Speranza o certezza nell'Al di là?
La porta del CIelo |
Miei cari lettori, non turbatevi e non stancatevi se ripeto che il nostro Cristianesimo, in Europa Occidentale, è gravemente malato. Non faccio che constatarlo di continuo, ad ogni piè sospinto. Ieri ho partecipato ad un evento luttuoso, evento coperto da molti rischi.
Il rischio di una liturgia banale non c'era: la messa era quella tradizionale (la “tridentina”), fatta con molta pietà e raccoglimento.
Il rischio di un sacerdote secolarizzato non c'era: il buon prete che ha celebrato era quanto di meglio si potesse trovare in tutto il Friuli (e non sto scherzando né facendo un complimento o un'esagerazione), uomo pio, umile e con un profondo senso delle tradizioni.
Il rischio di essere in una chiesa-garage non c'era: la chiesa della celebrazione era un piccolo salotto antico, calda e accogliente.
Insomma, questo evento luttuoso era celebrato con una liturgia che sicuramente Dio ha gradito.
Ciononostante, c'è stato qualcosa che, ad un certo punto, mi ha fatto sobbalzare. L'ottimo prete, in un istante della sua appropriata omelia, ha accennato che “bisogna avere speranza nell'Al di là”. Le mie orecchie hanno sentito la frase ma, più delle orecchie, il mio cuore ha assaporato lo spirito con cui veniva detta. Ho sentito la natura troppo mentale di tale frase: partiva dalla mente, come affermazione frutto di logica, e vi ritornava chiudendosi logicamente su se stessa e facendo leva su un dovere morale di tipo religioso. Era qualcosa di molto piatto. Immediatamente il mio cuore ha sussultato e mi sono detto: “Bisogna avere la speranza nell'Al di là? No! Si ha la certezza nell'Al di là!”.
Coincidenza volle che la sera ho avuto modo di sentire un ottimo amico, intellettuale, storico e filosofo ma, soprattutto, uomo spirituale. Costui, senza sapere di questa mia esperienza mattinale, ha toccato lo stesso tasto. Ho capito, allora, che questo tema era molto importante, fondamentale, al punto che si gioca tutto qui.
Ma perché inconsapevolmente quest'ottimo prete ha parlato di una speranza (di ordine intellettuale) mentre io ho reagito proponendo una certezza? È presto detto.
Nei secoli, all'interno del mondo cattolico c'è stato un progressivo allontanamento e diffidenza dall'esperienza mistica con la quale un animo religioso si accosta al Dio ineffabile e ne percepisce la reale presenza. Questo allontanamento, marcato anche dalla condanna al Quietismo nel XVII secolo, ha accentuato l'impegno nel sociale e l'intellettualizzazione del Cristianesimo. Il Cristianesimo è divenuto sempre più un'agenzia morale (ci si deve comportare “bene” per meritare il Paradiso) e un'accademia teologico-intellettuale. Non meraviglia che Kant abbia estremizzato i termini di un discorso che, logicamente, andava nella sua direzione con la sua opera “La religione entro i limiti della semplice ragione”. Sintetizzo per sommi capi un discorso molto complesso ma, ciononostante, il lettore capirà che qui a rimetterci le penne è proprio l'escatologia Cristiana, l'Al di là stesso. Tutto si esaurisce e si motiva nell'Al di qua.
In un quadro di questo tipo non fa meraviglia che anche un ottimo prete ne esca impolverato, che faccia leva su una concezione morale e si muova su un piano logico-intellettuale.
Al contrario, l'Al di là, come Dio stesso, appartiene alla mistica cristiana, al campo delle percezioni interiori, quelle percezioni che, poi, costruiscono le certezze. In origine la speranza cristiana stessa si fonda su tali certezze al punto che la si può così sintetizzare: siccome io Ti sento per grazia, spero nella tua bontà verso di me, nella possibilità che Tu mi accolga eternamente nella tua gioia.
Ma se prescindiamo dall'esperienza del Divino, quindi dalla prospettiva mistico-spirituale, tutto diviene “dovere” morale, convenzione religiosa, cosa che si “deve pensare”. No, il Cristianesimo non è un pensiero, è un'esperienza. Il pensiero viene dopo e, a mio avviso, non è neppure così importante, dal momento che un pensiero può essere benissimo combattuto con un altro pensiero ma l'esperienza si afferma per se stessa e non può essere contraddetta da nulla. Infatti i farisei potevano pure argomentare contro Cristo, al cieco nato, ma costui gli oppose la forza di un'evidenza esperienziale: "Una cosa so, che ero cieco e ora ci vedo" (Gv 9, 25). Ecco perché un cristiano provato ha la certezza dell'Al di là, non una sua misera e umbratile “speranza intellettuale” appoggiata a concetti e parole.
Ma se si indica diversamente, se il baricentro della vita cristiana sta altrove, si capisce benissimo che si finisce per giungere ad un quadro generale che, in Occidente, non tiene più e trascina tutto dietro di sé.
La mistica bizantina, al contrario, ci riporta nella retta prassi, non perché è bizantina o perché è orientale ma perché riporta ad un senso autentico del Cristianesimo, ad una prassi antica, a quanto dovrebbe sempre essere. Con essa si può dire: “Io [o Dio] ti conoscevo per sentito dire ma ora i miei occhi ti vedono” (Gb 42,5).
La mistica bizantina, al contrario, ci riporta nella retta prassi, non perché è bizantina o perché è orientale ma perché riporta ad un senso autentico del Cristianesimo, ad una prassi antica, a quanto dovrebbe sempre essere. Con essa si può dire: “Io [o Dio] ti conoscevo per sentito dire ma ora i miei occhi ti vedono” (Gb 42,5).
Se certi ambienti ecclesiali non ci portano fino alle soglie di questa percezione hanno fallito totalmente e non hanno più alcun senso. Al contrario, la Chiesa nella sua vera e intima essenza non può che fondarsi su Dio e sulla sua reale percezione, non può che accompagnare già su questa terra alle soglie del paradiso, dalle fessure delle cui porte intravvediamo luce. Ecco perché sant'Ambrogio si permetteva di contrastare l'imperatore rispondendogli: “O Imperatore voi rendete culto [pagano] a ciò che non conoscete, noi [cristiani], al contrario, rendiamo culto a ciò che conosciamo”. Sicuramente la conoscenza di Ambrogio non era una conoscenza prettamente intellettuale ma intuitivo-spirituale, l'unica che ci permette di avere certezza nelle cose di fede! Si insegna questo nei nostri ambienti e nei nostri seminari? No di certo e i prodotti si vedono dal momento che pure i praticanti sono feriti da lancinanti dubbi e lo stesso papa (ahimé!) giunge a giustificarli affermando che se non si dubita si è un poco scemotti, vera e propria blasfemìa, questa ...