle azioni quotidiane, il riverbero della sua fede semplice, ma che produceva la santità.
A tredici anni raccontò ai genitori: “Spesso sento voci di santi: Michele Arcangelo, Caterina di Alessandria, Margherita di Antiochia...”. Jacques e Isabelle non ci badarono più di tanto. Le solite e sincere esortazioni. Invece a 17 anni c’è molto di più: “Le «voci» mi comandano di liberare la Francia”. Il padre non solo non le credette ma si infuriò. Giovanna scappò di casa, passando per matta. Ma quando predisse esattamente una sconfitta francese, i nobili della zona le credettero e la condussero dal re Carlo VII, debole e incerto. Finalmente fu creduta, e marciò con un esercito (sul quale si impose, e questo sì fu un vero miracolo) contro gli inglesi liberando Orleans dall’assedio in soli otto giorni.
Un evento inspiegabile dal punto di vista militare, diranno. Nel 1429 Giovanna trascinò il riluttante giovane re fino a Reims per farlo coronare re di Francia. È il massimo del prestigio “politico” di Giovanna. Ella si riconoscerà solo e sempre un umile strumento nelle mani di Dio. Così infatti risponderà ad uno dei giudici: “Senza il comando di Dio io non saprei fare nulla... Tutto quello che ho fatto, l’ho fatto per comando di Dio. Io non faccio niente di testa mia”. Anche questa è santità: non approfittare dei doni di Dio per la propria gloria e prestigio. Giovanna fece proprio così. Ma la sua parabola volgeva alla fine. Fu ferita davanti a Parigi, e poi catturata a Compiegne dai borgognoni, alleati degli inglesi, e “venduta” loro (c’è sempre un giuda in ogni storia). Questi imbastirono un processo farsa con i loro amici accademici ed ecclesiastici, fino a mandarla sul rogo con l’accusa di stregoneria. Una ragazza, Giovanna, la grande nemica fu sacrificata sull’altare del nascente imperialismo inglese. Ma rimase anche una pagina nera nella storia militare di questo popolo.
Ancora due piccole considerazioni. Forse il più bello elogio della santità di Giovanna lo ha fatto un borghese di Orleans: “Stando insieme a lei si provava grande gioia”.
La seconda viene dalla risposta che diede ad un giudice, quando le chiese perché Dio doveva servirsi del “suo” aiuto per vincere, visto che è Onnipotente, ella rispose: “Bisogna dare battaglia, perché Dio conceda la vittoria”. È un pensiero profondo: la nostra fede in Dio non ci dispensa mai dal fare il nostro dovere, in termini di lavoro, di sacrificio e di rischio. Dio ha deciso di non fare tutto da solo, e questo significa un grande atto di fiducia in noi. Che costa sacrificio. Come per Giovanna d’Arco.
MARIO SCUDU SDB
testo tratto da:
http://www.donbosco-torino.it/ita/Kairos/Santo_del_mese/05-Maggio/Santa_Giovanna_D'_Arco.html