L'opera di Michael Davies, “La riforma liturgica anglicana”, come si può constatare, è di grande aiuto per capire come i protestanti inglesi, nel secolo XVI, si sono mossi per introdurre l'eresia in una terra che era ancora sostanzialmente cattolica. Lo hanno fatto riformando il culto, soprattutto il rito della messa, con modifiche graduali...per evitare lo scandalo e la dura reazione di rifiuto di coloro che non intendevano cambiare fede. Abbiamo precedentemente visto come i novatori rifiutino l'altare, che richiama la realtà del Sacrificio, e lo sostituiscano con il tavolo, sottolineando della messa unicamente il carattere di Cena, pasto sacro, e questo nella linea della più classica protestantizzazione.
Affrontiamo ora due delle altre modifiche al rito della messa, quella di vietare l'uso della lingua latina e quello di vietare il Canone a bassa voce, prescrivendo che la preghiera di consacrazione sia recitata dal sacerdote ad alta voce, così da essere intesa da tutti i fedeli presenti. D'altronde, l'impatto più difficile per chi, abituato alla nuova messa di Paolo VI, si trovi ad assistere alla messa in rito antico è sì nell'uso della lingua latina, ma sopprattutto è in quel lungo silenzio dal Sanctus al Pater noster; silenzio pesante per chi non è più abituato alla preghiera personale. E poi sembra che il prete sia troppo separato, lassù sull'altare, lui e Dio, “a fare una cosa tutta sua”, “e noi cosa ci stiamo a fare”: sembra di sentirli alcuni fedeli che per la prima volta vengono alla messa antica. La pagina che segue di M. Davies può essere molto utile per dei primi chiarimenti.
Whitby Abbey
Il vernacolare e la celebrazione della liturgia ad alta voce
Certi riformatori iniziarono col fare uso di una liturgia tradizionale modificata celebrata in latino. Tuttavia, una caratteristica del protestantesimo (ad eccezione di qualche luterano) fu ben presto che il culto doveva essere celebrato in lingua vernacolare (nella lingua parlata, ndr).
L’introduzione del vernacolare prima ancora che non fossero imposti i nuovi servizi, fu, in sé, “una vera rivoluzione” (P. Hughes, The Reformation in England, Londra 1950, p. 113). Tutto il carattere della messa ne fu cambiato. Fu anche uno strumento efficace di trasformazione rivoluzionaria, perché il popolo si abituasse che si poteva modificare radicalmente la sua maniera di celebrare il culto. Ora, il tratto dominante della liturgia cattolica era stato la stabilità.
Certo, la maniera di celebrare la messa aveva ben conosciuto degli sviluppi, ma si erano introdotti in modo quasi impercettibile lungo il tempo; da diversi secoli, e ancora di più, i messali in uso in Inghilterra e in tutta l’Europa nel XVI secolonerano rimasti non cambiati. Per i fedeli, una cosa era certa: se il resto poteva cambiare, la messa, lei, non lo poteva. La celebrazione di alcune parti o della totalità della messa in inglese impressionò molto di più i semplici fedeli cattolici che l’imposizione nel 1549 del servizio della santa cena nuovamente composto in vernacolare. Douglas Harrison, decano anglicano di Bristol, riconobbe senza imbarazzo che introducendo la lingua inglese negli uffici tradizionali, “Cranmer preparava apertamente il giorno in cui si sarebbe potuto intraprendere la revisione della liturgia” (D. Harrison, The first and Second Prayer Books of Edward VI, Londra 1968, introduzione p. X). Dall’11 aprile 1547, si cantava compieta in inglese nella cappella reale. L’apertura del primo Parlamento del regno di Edoardo VI fu l’occasione di una innovazione ancora ben più importante, perché colpiva il rituale della stessa messa: accompagnato da tutti i lords spirituali e temporali, il re si recò a cavallo dal palazzo di Westminster alla chiesa di San Pietro (2) per assistere ad una messa nel corso della quale il Gloria, il Credo e l’ Agnus Dei furono cantati in inglese (F. Gasquet e H. Bishop, Edward VI and the Book of Common Prayer, londra 1890, p. 64).
I vescovi più conservatori essi stessi erano ora disposti ad ammettere che se, alla messa, il latino doveva restare la regola generale, in particolare “nei santi misteri, almeno certe preghiere potevano essere dette nella lingua materna per istruire il popolo o ravvivare la sua devozione, se lo si reputava un bene” (Ibid., p.89).
Dal 12 marzo 1548, si poteva sentire a Westminster una messa celebrata interamente in inglese, compresa la consacrazion (Ibid., p. 102). Lo storico protestante A.L. Rowse scrive: “Chiunque ignora le leggi dell’antropologia coglie male il carattere straordinariamente audace di questa sostituzione con una liturgia in inglese dell’antico rito latino della Cristianità occidentale nel quale, da tempo immemorabile, gli Inglesi erano stati cullati e allevati, e che turbamento profondo un tale atto non poteva non infliggere a quelle zone dell’inconscio sulle quali riposa la vita di una società … Niente saprebbe attenuare l’audacia rivoluzionaria di un simile intervento nell’ordine del costume, del subcosciente e dei riti dell’esistenza" (A. L. Rowse, The England of Elizabeth: the Structure of Society, Londra 1951, p.17). E nello stesso tempo in cui imponevano l’uso del vernacolare, i riformatori esigevano che tutto l’ufficio potesse essere ascoltato dall’assistenza. Una rubrica del Prayer Book del 1549 lo prescrive: il prete “dice, o canta, ad alta ed intelligibile voce, la preghiera che segue”, cioè il canone (D. Harrison, op. cit, p. 221).
E' interessante sapere che il Concilio di Trento interverrà esplicitamente su questa questione, scomunicando chi affermasse che è obbligatorio pronunciare le parole della consacrazione, il Canone, ad alta voce, così come chi obbligasse alla messa in lingua parlata abbandonando il latino. Nel corso della sua XXII sessione, il 22 settembre 1562, il concilio di Trento dichiarò anatema chiunque sostenesse la proposizione seguente: “Il rito della Chiesa romana, dove si pronuncia a voce bassa una parte del canone e le parole della consacrazione, deve essere condannato; la messa non deve essere celebrata che in lingua volgare”. (Denzinger, 1759). A questo riguardo sembra interessante citare il testo del concilio di Trento che giustifica e spiega la preferenza secolare della Chiesa e la sua attitudine a proposito di questa questione, preferenza che aveva allora secoli di esistenza e che fu confermata solennemente da questo concilio. Il concilio di Trento spiega che “è tale la natura dell’uomo che non può facilmente elevarsi alla meditazione delle realtà divine senza degli aiuti esteriori. E’ per questo che la Chiesa, madre pia, ha istituito certi riti nella messa: delle parole pronunciate sotto voce, altre a voce più alta. Essa fa uso anche di cerimonie: benedizioni mistiche, luci, incensazioni, vesti e altre cose della stessa natura, ricevute dall’autorità e dalla tradizione apostolica. Così sarà messa in valore la maestà di un così grande sacrificio, e gli spiriti dei fedeli saranno stimolati, per mezzo di questi segni visibili di religione e di pietà, alla contemplazione delle realtà invisibili nascoste in questo sacrifico”.
Come è utile sapere il perché di certi riti e usi nella Chiesa, per evitare di compiere gli stessi errori e di applicare criteri estranei alla fede cattolica, in qualsiasi riforma... cose più che mai attualissime. Continua....