Lettera agli amici e benefattori
di S. Ecc. Mons. Bernard Fellay
Superiore Generale della Fraternità San Pio X
28 novembre 2010
Cari amici e benefattori,
quarant’anni fa, il 1 novembre 1970, Mons. François Charrière, vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo, firmava il decreto di erezione della Fraternità Sacerdotale San Pio X. Chi avrebbe pensato allora che noi avremmo attraversato questi quarant’anni come abbiamo fatto? Infatti, la somma degli avvenimenti a cui è andata incontro la nostra società supera ogni immaginazione. A cominciare dall’ingiusta soppressione che la colpì cinque anni più tardi…
Il cardinale Oddi riassumeva il motivo di questa situazione dicendo che Mons. Lefebvre aveva agito per un amore troppo grande della Chiesa! Argomento piuttosto sorprendente per spiegare una sequenza impressionante di condanne. Quel che è certo, è che la nostra società ha conosciuto un destino unico negli annali della storia della Chiesa.
La consacrazione dei quattro vescovi ha certo amplificato la controversia nella quale la Fraternità è stata implicata quasi fin dalla sua fondazione. E tuttavia, questa controversia ha continuato a riguardare persone che hanno a cuore la conservazione di tutti i principi più cari della Chiesa cattolica. Essi si glorificano del titolo di fedeli e sono talmente legati a questi elementi essenziali che hanno meritato l’appellativo di tradizionalisti. Essi hanno in orrore la contestazione, la sovversione, la rivoluzione, eppure, fin dall’inizio, essi apparivano come dei ribelli, dei contestatori in aperta opposizione all’autorità, un’autorità che essi affermano di voler riconoscere sinceramente e alla quale tuttavia si oppongono fermamente.
Si, le contraddizioni riscontrate nel corso della nostra piccola storia ci fanno ripetere con commosso stupore le parole con le quali San Paolo descriveva le prove che lui stesso attraversava allora: «nella gloria e nel disonore, nella cattiva e nella buona fama. Siamo ritenuti impostori, eppure siamo veritieri; sconosciuti, eppure siamo notissimi; moribondi, ed ecco viviamo; puniti, ma non messi a morte; afflitti, ma sempre lieti; poveri, ma facciamo ricchi molti; gente che non ha nulla e invece possiede tutto» (2 Cor 6, 8-10).
Ma in questa riflessione, possiamo andare ancora più lontano, soprattutto quando vediamo che siamo precisamente puniti a causa della nostra obbedienza, in particolare a causa del nostro attaccamento alle verità affermate dalla Chiesa da sempre e a causa della nostra opposizione agli errori da essa condannati.
Ecco ciò che ci ha procurato tante maledizioni da parte di coloro che oggi hanno autorità nella Chiesa. Fino al punto in cui, ancora oggi, certi ci considerano o ci dichiarano scismatici. Mentre noi vogliamo solo portare la buona novella della Salvezza, i nostri comportamenti e le nostre iniziative vengono considerate come pericolose da molti; la più piccola delle nostre azioni provoca delle reazioni totalmente sproporzionate.
Si prenderebbero maggiori precauzioni se bisognasse premunirsi contro il diavolo?
Noi davvero portiamo in noi il segno annunciato dalla profezia di Simeone alla Santissima Vergine, il segno di contraddizione di Nostro Signore. Ma se questo implica molta sofferenza nei nostri cuori, molta incomprensione, ciò malgrado noi ci rallegriamo per aver parte alle sofferenze di Nostro Signore e alla magnifica beatitudine, l’ultima riportata da San Matteo: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5, 11-12).
Tutti questi elementi ci ricordano che qui in terra la Chiesa porta il nome di “militante”, perché essa deve sempre combattere. Il fine che le ha assegnato Nostro Signore e che consiste nel salvare le anime, non si ottiene senza lotta, una lotta essenzialmente spirituale, ma molto reale, che conosce qua e là delle ricadute temporali più o meno marcate.
Nostro Signore Gesù Cristo ha ingaggiato una battaglia definitiva col demonio per strappargli queste povere anime che arrivano nel mondo in suo potere con la macchia del peccato originale. Questa battaglia è quella di tutti i secoli; dimenticarla significa condannarsi a non comprendere seriamente alcunché della grande storia degli uomini.
Quanto a noi, portiamo tutti i giorni le stimmate di questa battaglia, e questo è per noi occasione di grande gioia. In ogni tempo, gli autori spirituali hanno considerato la prova come un buon segno e anche un marchio di predilezione. Poiché oggi si fa di tutto per dimenticare e perfino per negare queste verità fondamentali del combattimento spirituale, noi siamo felici di contribuire, per la nostra piccola parte, a mantenere viva nella nostra carne una tale verità.
Non che noi non aspiriamo alla pace, che verrà a suo tempo, secondo il beneplacito della Divina Provvidenza, che non vogliamo anticipare in niente.
In questo, noi seguiamo da vicino il cammino tracciato dal nostro venerato fondatore, Mons. Marcel Lefebvre. Cammino luminoso in mezzo alle tenebre della più spaventosa prova che possa capitare ad un cattolico: trovarsi in una situazione di contraddizione con le autorità romane e perfino col Vicario di Cristo.
Questi quarant’anni sono zeppi di lezioni che fanno vedere quanto la percezione di Mons. Lefebvre fosse giusta. Sul Concilio, sulle cause della crisi, sulla decadenza del sacerdozio, sull’indebolimento della dottrina, sulla simpatia mai vista della Chiesa per il mondo e le altre religioni, sul liberalismo. Ma anche sui rimedi da applicare, che si basano sulla fedeltà sia alla dottrina sia alla plurisecolare disciplina della Chiesa.
Veramente, noi non abbiamo nulla da inventare!
I mezzi dati da Nostro Signore alla sua Chiesa sono sempre assai fecondi e lo saranno sempre, poiché vengono da Dio nostro Creatore e Salvatore; la fede e la grazia superano tutte le circostanze di tempo e di luogo, tutte le contingenze, poiché esse superano essenzialmente la natura umana, le sue capacità, le sue speranze. Questi mezzi sono propriamente soprannaturali.
Ecco perché il cammino di Mons. Lefebvre è sempre attuale. Ciò che egli diceva trent’anni, quarant’anni fa, è ancora perfettamente valido oggi. Questo ci obbliga ad una grandissima azione di grazie verso Dio per averci donato – come a tutta la Chiesa – un tale vescovo.
Non v’è alcun dubbio che, se nella Chiesa si seguissero le sue preziose indicazioni, tutto il Corpo Mistico si comporterebbe meglio e ben presto uscirebbe da questa crisi.
Ma a guardare ciò che accade nella Chiesa, anche se qua e là appaiono dei barlumi di speranza, si deve constatare che, nel suo insieme, il vascello prosegue la sua corsa iniziata a partire dal Vaticano II – certo un po’ rallentata con Benedetto XVI, ma niente di più che una caduta libera frenata da un paracadute.
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Fra le lezioni che Mons. Lefebvre ci ha lasciato, vorremmo sottolinearne due che egli legava intimamente.
La prima riguarda il regno sociale di Nostro Signore Gesù Cristo, e cioè il titolo e il diritto di Nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio, Creatore dell’intero Universo, per il quale e col quale tutto è stato creato (Col 1), e vero uomo. «Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra»: parole queste che ci vengono direttamente dalla sua bocca divina.
Questa regalità esprime proprio il fatto che, anche se la prima missione di Gesù Cristo è la salvezza degli uomini, questa non sopprime affatto le altre sue prerogative, che Egli utilizza a servizio di tale fine primario.
Quanto è più facile per le anime operare la propria salvezza allorché la società civile, penetrata dai principi che le ispira il diritto cristiano, esercita su di esse quell’influenza benefica di leggi conformi al diritto naturale e alla legge eterna! Non occorre riflettere molto per prendere coscienza dei benefici che può e che dovrebbe apportare la società temporale agli uomini che la compongono, che Dio ha creato per un fine soprannaturale.
Monsignore ha riassunto questa questione in una frase lapidaria: «è perché il regno di Nostro Signore non è più al centro delle preoccupazioni e delle attività di coloro che ci sono praepositi, che essi hanno perduto il senso di Dio e del sacerdozio.»
Frase molto forte, e estremamente profonda, che descrive bene il dramma della Chiesa del nostro tempo. A forza di volersi allineare al mondo si è perduto di vista l’essenziale, Dio. Al pari di colui che è stato scelto da Dio per condurre gli uomini a Lui, il sacerdote.
Già Paolo VI, alla fine del Concilio, diceva che più di ogni altro, anche la Chiesa ha il culto dell’uomo. Giovanni Paolo II parlava di antropocentrismo della Chiesa. Queste espressioni dimostrano bene lo slittamento che si è prodotto a partire dal Vaticano II: la nuova preoccupazione della Chiesa è l’uomo. Mentre prima era – e dev’esserlo per tutti i tempi, poiché non può esserci altro fine – la gloria di Dio, inseparabile dalla salvezza.
Servire Dio, onorarLo, glorificarLo, ecco la ragion d’essere degli uomini, e di conseguenza della Chiesa!
Seguendo la china del mondo è come se ci si fosse dimenticati di Dio fin nel suo Tempio, sostituendovi il culto dell’uomo.
Che le autorità della Chiesa rimettano Dio, Nostro Signore, al suo posto nel mondo, e la restaurazione della Chiesa si produrrà come per miracolo! Certo, non si tratta di confondere tutto, la dottrina cattolica ha sempre riconosciuto che la Chiesa e la società civile sono due società perfette, distinte, aventi ciascuna il loro fine e i loro mezzi propri. Ma questo non elimina Dio né dall’una né dall’altra.
Il mondo liberale e socialista vuole liberarsi dal giogo di Dio: non v’è niente di più funesto per la creatura umana. La presente situazione del mondo, che mai prima d’ora ha spinto così in avanti le sue aspirazioni di indipendenza riguardo al suo Creatore, presenta ogni giorno il meschino risultato dei suoi disegni insensati. Dappertutto l’instabilità, la paura. Cosa prevedono effettivamente i governanti per gli anni a venire? E i finanzieri, e gli economisti?
«Se non è venuto il momento per Gesù Cristo di regnare, allora non è venuto il momento per i governi di durare» (Card. Pie). Tutte le cose, e non solo quelle soprannaturali, hanno in Lui la loro consistenza. Un mondo senza Dio è insensato. Diventa assurdo. Il fine comune di tutte le creature è e resterà sempre Dio. Di conseguenza, il mezzo migliore per giungere ad una pace e ad una prosperità vere in questo mondo, è rispettare e sottomettersi a Colui che l’ha fatto.
Ecco cosa deve ricordare la Chiesa al mondo odierno, ed ecco dove interviene il sacerdote, di cui Mons. Lefebvre ci ricorda la missione. E questa è la seconda lezione, intimamente legata alla prima.
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Il mondo decaduto, al pari della natura umana decaduta, non può trovare la sua perfezione al di fuori di Colui che gli è stato inviato dal Padre. Anche se la missione di Nostro Signore è essenzialmente soprannaturale – poiché riguarda la salvezza degli uomini, la loro redenzione, la loro purificazione dal peccato attraverso il sacrificio soddisfattorio della Croce – essa comunque si rivolge a degli uomini che sono destinati a questo fine soprannaturale e insieme sono membri della società umana e civile. Così, quand’essi si santificano, apportano necessariamente il più gran bene alla società umana. Nel piano della salvezza, non v’è posto alcuno per l’opposizione o per la contraddizione; proprio il contrario invece, se ciascuno resta al suo posto e nel suo ordine vi sarà l’armonia più grande e più auspicabile.
Così il sacerdote, tutto dedito alla perpetuazione del sacrificio di Nostro Signore Sommo Sacerdote, renderà a Dio il culto e l’omaggio che Gli sono dovuti, e al tempo stesso apporterà agli uomini i benefici di Dio. Da sempre il mondo ha avuto bisogno di questa mediazione, e questa è stata sempre l’opera del sacerdote, che, alter Christus, giuoca un ruolo centrale nell’avvenire degli uomini.
«Restaurare tutte le cose in Cristo», non potrebbe essere un’opzione tra le altre, ma è esattamente una necessità che scaturisce dalla natura delle cose, dal loro essere create. Poco importa che la società moderna si dimostra impermeabile ad un tale discorso! Che persegua i suoi sogni, il risveglio sarà tanto più doloroso! Ma più che mai la Chiesa ha qualcosa da dire al mondo. E si tratta sempre della stessa cosa.
Gli avvenimenti di questi ultimi anni mostrano un certo movimento di ritorno, finora ancora assai leggero, e tuttavia molto reale. Nessun dubbio che la Fraternità San Pio X può apportarvi un contributo molto importante. Ma rimane molto difficile predire qualcosa di più concreto nelle sue relazioni con Roma.
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Infine, noi vogliamo continuare nel nostro slancio mariale, confermare la necessità della consacrazione al Cuore Immacolato di Maria e proseguire la nostra campagna di preghiere. Facciamo il posto al trono delle grazie della Madonna; con la moltitudine delle rose dei nostri Rosari offriamole i nostri omaggi, proseguiamo nella nostra domanda e intensifichiamo la nostra supplica: che il suo Cuore Immacolato e doloroso voglia proprio trionfare! Che ella voglia affrettare questo tempo benedetto.
Noi non vi dimentichiamo, cari amici e benefattori, nelle nostre preghiere e azioni di grazie quotidiane. Che Dio vi renda il centuplo per la vostra generosità, soprattutto in grazie eterne, e che vi benedica abbondantemente.
Menzingen, Prima Domenica d’Avvento, 28 novembre 2010
+ Bernard Fellay