La logica
del Cardinal Koch.
Un caso preoccupante
di Alipio de Monte
Ho scritto altrove che i cardinali, specie
quelli che occupan alte cariche della S. Sede, dovrebbero esporsi di meno con
dichiarazioni superficiali che alla fine non tornano a favore della loro serietà
e della credibilità delle istituzioni che rappresentano, mentre farebbero meglio
a pregar di più, ed anche a studiar di più. E, dopo la lettura delle
dichiarazioni di S. Em.za K. Koch riportate dall'Osservatore Romano del 3 agosto
[lo trovate a pag. 6, mentre noi ne avevamo parlato qui], oltre a quest'auspicio avanzavo
alcune osservazioni critiche, molto semplici, da povero fedele, anche sotto
forma di domanda.
- Il paragone Trento-Vaticano II non regge. Il
fatto che il concilio di Trento non abbia pubblicato costituzioni ma solo
decreti – i quali nell'ultimo concilio si differenzian per valore dalle
costituzioni – notavo, è irrilevante: questi decreti sono poi stati sintetizzati
in canoni in cui si afferma ed impone la retta dottrina e si condanna l'errore.
Ed è proprio ciò che manca al Vaticano II: la sicurezza circa l'infallibilità
dei documenti, in tutto o in parte che i canoni di un concilio dogmatico
garantiscono. Ma non c'è più sordo di chi non vuol sentire. Eppure il card.
Ratzinger ebbe esplicitamente a sostenere che l'ultima assise ecumenica, in
quanto pastorale, si poneva ad un livello più modesto rispetto ai grandi concili
dogmatici. Ma tant'è. Prevale il vano affannarsi a far del Vaticano II la summa
di tutta la Rivelazione, nei due suoi due canali, Sacra Scrittura e Sacra
Tradizione, e di tutto il Magistero infallibile, straordinario e ordinario.
Seconda Pentecoste, nuova nascita della Chiesa. O nascita di una nuova Chiesa?
- Il ritrovar in Lutero la scaturigine delle
critiche rivolte ad alcuni documenti del Vaticano II o a singole proposizioni
d'essi da grandi teologi e storici di radicata dottrina cattolica e, talora con
evitabile asprezza, da membri della Fraternità S. Pio X, è frutto o d'ignoranza
o di malafede dettata da una nota posizione ideologica riaffermata con forza
degna di miglior causa. E qui dobbiamo riconoscer la carenza di cultura, dando
per scontata la buona fede?
- Ove si considerino “con occhio chiaro e con
affetto “puro” tali osservazioni critiche, e nel loro contenuto e nel metodo con
cui sono state elaborate e nei fini a cui tendono, appare assolutamente privo di
qualsiasi consistenza, anche ad un lettore appena appena informato, il raffronto
instaurato tra Lutero e gli studiosi del Vaticano II che ne metton in risalto
errori o equivoci teologici ed espositivi.
Il protestantesimo in tutte le sue forme ha distrutto pressoché totalmente la base sacramentaria della Chiesa, ha negato la sua divina costituzione gerarchica, ha negato Verità definite una volta per tutte: a queste eresie Trento ha risposto puntualmente e puntigliosamente in modo solenne a salvaguardia dell'integrità della nostra Fede.
Lutero coi suoi discepoli e sodali, ha allontanato dalla Chiesa un enorme numero di stati e popoli ponendo a rischio la salvezza di milioni e milioni di anime. Ora, si posson riscontrar nei teologi e storici che hanno analizzato o continuano ad analizzar gli esiti del Vaticano II (cito solo i primi che mi vengon in mente: Gherardini, Pasqualucci, de Mattei, Spadafora, Lanzetta, ma il coro s'arricchisce via via di voci interessanti anche per la diversa angolazione delle loro esegesi) e nella Fraternità S. Pio X questi orrori, questi disastri, questi delitti contro la Chiesa e quindi contro Dio e contro la societas cristiana? Quali Verità negano questi eccellenti autori, quali Verità mai nega la Fraternità?
Soffermandomi un attimo proprio sulla S. Pio X, la cui posizione è già ben distinta da quella dei professori di cui sopra per l'irregolarità canonica in cui si trova a seguito delle consacrazioni episcopali del 1988, la critica portata ad alcuni documenti conciliari, su cui oltretutto c'è ancora un dialogo in corso, è sia pur lontanissimamente paragonabile al massacro della Verità perpetrato da Lutero, Calvino e scudieri d'eresia? Il fine della Fraternità è quello di divider la Chiesa o di promuover un approfondito dibattito per far risplendere in tutta la sua luminosità la nostra Fede in cui esser confermati dal Papa e dalla Gerarchia ?
- Infine, se un vescovo, che Benedetto XVI ha addirittura posto a capo della Congregazione per la Dottrina della Fede, e che vivamente spero venga illuminato dallo Spirito Santo nell'esercizio della sua delicatissima funzione, ha affermato, con faciloneria e contro la dottrina cattolica, che fan parte della Chiesa tutt'i battezzati benché eretici e scismatici, perché la Fraternità S. Pio X, se è, come lui pensa, scismatica e magari eretica, non dovrebbe far parte del Corpo Mistico insieme a tutti gli altri eretici e scismatici? A maggior ragione, anzi, dovrebbe farne parte perché scismatica ed eretica, a meditato avviso di illustri porporati - Palazzini, Thiandoum, Cassidy, Castillo Llara, Castrillon, Oddi ecc. - non lo è.
Ora mi perviene quest'analisi del dotto quanto
equilibrato Alipio de Monte, di cui abbiamo pubblicato altri importanti
interventi tra i quali: “Tra suppliche e appelli” e “È proprio questa la Chiesa Cattolica? Note in margine ad un volume
del card. W. Kasper”. Da par suo esamina l'articolo del card. Koch,
rilevandone i gravi limiti di cultura specifica e di coerenza logica.
In attesa che esca sul mio bollettino “Una Voce
Dicentes” affido quest'intervento a blogs amici perché raggiunga il maggior
numero possibile di lettori.
Dante Pastorelli
Un caso preoccupante
A leggere le dichiarazioni rilasciate
dall’Em.mo Card. Kurt Koch, prefetto del Consiglio per l’unità dei cristiani,
all’agenzia Apic-Kipa (L’Osserv. Rom., 3 agosto [pag.6]), nasce il sospetto che fra
l’eminentissimo personaggio e la logica ci sia un fatto personale. Il Cardinale
vorrebbe rispondere in maniera pertinente all’ormai ampia e variegata critica
conciliare; ci si prova, a dire il vero, ma con evidente esito contraddittorio.
Non tenendo conto dell’articolato ventaglio in cui la detta critica si specifica
senza mai diventare per questo né opposizione né prevenzione, si preoccupa di
far capire a chi giudica che il Vaticano II sia stato un errore, o che qualche
errore abbia insegnato, la colorazione protestante di un tale giudizio e la sua
origine da Lutero. Se lo dice lui!
Quando salì sulla rocca vaticana per guidare il
suddetto Consiglio, lo accompagnava la fama di uomo in situazione limite. Era
l’uomo del dialogo ecumenico, che aveva tessuto una fitta rete di rapporti tra
gli eredi della Riforma e le posizioni conciliari e postconciliari della Chiesa
cattolica, trovandone facilmente la sintesi nella figura e nell’opera teologica
di Martin Lutero. Erano queste le benemerenze che lo avevano emblematicamente
collocato ai vertici di un dialogo mai venato da qualche strascico polemico e
sempre pronto al riconoscimento bilaterale di Lutero “nostro comune padre nella
fede”. Lutero era, dunque, per lui, così come ovviamente per ognuno degli
attuali epigoni della Riforma, la cerniera sulla quale si saldava nuovamente
l’infranta comunione ecclesiale. Chi l’avesse infranta e perché, non era
determinante; tale era invece la saldatura dell’unità nel nome di Lutero.
Non consta che, pur non estraneo all’ambiente accademico, K. Koch brillasse per qualche monografia di alta scientificità teutonica sul grande Riformatore tedesco. Brillava, però, di infaticato impegno pastorale nel ricondurre e riproporre Lutero all’attenzione del mondo cattolico, nonostante che proprio M. Lutero, specie dal 1520 in poi, se ne fosse sdegnosamente ed acrimoniosamente distaccato. Come se l’articulus stantis et cadentis ecclesiae – cioè la giustificazione per la sola fede senza le opere – fosse una bazzecola, laddove lo stesso Lutero ne faceva una questione di vita o di morte, K. Koch profittò dell’inspiegabile rilettura che ne ripropose proprio la Chiesa cattolica in consonanza con la tradizione luterana per continuare a rilanciare il nome, l’autorità e l’attuale validità del padre della Riforma.
Evidentemente il Lutero così appassionatamente
rilanciato in fase dialogante non era quello che un pur modesto Lutherforscher
conosce dallo studio della Weimarana e dalle più accreditate ricostruzioni
storico-scientifiche, tedesche e non solo tedesche, della vicenda del
Riformatore. Era un Lutero artefatto, ricostruito sulle esigenze del dialogo
ecumenico, spogliato di ogni possibile motivo di contrapposizione teologica ed
irenicamente valutato.
Ora, però, chissà per quale improvviso ed
inspiegabile transfert il nome di Lutero viene pronunciato non in segno di
ammirazione e di richiamo al riscoperto valore delle sue posizioni, bensì nel
segno della vecchia e bieca condanna: chi abbina errore e Vaticano II ripete la
posizione ereticale di Lutero ed incorre nella sua stessa condanna. Se non che
l’illuminante dichiarazione dell'eminentissimo personaggio non si ferma qui.
Poiché la lingua batte dove il dente duole, passa di nuovo e disinvoltamente
dall’immagine del Lutero ribelle, e come tale scomunicato, a quella del campione
e modello nella fede e come tale meritevole dell’omaggio che, nel 2017, Chiesa
cattolica e Federazione Luterana Mondiale già stanno alacremente preparando insieme. Ma allora,
Eminenza, sa almeno lei a quale Lutero intende riferirsi? La sua prosa non
brilla per linearità, coerenza e logica ed io che sul Vaticano II ho qualche
seria riserva vorrei proprio sapere da Lei se mi rapporta al Lutero dell’Unam
sanctam o a quello delle non lontane celebrazioni centenarie.
Che il suo periodare manchi di trasparenza e si
risolva in un modello di superficialità è documentato dalla sua dichiarazione,
nella quale tutto il fermento critico-scientifico, finalmente sviluppatosi
attorno all’ultimo Concilio come premessa ineludibile di una sua obiettiva
ermeneutica, è liquidato con un vago e generico riferimento ai “critici del
Concilio”: a quali, visto che in cinquant’anni se ne son visti di tutti i colori
e tutte le gradazioni? Si sofferma di preferenza sul rilievo di qualche errore,
ma nessuno riesce a capire l’oggetto del suo rilievo; non c’è studioso che non
abbia premesso le coordinate di un Concilio ecumenico in quanto tale e non ne
abbia preso spunto per qualche rispettosa osservazione critica al Vaticano II;
lei risponde con l’appiattimento di tutti sulla figura di Lutero, rimanendo
peraltro a mezza strada fra l’ex agostiniano ribelle e “il novello Apostolo
delle genti”. Evidentemente non entusiasta che qualcuno esprima valutazioni
positive sul Concilio di Trento o sul Vaticano I, instaura un risibile confronto
fra Tridentino e Vaticano II, fra i pochi decreti dell’uno e la mole dei 16
documenti dell’altro. Giustifica l’ecumenismo dichiarandolo “un tema non
secondario” e basandolo sulla Lumen Gentium unitamente a Nostra aetate
e ad altri documenti: cioè, giustificando, come da cinquant’anni, il Vaticano II
col Vaticano II. Insomma, la sua dichiarazione è talmente priva di una
condivisibile linea di coerenza e perfino di logica, che suscita davvero il
sospetto inizialmente accennato. Ma più grave di esso è il sospetto che gli sta
a monte: in quale rapporto pone le cose di cui parla e l’unità della fede e
della tradizione cattolica?
Vedi precedenti sul card. Koch e anche sulla questione ebraica: [1] - [2] - [3] - [4] - [5] - [6] - [7]
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