Vuoi il fumo o l’aria pura?
di don Giorgio Ghio
Io sono come un otre esposto al fumo, ma non dimentico
i tuoi insegnamenti (Sal 118, 79).
Quando si dice che una cosa è come fumo negli occhi, si intende di solito, semplicemente, qualcosa di fastidioso e irritante. Il fumo può tuttavia avere effetti più gravi: se respirato, può provocare un’intossicazione. Nella società e nella Chiesa attuali il fumo delle chiacchiere ideologiche appesta ormai l’atmosfera da decenni: è naturale che tanti ne siano rimasti intossicati.
Chi vi resiste, come afferma la divina Parola, è come un otre esposto al fumo: soffre profondamente, ma al tempo stesso lotta per non lasciarsi intossicare o, eventualmente, per disintossicarsi. La stessa Parola di Dio ci prescrive il tipo di terapia necessaria a questo fine: non dimenticare i Suoi insegnamenti, che sono immutabili e, di conseguenza, sempre validi, capaci di resistere a qualsiasi tentativo di “aggiornarli” in ragione delle “mutate condizioni” della società.
Il fumo di certe chiacchiere, in effetti, non è affatto qualcosa di innocuo: è anzi una realtà estremamente nociva che infantilizza le persone impedendone la crescita morale, le castra a livello psichico bloccandone lo sviluppo umano e le sterilizza sul piano della vita soprannaturale, ovvero nella ricerca della santità. Chi ci è nato e vissuto dentro può riportarne perfino dei danni cerebrali: è incapace di ragionare correttamente, libero dagli schemi indeformabili della “formazione” ricevuta. Questi sono d’altronde gli effetti di un indottrinamento forzato di cui non hanno consapevolezza alcuna; un lettore notava sconfortato che, con la maggior parte dei ministri sacri, chi si azzarda ad avanzare qualche perplessità su certi aspetti della chiesa attuale e della “riforma”, è subito investito da un fiume di parole (un «tormentone che sembra imparato a memoria») e poi inesorabilmente ostracizzato…
È proprio così, caro amico: chi sia stato in seminario o in una facoltà teologica conservando un minimo di indipendenza di giudizio conosce bene quel tormentone, quella versione della realtà e della storia che nella Chiesa è stata imposta come l’unica visione legittima e per ciò stesso indiscutibile, neanche fossimo in un regime totalitario. Quando poi, con uno studio più accurato (e soprattutto più libero di spaziare nelle fonti), uno si accorge di essere stato sistematicamente manipolato con una presentazione selettiva – e per di più deformata e tendenziosa – di dati e testi, dopo il primo, istintivo moto di ribellione si rende conto con profonda gratitudine di aver finalmente cominciato a respirare a pieni polmoni un’aria pura … È una delle esperienze più gratificanti per chi ami appassionatamente la verità; è una grazia inestimabile dello Spirito Santo. A questo punto, certo, bisogna rimboccarsi le maniche per ricuperare la virilità soffocata, rimettere in moto il processo di maturazione e riscoprire la vita di grazia; ma il più, grazie a Dio (in senso vero e proprio), è fatto.
Non si creda che ci piaccia la polemica sterile, fine a se stessa: dal nuovo punto di osservazione, semplicemente, la propaganda di partito si riconosce subito e, per quanto possa essere irritante, non fa più la minima presa. Che ci si scomodi, a cinquant’anni esatti di distanza, jour pour jour, per visitare la parrocchia romana dove il Papa dell’epoca celebrò la prima Messa in italiano, ormai ci fa solo sorridere: è un atto di pura propaganda perfettamente omogeneo a tutto il resto. Quello di allora fu un tipico gesto rivoluzionario promosso da individui che, con il Concilio ancora in corso, lo avevano già interpretato nel senso da loro voluto e avevano già iniziato ad applicare – sempre a modo loro – la Costituzione liturgica, non a caso la prima ad essere promulgata. Ciò che rattrista maggiormente è che il sommo Pontefice li abbia docilmente seguiti …
Quello, tuttavia, era soltanto il preludio di una rivoluzione ben peggiore: una Messa – culmine e fonte di tutta la vita cristiana, come ci hanno ripetuto fino alla nausea – non solo tradotta nella lingua parlata, fatto che già da solo la trasforma in non più che pio trattenimento (e, in breve tempo, trattenimento tout court), ma pure rifatta a tavolino come un cadavere sezionato di cui poi si riappiccichino i pezzi a piacimento e imposta all’orbe universo in luogo di quel corpo vivente che era cresciuto e maturato per due millenni. Come se non bastasse, nel passaggio dal testo tipico latino a quello nelle lingue volgari si sono moltiplicate ulteriori manipolazioni e falsificazioni, finanche nel cuore stesso del santo Sacrificio, cioè nella formula di consacrazione: rendere pro multis con per tutti non è una traduzione, sono due espressioni diverse; è un fatto carico di ripercussioni sulla fede del Popolo di Dio, ma gli ideologi della comunità ci hanno inculcato che il loro significato sarebbe identico; si sarebbe trattato anche lì di una semplice interpretazione…
A questo punto la gran parte dei fedeli, ora che potevano finalmente capire le parole della Messa (come se non fossero mai esistiti i messalini bilingui, che i nostri nonni conoscevano a menadito), ha pensato bene di non andarci più: una volta “capito” il gioco, evidentemente, non valeva più la pena di giocarlo. Dal canto loro i giovani ministri, non provando alcuna attrattiva per lo scialbo rito rifilato loro, hanno provato a renderlo più interessante con la propria creatività e inventiva, oppure si sono risolti a limitarsi a “timbrare il cartellino” dei propri doveri d’ufficio per potersi poi dedicare ai loro veri interessi, magari del tutto profani – nel migliore dei casi – o decisamente illeciti e contrari al loro stato – nel peggiore. Chi potrebbe del resto appassionarsi ad un’attività costruita sull’inammissibile ipocrisia del tacito assunto: “Sappiamo tutti perfettamente che non funziona, ma dobbiamo farlo ugualmente”?
Ormai nemmeno quei pochi fedeli che, nonostante tutto, continuano a venire in chiesa sono persuasi da quel che dicono i preti, visto che proprio loro si smentiscono di continuo con i propri stessi comportamenti. Prendiamo per esempio un’affermazione classica del tormentone ideologico post-conciliare: «Il Concilio ha restituito la Bibbia al Popolo di Dio». Poi, per proclamare la Parola sacra nell’assemblea liturgica, ut aiunt, prendono l’ultimo arrivato e lo mandano sul pulpito a leggere un testo che il malcapitato non ha mai visto prima, zeppo di nomi e termini assolutamente sconosciuti: cosa capirà l’assemblea liturgica della divina Scrittura, pur proclamata nella sua lingua nativa, a parte la figuraccia di quel poveretto? O, forse, per restituire la Bibbia al popolo si intende che ognuno se la legga e se la interpreti per conto e a modo suo, come i protestanti? Proprio per evitare che persone impreparate mettessero a rischio la propria e l’altrui fede, si erano saggiamente poste delle limitazioni alla lettura dell’Antico Testamento, all’epoca in cui si aveva a cuore la salvezza eterna di quanti Cristo ha redento con il Suo sangue.
Altro esempio per quelli che sono convinti di andare avanti, ma in realtà sono rimasti indietro e regrediscono sempre di più, dato che l’unico reale progresso, nella Chiesa, consiste nel ritornare alle radici: non si è mai parlato tanto dello Spirito (che un tempo si chiamava Spirito Santo); il fatto è che poi si pecca abitualmente contro di lui impugnando la verità conosciuta o, più semplicemente, ignorandola completamente, specie in ambito morale. Eppure basterebbe aprire un catechismo – meglio quello di san Pio X, piuttosto che quello tedesco od olandese – per conoscere le verità della fede (il che, sia detto per inciso, è ancora necessario alla nostra salvezza). All’epoca della Rete, qualsiasi testo è facilmente reperibile: non cerchiamo scuse, per le chate per il gossip abbiamo sempre tempo… Poi non lamentiamoci, almeno, se ci sentiamo soffocare nell’anima: l’aria pura c’è e sappiamo dove trovarla. Fine del quaresimale.
P.S.: scusate, qualcuno sa dirmi che fine ha fatto il divin Sacrificio? Finanche nelle omelie del sommo, è totalmente assente … Si direbbe che, nella nuova Messa, sia rimasta soltanto la Parola – o piuttosto le parole: perfino lì, ancora fumo!
fonte: Il Giudizio Cattolico