venerdì 9 marzo 2018

«Sovvieni alle necessità della Chiesa»



Ieri, durante l’udienza generale, dedicata a una catechesi sulla preghiera eucaristica, il Santo Padre ha tra l’altro affermato:
“Padre, quanto devo pagare perché il mio nome venga detto lí?” – “Niente”. Capito questo? Niente! La Messa non si paga. La Messa è il sacrificio di Cristo, che è gratuito. La redenzione è gratuita. Se tu vuoi fare un’offerta falla, ma non si paga. Questo è importante capirlo.
Naturalmente i media si sono subito buttati a capofitto sulla notizia, soffermandosi su queste tre righe e magari trascurando le altre cinquanta righe della catechesi. Ma questo fa parte del sistema dell’informazione.

Non per voler criticare il Papa, ma solo per deplorare una certa pastorale, diffusa soprattutto nell’immediato post-concilio, fatta piú di slogan che di ragionamenti, con tutto il rispetto chiedo: è proprio necessario ricordare ai fedeli quel che è ovvio («La Messa è il sacrificio di Cristo, che è gratuito») e non aiutarli invece a capire il senso di una prassi secolare della Chiesa (l’uso di accompagnare con un’offerta la richiesta di celebrare la Messa secondo le proprie intenzioni)? Lo scopo della catechesi non dovrebbe essere proprio quello di spiegare ai fedeli il senso, non sempre immediato, di certi usi tradizionali della Chiesa?

Il Codice di diritto canonico dedica un intero capitolo a “L’offerta per la celebrazione della Messa”.  Ne riporto qui i primi tre canoni:
Can. 945 - §1. Secondo l’uso approvato della Chiesa, è lecito ad ogni sacerdote che celebra la Messa, ricevere l’offerta data affinché applichi la Messa secondo una determinata intenzione.
§2. È vivamente raccomandato ai sacerdoti di celebrare la Messa per le intenzioni dei fedeli, soprattutto dei piú poveri, anche senza ricevere alcuna offerta.
Can. 946 - I fedeli che danno l’offerta perché la Messa venga celebrata secondo la loro intenzione, contribuiscono al bene della Chiesa, e mediante tale offerta partecipano della sua sollecitudine per il sostentamento dei ministri e delle opere.
Can. 947 - Dall’offerta delle Messe deve essere assolutamente tenuta lontana anche l’apparenza di contrattazione o di commercio.
Mi sembra che si tratti di un testo molto chiaro ed equilibrato, che però, per ovvi motivi, non tutti i fedeli conoscono (e di qui l’opportunità di farlo conoscere loro nella catechesi). Da questi tre canoni risulta che: a) si tratta di un uso approvato dalla Chiesa; b) si tratta di un modo per sostenere i sacerdoti e l’attività pastorale della Chiesa; c) bisogna guadarsi da ogni forma di mercimonio e occorre essere pronti a celebrare per le intenzioni dei fedeli anche quando non si riceve alcuna offerta.

Il punto principale su cui, secondo me, bisognerebbe insistere è il secondo: attraverso l’offerta per la Messa i fedeli «contribuiscono al bene della Chiesa», dando cosí attuazione al quinto precetto della Chiesa («Sovvieni alle necessità della Chiesa»), di cui al Catechismo della Chiesa cattolica (n. 2042). L’offerta per la Messa serve a molti sacerdoti per far quadrare il bilancio, visto che il loro stipendio non è sufficiente a far fronte a tutte le spese. Per i religiosi, che non possono neppure contare sul sostentamento del clero, l’elemosina per la Messa è spesso l’unico contributo che danno alla comunità che li mantiene. Per molti missionari le intenzioni di Messa sono l’unica entrata, che permette loro di vivere. 

Molti fedeli queste cose non le sanno; molti di loro non sanno neppure che la Messa può essere celebrata secondo le loro intenzioni; e, se lo sanno, non sanno che, quando si chiede di celebrare la Messa secondo le proprie intenzioni, c’è l’uso di fare un’offerta. Per non parlare di quelli che pensano (aiutati in questo dai media, che magari sfruttano certe notizie per insinuarlo) che i preti nuotino nell’oro e che quindi non abbiano bisogno del loro aiuto. In genere capita che a non fare alcuna offerta per la Messa (e per gli altri sacramenti) non siano i piú poveri (che di solito sono i piú generosi), ma le persone a cui non manca nulla e per i quali tutto è dovuto.

Purtroppo il non aver piú insistito su certi aspetti, per paura di ingenerare il sospetto di avidità, sta portando in molti luoghi alla progressiva scomparsa di questa pratica. In Italia ormai soprattutto i religiosi fanno fatica a trovare intenzioni di Messe da celebrare. 

Paolo VI, nel motu proprio Firma in traditione del 13 giugno 1974, metteva opportunamente in luce il significato teologico e spirituale di tale prassi:
È nella costante tradizione della Chiesa che i fedeli, spinti dal loro senso religioso ed ecclesiale, vogliano unire, per una piú attiva partecipazione alla Celebrazione Eucaristica, un loro personale concorso, contribuendo cosí alle necessità della Chiesa, e particolarmente al sostentamento dei suoi ministri, nello spirito del detto del Signore: «L’operaio è degno della sua mercede» (Lc 10:7), richiamato dall’Apostolo Paolo nella prima Lettera a Timoteo (5:18) e nella prima ai Corinzi (9:7-14).
Tale uso, col quale i fedeli si associano piú intimamente a Cristo offerente e ne percepiscono frutti piú abbondanti, è stato non solo approvato, ma anche incoraggiato dalla Chiesa che lo considera come una specie di segno di unione del battezzato con Cristo, nonché del fedele con il sacerdote, il quale proprio in suo favore svolge il suo ministero.
Queste sono le cose che, a mio parere, dovremmo aiutare i fedeli a capire. Rammentare loro quanto già sanno — che il Sacrificio di Cristo è gratuito — non li aiuta certo a prendere coscienza dei doveri che hanno verso la Chiesa e i suoi ministri.
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mercoledì 28 febbraio 2018

Il latino e la Cristianità - Editoriale di "Radicati nella fede", Marzo 2018


Pubblichiamo l'editoriale di Marzo 2018

IL LATINO E LA CRISTIANITA'


IL LATINO E LA CRISTIANITA'
Editoriale di "Radicati nella fede" - Anno XI n° 3 - Marzo 2018

  Quando iniziò la nostra storia eravamo conosciuti come “quelli della messa in latino” e ancora oggi chi vuole esprimersi sbrigativamente dice così.



  A noi questa espressione non è mai piaciuta, perché affrettatamente riduttiva di tutta una visione non solo della liturgia, ma di tutta la vita cristiana, concepita secondo la grande Tradizione della Chiesa.



  Siamo stati sempre coscienti, inoltre, delle difficoltà provocate ai fedeli dall'uso del latino, difficoltà di ordine pratico e psicologico, essendo questi abituati da troppi anni all'uso dell’italiano nella messa; e non ci è mai piaciuto mettere in difficoltà, siamo pastori e non abbiamo mai giocato.



  Allora perché ostinarsi con il latino?

  Innanzitutto, l'abbiamo sempre detto, perché siamo per la salvaguardia del rito bimillenario della Santa Messa della Chiesa di Roma; la nuova messa non ne è la traduzione in lingua comprensibile, ma una spaventosa “scheletrizzazione”, operata per avvicinarci pericolosamente al modo protestante di concepire la preghiera, specialmente nella forma anglicana. Risultato: il popolo cattolico è praticamente omologato ai fratelli separati, ha cambiato fede.

  Per questo reagiamo contro questa distruzione della fede cattolica con l'unica possibilità che la Chiesa ci offre nella sua legislazione, restare alla Messa “di prima”, di prima del disastro.

  Detto questo è vero che insistiamo con il latino, usandolo anche nella proclamazione dell'Epistola e del Vangelo, anche se avremmo facoltà di leggerle solo in italiano. Le ragioni sono diverse, non ultima è che il latino è stato la lingua della Cristianità, cioè della realizzazione della società cristiana in occidente; ed è sicuramente questo il motivo principale per cui è stato praticamente abolito, se si esclude qualche suo folkloristico uso a Roma e altrove.



  Il progetto dei rivoluzionari, che si sono impossessati del Concilio e della sua attuazione violenta nel post-Concilio, era quello di segnare un nuovo inizio della Chiesa, un “anno zero”, in cui finalmente il Cristianesimo si sarebbe liberato da tutte le ambiguità del passato, prima tra tutte la commistione col potere. E qual era, secondo i novelli apostoli del cristianesimo puro, l'inizio del male? L'epoca Costantiniana, la conversione dell'Impero Romano al Cristianesimo. E che cosa c'è che ricorda più di tutto, dal punto di vista pratico esterno, l'unione tra Impero e fede cattolica? Non c'è dubbio, l'uso del latino.



  È nell'uso del latino che anche un semplice fedele intuisce che la Chiesa cattolica sia l'erede dell'Impero Romano. L'uso del latino intuitivamente richiama che la società divenuta cristiana è nient'altro che la realizzazione pratica, pur sempre perfettibile, del Vangelo di Cristo. È nell'uso del latino che senti come la cristianizzazione della società operatasi nel Medioevo costituisca il vertice dell'opera cattolica di trasformazione del mondo per la salvezza delle anime...



 ... ma loro non volevano più tutto questo. I rivoluzionari avevano deciso che la Chiesa dovesse sbarazzarsi del passato che, a loro meschino giudizio, aveva falsificato l'opera di Cristo.



  Per questo, per loro, il Concilio e il post-Concilio divennero la più sconvolgente e brutale operazione per abolire duemila anni di Cristianesimo, e ritornare a un mitico “Gesù puro”, al Gesù senza la sua Cristianità: fu la velenosa illusione di tutte le eresie, anche di quella di Lutero, che in fondo sono semplicemente degli spiritualismi satanici.



  Un Cristo senza la sua Cristianità, ridotto a predicatore morale; un Cristo senza la sua Chiesa e la sua storia, la storia della cristianizzazione del mondo, la storia della società cristiana, degli stati e delle nazioni cristiane, che hanno prodotto una civiltà che ha aiutato la salvezza delle anime.

  Un Cristo senza il corpo! Senza il suo corpo!

  No, loro non volevano più tutto questo, pensando che le persone sarebbero state in piedi da sole, dentro un mondo libero di tradire Cristo e la verità.

  Hanno rifiutato il lavoro paziente di secoli, che aveva nel latino il suo segno esterno più evidente... e hanno dovuto cambiare la Messa!



  La scusa era la comprensione dei fedeli... e loro sapevano di mentire.



  Altro che comprensione dei fedeli! Mai i cristiani sono stati ignoranti come oggi. Andate nelle scuole, girate per le strade, parlate con la gente, la nostra gente: non sa nemmeno più che Dio è Trinità.



  Ma di tutto questo parleremo un'altra volta; intanto chiediamo fedeltà nella salvaguardia della Messa di sempre, la Messa latina, chiedendoci una rinnovato vigore nel divenirne missionari, ciascuno secondo la propria vocazione: invitiamo, facciamola conoscere e amare, per fare amare la storia di tutta la Cristianità.



  O sancte Joseph, protector noster, ora pro nobis.

mercoledì 21 febbraio 2018

Summa contra laxistas di Don A. Morselli

Don Morselli scrive ai Vescovi dell’Emilia Romagna, contesta la loro interpretazione di Amoris laetitia ed esprime fedeltà alla Chiesa


A Sua Ecc.za Rev.ma
Mons. Matteo Zuppi
Arcivescovo di Bologna

Pubblica professione di fede in forma di giuramento
  1. Premessa.
Eccellenza,
non Le ho mai nascosto le mie perplessità nei confronti dell’Esortazione Amoris laetitia: perplessità condivise con autorevoli personalità della Chiesa, Cardinali e Vescovi, soprattutto con il Suo Predecessore.

Mai mi sarei sognato di esternare questi dubbi se anche queste personalità non si fossero pronunciate in modo analogo.
Inoltre, preliminarmente, dichiaro di sottoporre al giudizio della Chiesa quanto contenuto in questo scritto, ed intendo fin d’ora per ritrattato tutto ciò che di contrario alla fede – del tutto involontariamente – io eventualmente affermassi.
  1. Grande confusione nella Chiesa
Il Card. Caffarra diceva, il 14-1-2017, che “Solo un cieco può negare che nella Chiesa ci sia grande confusione”[1] e che “La divisione tra pastori è la causa della lettera che abbiamo spedito a Francesco”[2].
Nuovi fatti sono sopraggiunti da allora: e mentre, appellandosi all’esortazione vien messa in discussione Humane vitae, mentre alcuni Vescovi si sono dichiarati favorevoli a benedire la convivenza di persone con tendenza omosessuale, pure sono state presentate le Indicazioni sul capitolo VIII dell’Amoris Laetitia, a firma de I Vescovi dell’Emilia Romagna, pubblicate il 15-1-2018; non riesco a vedere come detto documento non costituisca un allontanamento da quanto proposto a credere dalla Chiesa, in modo chiarissimo, fino a pochi anni fa.

mercoledì 31 gennaio 2018

Il compito che ci attende - Editoriale di "Radicati nella fede", Febbraio 2018.


Pubblichiamo l'editoriale di Febbraio 2018

IL COMPITO CHE CI ATTENDE


IL COMPITO CHE CI ATTENDE
Editoriale di "Radicati nella fede" - Anno XI n° 2 - Febbraio 2018

 La protestantizzazione del Cattolicesimo è veramente il disastro più grande che poteva capitare, è opera del maligno che vuole annullare l'azione di Cristo nella vita degli uomini.

  Se è tristissimo vedere come da più parti, troppe parti, non si perda occasione per inneggiare a Lutero anche in casa cattolica; se è penoso dover constatare che, con una superbia pari solo all'ignoranza, troppi pastori con le loro diocesi si affrettano a riabilitare Lutero, quasi che per quattro secoli nessuno avesse colto il nocciolo della questione; se è vergognoso vedere come, con un colpo di spugna, si possa cancellare il lavoro dei santi della riforma cattolica, che hanno smascherato gli inganni dell'eresia di Martin Lutero e dei suoi seguaci, è ancora più triste vedere come questo modo falso di vivere il cristianesimo si diffonda popolarmente, pressoché universalmente.

  La protestantizzazione prende tante facce e coinvolge tanti aspetti, ma uno di quelli più rilevanti è la riduzione di tutto il Cristianesimo ad una fede astratta.

  È la pratica realizzazione del Sola Fide di Martin Lutero.

 Qual è la questione?

  La questione è che la fede è diventata tutto! come se fosse la cosa più difficile e quindi l'unico dono da dare a Dio. Circola un'idea di fede come completamente staccata dalla ragione: una specie di “salto nel buio” che l'uomo compie spinto da una ispirazione interiore; una sorta di sentimento spiritualizzato.
  Insomma, la fede viene travisata e giudicata un atto così straordinario, che quando un uomo rischia nell'atto di fede finisce per pensare di aver praticamente compiuto già il proprio “sacrificio” innanzi a Dio.

  È come se si finisse col dire: “io credo, e quindi il Signore deve già essere contento di me”.

  Sola Fide, solo la fede salva... si è così trasformato il cattolicesimo, anche popolare. Il mondo cristiano è per lo più fatto oggi di vaghi credenti, che si ritengono giusti perché fanno lo sforzo di non negare l'esistenza di Dio... e tutto resta qui. Un cattolicesimo così tristemente ridotto non produce più niente, anzi si piega alla completa adesione al mondo e al suo modo di vivere. È sotto gli occhi di tutti che questa protestantizzazione della Chiesa è stato il miglior veicolo per la completa laicizzazione della società.

  Invece la fede è ragionevole, segue la ragione; credere in Gesù Cristo e nella Rivelazione è il modo più normale di ragionare: da indizi chiari risali alla conoscenza certa di Dio Trinità. I discepoli hanno fatto così, hanno visto l'eccezionalità della personalità di Cristo, lo hanno sentito parlare come nessun'altro; hanno visto i miracoli, che sono i segni della divinità di Gesù, hanno visto e toccato il suo corpo risorto e... hanno pagato con il sangue la loro testimonianza. È ragionevole allora fidarsi della loro testimonianza e quindi credere fermamente in Gesù Cristo.

  In questo senso la fede non è proprio un “salto nel buio”, ma è semplicemente un tipo di conoscenza. È conoscenza indiretta, tramite testimone; è un cosa normale per l'uomo, normalissima. La maggioranza delle cose che conosciamo, le sappiamo perchè qualcuno ce le ha testimoniate, non perché le abbiamo viste direttamente.

  E’ per questo che la fede è obbligante, perché corrisponde ad un modo normale di ragionare. Ti fidi perchè hai le ragioni per fidarti: tutto questo non può essere l'eccezionalità, è la normalità.

  La normalità è credere in Cristo, l'anormalità è non credergli, questo non solo dal punto di vista religioso, ma semplicemente umano.

  Il Credo che cantiamo ogni Domenica a Messa non è fatto per dire a Dio che crediamo in lui, sarebbe troppo poco. È fatto invece per ribadire i contenuti della Rivelazione che crediamo, per ricordare tutte le principali verità di fede che Dio ci ha detto; e noi le crediamo fermamente perchè è ragionevole credere nell'autorità di Cristo che le ha rivelate, visto che ha dato segni innumerevoli e inequivocabili della sua divinità.

  Per questo il problema non è credere, ma vivere di fede... cioè fare fino in fondo la volontà di Dio.

  La vera questione è decidere di seguire ciò che Cristo ha detto e la Chiesa, nella sua Tradizione, ci indica: cioè vivere una vita totalmente diversa da quella che il mondo di oggi ci propone. Così hanno fatto i primi cristiani, che non andavano al circo dove ci si divertiva della violenza; così han fatto i martiri, così gli eremiti che per non peccare andavano in solitudine.

  La lettera a Diogneto così descrive questa scelta decisa per la volontà di Dio:

  «I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, né essi aderiscono ad una corrente filosofica umana, come fanno gli altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. Non sono conosciuti, e vengono condannati. Sono uccisi, e riprendono a vivere. Sono poveri, e fanno ricchi molti; mancano di tutto, e di tutto abbondano. Sono disprezzati, e nei disprezzi hanno gloria. Sono oltraggiati e proclamati giusti. Sono ingiuriati e benedicono; sono maltrattati ed onorano. Facendo del bene vengono puniti come malfattori; condannati gioiscono come se ricevessero la vita. Dai giudei sono combattuti come stranieri, e dai greci perseguitati, e coloro che li odiano non saprebbero dire il motivo dell'odio. A dirla in breve, come è l'anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani.» (Lettera a Diogneto, V,1-VI,1)

  E' questa la volontà di Dio, vivere secondo la fede. Invece il Protestantesimo ha fatto credere che l'opera è credere e solo per questo Dio dovrebbe ringraziarci. Il Protestantesimo è semplicemente un cristianesimo che non cambia il mondo, ma che è cambiato dal mondo.

  Anche per noi, che vogliamo vivere secondo la grande Tradizione Cattolica, si pone la stessa urgente scelta: vivere secondo la fede o accontentarsi di credere?

  È il bivio drammatico: da una parte c'è il cristianesimo che cambia il mondo e salva le anime, dall'altra parte un Protestantesimo che distrugge la presenza cristiana nel mondo.

  E se vogliamo tradurre in modo più esplicito per noi, questo bivio drammatico diventa: fare la tradizione in tutto, a partire dalla messa, lasciando che essa coinvolga tutti gli aspetti della vita? oppure accontentarsi di disquisire solamente per una chiesa più tradizionale?

  La fede senza le opere è morta, quindi non solo credere ma vivere di fede. E più nel piccolo vuol dire per noi fare una vita veramente tradizionale, e non solo pensarla per la chiesa e per il mondo.

  Quanto lavoro ci attende in questo anno! Quanto lavoro per vincere il nostro imborghesimento, che è sempre il frutto di una terribile protestantizzazione.

martedì 2 gennaio 2018

Professione delle verità immutabili riguardo al matrimonio sacramentale


Loro Ecc.ze Rev.me Mons. Tomash Peta, Mons. Jan Pawel Lenga e Mons. Athanasius Schneider
Dopo la pubblicazione dell’Esortazione Apostolica “Amoris laetitia” (2016) vari vescovi hanno emanato a livello locale, regionale e nazionale norme applicative riguardanti la disciplina sacramentale di quei fedeli, detti “divorziati risposati”, i quali, vivendo ancora il loro coniuge al quale sono uniti con un valido vincolo matrimoniale sacramentale, hanno tuttavia iniziato una stabile convivenza more uxorio con una persona che non è il loro coniuge legittimo.

Le norme menzionate prevedono tra l’altro che in casi individuali le persone, dette “divorziati risposati”, possano ricevere il sacramento della Penitenza e la Santa Comunione, pur continuando a vivere abitualmente e intenzionalmente more uxorio con una persona che non è il loro coniuge legittimo. Tali norme pastorali hanno ricevuto l’approvazione da parte di diverse autorità gerarchiche. Alcune di queste norme hanno ricevuto l’approvazione persino da parte della suprema autorità della Chiesa.

sabato 30 dicembre 2017

Il metodo di Dio: la Chiesa. - Editoriale di "Radicati nella fede", Gennaio 2018.


Pubblichiamo l'editoriale di Gennaio 2018 

IL METODO DI DIO: LA CHIESA


IL METODO DI DIO: LA CHIESA
Editoriale di "Radicati nella fede" - Anno XI n° 1 - Gennaio 2018


 Un Tradizionalismo individualista è un puro non-senso.

 Spieghiamoci subito riguardo al termine “tradizionalista”: lo usiamo qui per farci capire dai più, ma questo termine non ci piace. Vorremmo semplicemente dire “un Cattolicesimo”, ma usiamo volutamente il termine “un tradizionalismo” perché è quello usato contro di noi per definirci nel nostro attaccamento alla Tradizione della Chiesa. Se allora questo termine ci individua nella nostra accanita salvaguardia di ciò che la Chiesa ha fatto, e non solo detto, nel passato, questo ci piace.

 Ma dicevamo, un tradizionalismo individualista è un puro non senso, perché il metodo di Dio si chiama Chiesa.

lunedì 25 dicembre 2017

Buon Natale!

 
 
 
      
 
 

giovedì 7 dicembre 2017

tre Papi un Conclave un Te Deum


La chiesa dei tre papi
Seicento anni fa l’elezione “miracolosa” di Martino V pose fine allo scisma d’occidente. Tra divisioni e lotte, una soluzione sembrava impossibile. Lezioni utili per l’oggi





Il conclave dal quale l’11 novembre 1417 il cardinale Odo Colonna uscì come Papa Martino V, rappresenta un evento straordinario nella storia della Chiesa. Sia la situazione di partenza e le circostanze dell’elezione, sia il collegio degli elettori e la procedura stessa non avevano precedenti nella storia dei Papi. Diamo anzitutto uno sguardo alla situazione in cui si trovava la Chiesa quando gli elettori entrarono in conclave a Costanza. La Chiesa, a quel tempo, stava vivendo ormai da quarant’anni in una situazione di scisma. O meglio: dopo l’elezione dell’antipapa Clemente VII, avvenuta a Fondi il 20 settembre 1378, c’erano prima due e poi, dopo il fallito tentativo di composizione a Pisa nel 1409, addirittura tre “Papi”, ognuno dei quali rivendicava la propria legittimità come successore dell’apostolo Pietro.

giovedì 30 novembre 2017

La Religione dell'Incarnazione: un fatto, un luogo, dei volti - Editoriale di "Radicati nella fede", Dicembre 2017.


Pubblichiamo l'editoriale di Dicembre 2017

LA RELIGIONE DELL'INCARNAZIONE:
UN FATTO, UN LUOGO, DEI VOLTI.


LA RELIGIONE DELL'INCARNAZIONE: 
UN FATTO, UN LUOGO, DEI VOLTI.
Editoriale di "Radicati nella fede" - Anno X n° 12 - Dicembre 2017.


  Il grande Cardinale Newman ha scritto che se gli avessero domandato di scegliere una dottrina come base della nostra fede cattolica, avrebbe senz'altro scelto la dottrina dell'Incarnazione:

  “Io direi, per quanto mi riguarda, che l'Incarnazione è al cuore del Cristianesimo; è di là che procedono i tre aspetti essenziali del suo insegnamento: il sacramentale, il gerarchico e l'ascetico.



  Il Figlio di Dio ha unito la sua natura divina alla nostra natura umana affinché, come dice la preghiera dell'offertorio della messa, “possiamo divenire partecipi della sua divinità”.


venerdì 10 novembre 2017

L’improbabilità e la sciagura



 

Del Cristianesimo si possono elencare tre caratte­ristiche: la prima che esso è improbabile, la seconda che è una storia di sciagure e la terza caratteristica, che bilancia le prime due, è che esso ha cambiato la storia umana, ha costruito attorno a se la storia una e universale dell'umano. La Passione insomma, «scia­gurata» ed «improbabile», ha dominato la storia attra­verso la sua improbabilità e le sue sconfitte.

La prova delle origini divine del Cristianesimo è data dall'unione dei due aspetti: da un lato l'improba­bilità e la sciagura, dall'altro la centralità storica. Si è sempre potuto dubitare del futuro del Cristianesimo, anche oggi, ed ogni volta le ragioni del dubbio sono state diverse. Nell'epoca moderna, il Cristianesimo era improbabile perché negato dalla scienza e sostituito dalla rivoluzione. All'inizio del terzo millennio si può pensare che esso non reggerà alla forza della pressione demografica islamica, del crescere dei Paesi non cri­stiani d'Oriente come la Cina e l'India, impenetrabili fino ad ora all'annuncio cristiano.

In ogni momento il Cristianesimo è stato segnato dalla sua improbabilità, minato da tutte le ostilità che ha incontrato. Inoltre, esso non si è difeso da se stes­so: poiché ammetteva la filosofia e la ragione, ha dovuto sopportare il peso della divisione che la differen­za razionale inevitabilmente porta con sé. Ha accetta­to, ed anzi introdotto nel mondo, la possibilità di pen­sare Dio come se fosse un oggetto della mente e quindi ha subito le aporie del pensiero. Non ha mai potuto censurare la libertà di ricerca sulla Rivelazione e, quando lo ha tentato, non vi e riuscito, appunto perché la Rivelazione di Dio libera i pensieri su Dio e rende il Mistero spazio della ragione.

I nemici interni del Cristianesimo, quelli che na­scevano dalla sua stessa essenza, sono stati più perico­losi dei nemici esterni. Esso ha conosciuto al tempo stesso i dubbi della ragione e la potenza della persecu­zione; il secolo XX è un esempio eminente di questo fatto.

Sempre improbabile e sempre segnato dalla scia­gura, ma centro di tutta la storia che trova sempre nuovi motivi per negarlo e deformarlo, disgregandolo con la ragione o annientandolo con l'uso del potere politico contro di esso, il Cristianesimo ha ottenuto il singolare risultato di essere disprezzato senza mai essere divenuto oggetto di indifferenza. Coloro che lo ri­gettano sono molti di più di quelli che lo accolgono, e tuttavia il rigetto diviene un segno dell'identità di chi lo rigetta.

Oggi sembra non esistere più una apologetica cri­stiana: la teologia postconciliare l'ha distrutta, stabi­lendo che ogni uomo è un «cristiano anonimo» e che quindi la fede non e più necessaria alla salvezza; che essa non deriva dall'annuncio, ma è implicita nella ra­gione e nella natura umana. Una apologetica cristiana suppone che il Cristianesimo sia un fatto antecedente alla ragione e che la ragione possa apprezzarlo solo ri­conoscendolo come diverso da sé. Così, per il Cristia­nesimo, l'improbabile e lo scandaloso sono il principio della sapienza, e per questo la Passione e la Croce con­tengono in sé, in compendio, tutto il Cristianesimo.

L'apologetica cristiana consiste perciò nella storia delle sue sconfitte - che erano tutte probabili - e della sua sopravvivenza, che è stata ed è sempre improbabile.

 

(Gianni Baget Bozzo, Verità dimenticate, Ancora, 2005, p. 15- 17)