Prendiamo dal blog
"Radicati nella fede"
e pubblichiamo
l'Editoriale
del numero di Dicembre
del loro bollettino.
IL NATALE E LA CROCE
Editoriale di "Radicati nella fede" del mese di Dicembre 2013
Un tempo nella Chiesa non si dimenticava mai la Croce, nemmeno a
Natale.
È noto a tutti il testo di uno dei canti natalizi più popolari
d'Italia e più caro agli italiani: “Tu scendi dalle stelle”. È
noto a tutti, così noto che rischiamo di non riflettere più sulle
parole che cantiamo e su quanti riferimenti alla sofferenza di Dio e
alla Croce in esso siano contenuti.
Qualcuno dirà già: ma questi parlano di sofferenza anche a
Natale e non parlano mai della dolcezza di Dio!
Ma la dolcezza di Dio erompe dalla Croce come da una sorgente e
la Croce è già contenuta nel presepio.
Sappiamo che l'autore di “Tu scendi dalle stelle” è niente
di meno che Sant'Alfonso Maria de' Liguori. Il grande santo
napoletano del '700, grande teologo e patrono dei teologi morali. Il
santo che più di tutti ha combattuto il Rigorismo morale di stampo
giansenistico; il santo che ha insistito tanto nel ricordare a tutti
la misericordia di Dio e nel raccomandare la fiducia nel perdono di
Dio. Il santo della dolcezza e della tenerezza di Dio. Ebbene, il
santo della Misericordia del Signore non dimenticava mai la Croce,
nemmeno a Natale, perché era cattolico!
Ma rileggiamo attentamente il testo del canto...
Tu scendi dalle stelle, o Re del cielo,
e vieni in una grotta al freddo e al gelo.
O Bambino mio divino,
io ti vedo qui a tremar;
o Dio beato!
Ah, quanto ti costò l'avermi amato!
A te, che sei del mondo il Creatore,
mancano panni e fuoco, o mio Signore.
Caro eletto pargoletto,
quanto questa povertà
più m'innamora,
giacché ti fece amor povero ancora.
Tu lasci il bel gioir del divin seno,
per giunger a penar su questo fieno.
Dolce amore del mio core,
dove amore ti trasportò?
O Gesù mio, per ché tanto patir?
per amor mio!
Ma se fu tuo voler il tuo patire,
perché vuoi pianger poi, perché vagire?
mio Gesù, t'intendo sì!
Ah, mio Signore!
Tu piangi non per duol, ma per amore.
Tu piangi per vederti da me ingrato
dopo sì grande amor, sì poco amato!
O diletto - del mio petto,
Se già un tempo fu così, or te sol bramo
Caro non pianger più, ch'io t'amo e t'amo.
Tu dormi, Ninno mio, ma intanto il core
non dorme, no ma veglia a tutte l'ore
Deh, mio bello e puro Agnello
a che pensi? dimmi tu. O amore immenso,
un dì morir per te, rispondi, io penso.
Dunque a morire per me, tu pensi, o Dio
ed altro, fuor di te, amar poss'io?
O Maria, speranza mia,
se poc'amo il tuo Gesù, non ti sdegnare
amalo tu per me, s'io non so amare!
Vedete quanti riferimenti alla Croce? Ne è intessuto tutto il
testo: freddo e gelo... tremar... povertà... penar... perché tanto
patir... piangi... poco amato... un dì morir per te...
Tutto questo dovrebbe farci riflettere: non si può parlare del
Natale senza la Croce. Nostro Signore Gesù Cristo è venuto nel
mondo, Dio si è fatto uomo, per poter poi salire al Calvario e dare
la sua vita per noi, per la nostra salvezza.
Che tenerezza avrebbe il Natale se non ricordasse questo? Quale
dolcezza avrebbe per le nostre anime se non portasse dentro il
ricordo che l'amore di Dio per ciascuno di noi è diventato totale
dono di sé sulla Croce? “Dilexit me”... “Mi ha amato e ha dato
se stesso per me”. L'amore, la tenerezza di Dio per me, povero
peccatore, ha un volto, il Santo Volto di Cristo Crocifisso. E quando
guardo il Santo Bambino del presepio, lo riconosco già l'uomo della
Passione, l'uomo del Calvario.
Ma oggi nella Chiesa si dimentica troppo spesso la Croce, e si
pensa di parlare della tenerezza di Dio quasi fosse un sentimento.
La tenerezza di Dio per me è un'azione, è un'opera: l'opera
della mia salvezza operata da Cristo al Calvario. E il suo sacrificio
redentore inizia, è già presente nella grotta di Betlemme.
“Deh, mio bello e puro Agnello a che pensi? dimmi tu. O amore
immenso, un dì morir per te, rispondi, io penso”, ci fa cantare
Sant'Alfonso.
Tutti i mistici, tutti i santi, tutte le anime cristiane hanno
sempre vissuto così il Natale.
Un grande sacerdote rosminiano, vero mistico, don Clemente
Rebora, così scriveva sul Natale:
Oh Comunion vera e sol beata,
se con te, Cristo, son crocifisso
quando nell'Ostia Santa m'inabisso!
Intollerabil vivere del mondo
a bene stare senza l'Ognibene!
Penitenza scansar, che penitenza!
Se ancor quaggiù mi vuoi, un giorno e un giorno,
con la tua Passion che vince il male,
Gesù Signore, dammi il tuo Natale
di fuoco interno nell'umano gelo,
tutta una pena in celestiale pace
che salva la gente e innamorata
del Cielo se nel cuore pur le parla.
O Croce o Croce o Croce tutta intera
nel tuo abbraccio a trionfar di Circe,
sola sei buona e bella, e come vera!
Abbraccio della Madre, ove già vince
nel suo Figlio lo strazio che l'avvince.
Ed ecco ancora il Natale e la Croce.
Oggi nella Chiesa non si nega la Croce, questo no, ma la si
dimentica. La si considera un punto, un momento, mentre è tutto! È
tutto! “Stat Crux dum volvitur orbis”, la Croce resta ferma
mentre il mondo vi gira attorno, è il motto di San Bruno e dei
Certosini da lui fondati, ma è in verità il motto del Cristiano.
Dimenticare la centralità della Croce è grave, anzi gravissimo.
Quanti natali senza Croce, in una Chiesa senza Croce, con una
Messa Nuova senza Croce, in un cristianesimo senza Croce: ma questa è
una nuova religione.
Guardando i nostri presepi, nelle nostre case e nelle nostre
chiese, raccogliamoci in silenzio e pensiamo alla Croce. Che il
Bambino Gesù doni a noi quella pace che nasce di fronte alla grotta,
ai piedi del Calvario. Quella pace di chi si sente immensamente
amato da Dio, che nasce nel tempo e muore per lui. La doni a noi e a
tutta la sua Chiesa. Buon Natale.