La rimozione di un grande Cardinale
Il Papa, in quanto supremo pastore della Chiesa
universale, ha il pieno diritto di rimuovere dalla sua carica un vescovo o un cardinale,
anche insigne. Celebre fu il caso del cardinale Louis Billot (1846-1931), uno
dei maggiori teologi del Novecento, che il 13 settembre 1927 rimise il berretto
cardinalizio nelle mani di Pio XI, con il quale era entrato in contrasto sul
caso dell’Action Française, e finì la sua vita, quale semplice gesuita,
nella casa del suo ordine a Galloro.
Un altro caso eclatante è quello del cardinale Josef
Mindszenty, che fu rimosso da Paolo VI dalla carica di arcivescovo di Esztergom
e Primate di Ungheria, per la sua opposizione alla ostpolitk vaticana. Molti vescovi inoltre, negli ultimi anni, sono stati
destituiti per essere stati coinvolti in scandali finanziari o morali. Ma se
nessuno può negare al Sovrano Pontefice il diritto di dimettere qualsiasi prelato,
per le ragioni che ritenga più opportune, nessuno può togliere ai fedeli il
diritto che essi hanno, come esseri razionali, prima ancora che come
battezzati, di interrogarsi sulle ragioni di queste destituzioni, soprattutto
se esse non siano esplicitamente dichiarate.
Questo spiega lo sgomento di molti cattolici di fronte
alla notizia, formalmente comunicata dalla Sala Stampa vaticana l’8 novembre,
del trasferimento del cardinale Raymond Leo Burke dalla sua carica di prefetto
della Suprema Segnatura Apostolica a Patrono dell’Ordine di Malta. Quando infatti, come in questo caso, lo spostamento
concerne un cardinale ancora relativamente giovane (66 anni) e avviene da una
posto della massima importanza ad un altro puramente onorifico, senza neppure
rispettare il pur discutibile principio promoveatur ut amoveatur, ci si
trova evidentemente di fronte ad una punizione pubblica. Ma in questo caso è
lecito chiedersi quali sono le accuse mosse contro il prelato in questione.
Il cardinale Burke, infatti, ha svolto in modo
encomiabile il ruolo di Prefetto della Suprema Segnatura Apostolica ed è
stimato da tutti come un eminente canonista e un uomo di profonda vita
interiore, ed è stato recentemente definito da
Benedetto XVI come «un grande cardinale». Di cosa è colpevole?
Gli osservatori vaticani delle più diverse tendenze
hanno risposto a questa domanda con chiarezza. Il cardinale Burke sarebbe
reo di essere «troppo conservatore» e in disaccordo con Papa
Francesco. Dopo la sciagurata relazione del cardinale Kasper al Concistoro
straordinario del 20 febbraio 2014, il cardinale americano ha promosso la
pubblicazione di un libro in cui cinque autorevoli porporati e altri studiosi
esprimono le loro rispettose riserve verso la nuova linea vaticana, aperta
all’ipotesi della concessione della comunione ai divorziati risposati e al
riconoscimento delle unioni di fatto.
Le preoccupazioni dei cardinali sono state confermate
dal Sinodo di ottobre, in cui le tesi più arrischiate, sul piano
dell’ortodossia, sono state addirittura raccolte nella sintesi dei lavori che
ha preceduto la relazione finale.
L’unica ragione plausibile è che il Papa abbia offerto su di un piatto la testa
del card. Burke al cardinale Kasper e, per lui, al cardinale Karl Lehmann, ex
presidente della Conferenza episcopale tedesca. È noto a tutti, infatti, almeno
in Germania, che chi ancora tira le fila del dissenso tedesco contro Roma è
proprio Lehmann, antico discepolo di Karl Rahner. Il padre Ralph Wiltgen, nel
suo libro Il Reno si getta nel Tevere, ha messo in luce il ruolo di
Rahner nel Concilio Vaticano II, a partire dal momento in cui le conferenze
episcopali svolsero un ruolo determinante.
Le conferenze episcopali erano dominate infatti dai
loro periti teologici e poiché tra esse, la più potente era quella tedesca,
decisivo fu il ruolo del suo principale teologo, il gesuita Karl Rahner. Padre Wiltgen lo riassume efficacemente, descrivendo
la forza della lobby progressista raccolta in quella che egli chiama l’«Alleanza
europea». «Poiché la posizione dei vescovi di lingua tedesca era
regolarmente fatta propria dall’Alleanza europea e dato che la posizione
dell’Alleanza era a sua volta generalmente adottata dal Concilio, bastava che
un solo teologo facesse adottare le proprie idee dai vescovi di lingua tedesca perché
il Concilio le facesse sue. Questo teologo esisteva: era il padre Karl Rahner
della Compagnia di Gesù».
Cinquant’anni dopo il Vaticano II, l’ombra di Rahner
aleggia ancora sulla Chiesa cattolica,
esprimendosi ad esempio nelle posizioni pro-omosessuali di alcuni suoi
discepoli più giovani di Lehmann e Kasper, come il cardinale arcivescovo di
Monaco Reinhard Marx e l’arcivescovo di Chieti Bruno Forte.
Papa Francesco si è espresso contro le due tendenze
del progressismo e del tradizionalismo, senza peraltro chiarire che cosa
comprendano queste due etichette. Ma
se a parole egli si distanzia dai due poli che oggi si affrontano nella Chiesa,
nei fatti ogni comprensione è riservata al “progressismo”, mentre la scure si
abbatte su quello che egli definisce “tradizionalismo”. La destituzione del
card. Burke ha un significato esemplare analogo alla distruzione in atto dei
Francescani dell’Immacolata.
Molti osservatori hanno attribuito al cardinale Braz
de Aviz il progetto di dissoluzione dell’Istituto, ma oggi è a tutti evidente
che papa Francesco condivide pienamente quella decisione. Non si tratta della questione della Messa
tradizionale, che né il cardinale Burke né i Francescani dell’Immacolata
celebrano regolarmente, ma del loro atteggiamento di inconformità alla politica
ecclesiastica oggi dominante.
D’altra parte il Papa ha lungamente intrattenuto i
rappresentanti dei cosiddetti “Movimenti popolari”, di orientamento
ultramarxista, che si sono riuniti a Roma, dal 27 al 29 ottobre, ed ha
nominato nello scorso luglio, consultore del Pontificio Consiglio per la
Cultura un sacerdote apertamente eterodosso quale il padre Pablo d’Ors. C’è da chiedersi quali saranno le conseguenze di
questa politica, tenendo presente due princìpi: quello filosofico
dell’eterogenesi dei fini, per il quale certe azioni producono effetti contrari
alle intenzioni, e quello teologico dell’azione della Provvidenza nella storia
per cui, secondo le parole di san Paolo, «omnia cooperantur in bonum».
(Rom. 8,28). Tutto nei disegni di Dio coopera al bene.
Il caso Burke e il caso Francescani dell’Immacolata
come, su un piano diverso, il caso della Fraternità San Pio X, sono solo le
spie di un malessere diffuso che fa veramente apparire la Chiesa come una barca
alla deriva. Ma se anche la Fraternità San Pio X non esistesse, i
Francescani dell’Immacolata fossero dissolti o “rieducati” e il cardinale Burke
ridotto al silenzio, la crisi della Chiesa non cesserebbe di essere grave. Il
Signore ha promesso che la Barca di Pietro non affonderà mai non grazie
all’abilità del timoniere, ma per la Divina assistenza alla Chiesa, che vive si
può dire tra le tempeste, senza mai lasciarsi sommergere dalle onde (Mt
8, 23-27; Mc 4, 35-41; Lc 8, 22-25).
I cattolici fedeli non sono scoraggiati: serrano le
fila, volgono gli occhi al Magistero continuo e immutabile della Chiesa, che
coincide con la Tradizione, cercano forza nei Sacramenti, continuano a pregare
e ad agire, nella convinzione che nella storia della
Chiesa, come nella vita degli uomini, il Signore interviene solo quando tutto
sembra perduto. Ciò che ci viene chiesto non è una rassegnata inazione, ma una
lotta fiduciosa nella certezza della vittoria.
E nei confronti del cardinale Burke, anche in vista
delle nuove prove che certamente lo attendono, ci sentiamo di ripetere le
parole che il prof. Plinio Corrêa de Oliveira rivolse il 10 febbraio 1974 al
cardinale Mindszenty, quando «le
mani più sacre della terra scossero la colonna e la gettarono al suolo spezzata.
Se l’arcivescovo è caduto perdendo la sua diocesi, la figura morale del buon
pastore che dà la vita per il suo gregge è cresciuta fino alle stelle».