venerdì 30 dicembre 2011

“Non c’era posto per loro”… nella cattedrale

Gesù, Maria, Giuseppe…

“Non c’era posto per loro”… nella cattedrale

    di Antonio Socci
 
Benedetto XVI, nella messa di mezzanotte di Natale, quest’anno, ha pronunciato un’omelia tutta incentrata su san Francesco per la sua meravigliosa “invenzione” del presepio, a Greccio, nell’anno 1223. Spiegando che quell’umile rappresentazione coglie il cuore del cristianesimo.
Incredibilmente, proprio quest’anno, il vescovo di Rieti, che è il vescovo di Greccio – cioè del luogo dove Francesco inventò il presepio – ha deciso: niente più storico presepio nella cattedrale.
Gesù bambino, la Madonna, san Giuseppe, con i pastori e i magi… Come a Betlemme duemila anni fa, “non c’era posto per loro” nella cattedrale di Rieti.
Negli anni scorsi su queste pagine più volte abbiamo criticato certe crociate ideologiche contro il presepio, soprattutto nelle scuole, dovute a professori o presidi imbevuti di “politically correct” che consideravano quella tradizione cristiana una discriminazione verso alunni di religione islamica.
Ma non era mai capitato che fosse un vescovo ad “abolire” il presepio e soprattutto sta facendo clamore – nella rete – il fatto che si tratti proprio del vescovo di Greccio.
PAROLE SCONCERTANTI
Più ancora della decisione in sé, hanno sconcertato le motivazioni che sono state fornite dal settimanale diocesano di Rieti per giustificare la scelta.
La toppa è stata molto peggiore del buco.
Infatti il giornale ha scritto che si tratta di “una scelta di sobrietà” e “un segno tangibile di condivisione”. Condivisione di cosa? Con chi? Il presepio lo fanno tutti. E poi perché “scelta di sobrietà”?
In omaggio al governo Monti, “sobrio” per definizione? Siamo a tal punto alla mercé delle mode politiche da svendere il presepio?
Allora il papa che anche quest’anno (come tutti i parroci della Chiesa Cattolica) ha fatto allestire il presepio in piazza San Pietro non avrebbe fatto una scelta “sobria” e “di condivisione”?
La Curia reatina sembra considerare il presepio un segno di “edonismo”. Ma ignora – proprio lei – la storia del presepio? Esso nasce dal santo della povertà come segno di amore al Salvatore da parte dei più poveri e dei più semplici.
L’ineffabile settimanale diocesano reatino sostiene che sarebbe “superficiale” (oltreché “edonista”) chi giudicasse criticamente la cancellazione del presepio.
Dunque la Curia reatina – unica nella cristianità – avrebbe dato un segno di profondità e di ascesi? Negando il presepio ai fedeli?
Il giornale diocesano dice che dobbiamo “contribuire a recuperare risorse”. Abolendo il presepio? Non sarebbe un risparmio maggiore abolire il giornale diocesano visto che – anche in questo numero – sembra preoccupato soprattutto di difendere le esenzioni dall’Ici della Chiesa?
Il settimanale motiva la “cancellazione” del presepio invitando a “rinunciare a quello che ci sembra necessario per concentrarci su quello che è essenziale”.
Ebbene, la difesa dell’esenzione dell’Ici sarà “necessaria” per la Chiesa, ma davvero non sembra “l’essenziale” della sua missione nella storia. Oppure tutto si è capovolto?
GESU’ CACCIATO
Un fedele ha scritto: “La Cattedrale senza presepe non è per nulla più sobria, è solo più brutta, e la bruttezza non salverà certo il mondo… se si deve rinunciare ad usare la bellezza per parlare al mondo di Dio, cosa che costituisce l’unica ragione di essere di una cattedrale, allora è la cattedrale ad essere superflua”.
In realtà dal 1997, su direttiva dei vescovi, è stato sfrattato dalle chiese italiane lo stesso Gesù eucaristico (si è infatti imposto di relegare il tabernacolo in qualche sgabuzzino) per cui non c’è da sorprendersi che ora venga sfrattato anche il presepio.
C’è il rischio che quello di Rieti sia solo l’inizio di un altro crollo a catena.
Notevole è un altro sofisma della Curia reatina, secondo cui “l’assenza in questo caso vale più della presenza”.
Un lettore ha ribattuto: “Non ho parole… nemmeno il governo Monti nella manovra pensioni ha avuto il coraggio di usare boutade di questo genere…”.
Del resto se questa “assenza” voleva essere una “provocazione” alla serietà della fede ha risposto a tono Riccardo Cascioli, sul giornale cattolico online La bussola quotidiana: “Chissà che bella provocazione alla nostra fede quella domenica che entrando in chiesa, trovassimo l’avviso: ‘La messa non si celebra per richiamare all’essenziale’. Chissà quante conversioni fulminanti”.
SOBRIETA’ E ROTARY
Dei lettori di Rieti ci scrivono mail indignate: “il vescovo vuole che teniamo solo l’essenziale e cancelliamo via, per ‘sobrietà’ e ‘solidarietà’, tutto ciò che non è essenziale. Sarà per questo che quest’anno è andato al Rotary Club di Rieti a ricevere il Premio ‘Sabino d’oro’ consistente in una placca d’argento dorato su cui è incisa l’immagine di un Guerriero Sabino stilizzato? Era proprio essenziale per la fede?”.
Dal reatino ci segnalano altre iniziative con cui quest’anno la Chiesa di Rieti ha mirato all’ “essenziale”.
Per esempio, durante i festeggiamenti di S. Antonio, conclusi dalla solenne celebrazione del vescovo, segnalano – oltre all’illuminazione delle maggiori vie cittadine (fatta forse per “recuperare risorse”) – l’”essenziale” festa del “Bertoldo show”, lo spettacolo dell’Orchestra Sonia e il Duo di Pikke, il fondamentale (per la fede) spettacolo “Pizzica e Taranta” con i tamburellisti di Torrepaduli, il concerto della Rino Gaetano band, quello della banda di Poggio Bustone, l’imperdibile (per il bene delle anime) concerto Erosmania, con Antonella Bucci e il comico Gabriele Cirilli, per non dire della distribuzione della “tradizionale cioccolata calda” che è un tocco di ascesi e di spiritualità.
Il tutto concluso dalla processione solenne col vescovo seguita, a ruota, dallo spettacolo pirotecnico della ditta pirotecnica Morsani.
E dopo ciò invocano la “sobrietà” per far fuori il presepe.
Si dirà: suvvia, quello della Curia di Rieti è stato uno sbaglio, ma non facciamola lunga, in fondo è solo un presepio. E’ vero.
MENTALITA’ PROTESTANTE
Ma dietro questa scelta in realtà fa capolino una mentalità purtroppo assai diffusa nel mondo ecclesiastico-episcopale, la quale intimamente disprezza la devozione popolare, ritenendola preconciliare e fastidiosamente “materialista”, mentre sarebbe da preferire una presunta purezza della spiritualità incarnata dai discorsi degli “addetti ai lavori” (da qui anche l’ostilità verso santi popolari come padre Pio o verso realtà come Medjugorije).
Ora, a parte la somiglianza di questa mentalità clericale, un po’ iconoclasta, con quella protestante, c’è da dire che il presepio e la venerazione dei santi e della Madonna sono quanto c’è di più cattolico, proprio perché esprimono il desiderio di toccare con mano e vedere il Dio che si fa uomo e che entra nella carne della nostra vita, si prende sulle spalle le nostre sofferenze e le nostre miserie.
LA LEZIONE DEL PAPA
E’ precisamente per questo che il papa, la notte di Natale, ha pronunciato quella poetica meditazione sul presepio di san Francesco a Greccio, dove si rese visibile una nuova dimensione del mistero del Natale”.
Francesco di Assisi “baciava con grande devozione le immagini del bambinello e balbettava parole di dolcezza alla maniera dei bambini, ci racconta Tommaso da Celano … attraverso di lui e mediante il suo modo di credere” ha aggiunto il papa “è accaduto qualcosa di nuovo: Francesco ha scoperto in una profondità tutta nuova l’umanità di Gesù… Tutto ciò non ha niente di sentimentalismo. Proprio nella nuova esperienza della realtà dell’umanità di Gesù si rivela il grande mistero della fede. Francesco amava Gesù, il bambino, perché in questo essere bambino gli si rese chiara l’umiltà di Dio”.
Il Papa ha concluso:
Proprio l’incontro con l’umiltà di Dio si trasformava in gioia: la sua bontà crea la vera festa. Dobbiamo seguire il cammino interiore di san Francesco – il cammino verso quell’estrema semplicità esteriore ed interiore che rende il cuore capace di vedere. .. ed incontrare il Dio che è diverso dai nostri pregiudizi e dalle nostre opinioni: il Dio che si nasconde nell’umiltà di un bimbo appena nato”.

Da “Libero”, 30 dicembre 2011

giovedì 29 dicembre 2011

il primato della carità: un vecchio inganno del liberalismo

La carità si sviluppa in essi se cresce nella intelligenza e nella conoscenza della salvezza cioè nella fede, perché la fede è base della giustizia soprannaturale. Una fede limitata porta ad una carità limitata e si ingannano coloro, che non hanno per la verità rivelata la cura che hanno dell'amore. Il loro cristianesimo si riduce a credere il meno possibile, a dichiarare inopportune nuove definizioni, a restringere presuntuosamente l'orizzonte soprannaturale per rispetto all'errore. Essi dicono che la carità è regina delle virtù e per essa usano magari la menzogna; riconoscere all'errore i diritti che ha la verità è per loro l'ultima parola della civiltà cristiana, che poggia sull'amore. Dimenticano così che primo oggetto di carità è Dio, verità sostanziale, del quale la menzogna è il nemico peggiore: non è atto d'amore mettere allo stesso livello l'oggetto amato e il suo mortale nemico.
Gli Apostoli non pensavano così e, per far germogliare nel mondo la carità, seminavano la verità. Nei loro discepoli la verità sviluppava l'amore e, fatti luce essi stessi, per mezzo del Battesimo (Ef 5,8), più di ogni cosa stava loro a cuore non venire a patti con le tenebre. Negare la fede era il delitto più grave; esporsi inavvertitamente a sminuire i diritti di essa, era imprudenza grave (ivi 15-17). Il cristianesimo, che aveva trovato il mondo nella schiavitù dell'errore, nelle tenebre che immobilizzavano gli uomini nella morte, pensò che far brillare la luce era il solo mezzo di portarli a salvezza e non seguì altra politica fuorché quella di proclamare la potenza della verità, affermando i diritti esclusivi di regnare sul mondo.
 E il cristianesimo trionfò dopo tre secoli di lotta accanita e furibonda, per le tenebre che dominavano e che volevano dominare ancora, serena e radiosa per i cristiani che versando il sangue affermavano sulla terra giubilanti il regno dell'amore e della verità. Oggi avendo l'errore ripreso, con la connivenza dei battezzati, i suoi pretesi diritti, la carità di molti è diminuita rapidamente (Mt 24,12) e la notte si stende di nuovo sopra un mondo agonizzante e freddo. La linea di condotta dei figli della luce (Ef 5,8) resta quella dei primi tempi: custodire fedelmente la parola di verità (ivi 11,16), senza paure e senza incertezze, fieri di soffrire per Cristo, come i loro predecessori e come gli Apostoli (Fil 1,28-30) perché fino a che resterà al mondo un bagliore di speranza, quel bagliore lo troverà nella verità.
Da "L'anno liturgico", XXII Domenica dopo Pentecoste, di dom Prosper Guéranger



il Cardinal Ranjith: "The time has come..."

LETTERA DEL CARDINAL RANJITH
ALLA 20.ma ASSEMBLEA GENERALE DELLA FIUV
CHE SI E' TENUTA A ROMA IL 5 E IL 6 NOVEMBRE SCORSI

"Desidero esprimere prima di tutto, la mia gratitudine a tutti voi per lo zelo e l'entusiasmo con cui promuovere la causa del restauro della vere tradizioni liturgiche della Chiesa.

Come sapete, è il culto che esalta la fede e la sua realizzazione eroica nella vita. È il mezzo con cui vengono sollevati gli esseri umani fino al livello del trascendente ed eterna: il luogo di un incontro profondo tra Dio e l'uomo.
Per questo motivo, la liturgia non potrà mai essere ciò che l'uomo crea. Perché se noi pratichiamo un culto come lo vogliamo noi e fissiamo noi stessi le regole, allora corriamo il rischio di ricreare vitello d'oro di Aaron.
Dovremmo insistere sempre per intendere il culto divino come atto di partecipazione a ciò che Dio stesso fa, altrimenti corriamo il rischio di impegnarsi in idolatria.
Il simbolismo liturgico ci aiuta a superare ciò che è umano verso ciò che è divino. In questo, è mia ferma convinzione che il Vetus Ordo rappresenti in larga misura e nel modo più appagante -mistico e trascendente- ad un incontro con Dio nella liturgia. Per questo ora è arrivato il tempo per noi non solo di rinnovare, attraverso cambiamenti radicali, il contenuto della liturgia nuova, ma anche per incoraggiare sempre più un ritorno del Vetus Ordo, inteso come il modo per un vero rinnovamento della Chiesa, che era ciò che il Padri Conciliari seduti nel Concilio Vaticano II desideravano.

L'attenta lettura della Costituzione conciliare sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilum, dimostra che i cambiamenti introdotti alla Liturgia in seguito non sono mai stati nelle menti dei Padri del Concilio.

Quindi è giunto il momento per noi di essere coraggiosi e lavorare per una vera riforma della riforma e anche un ritorno alla vera liturgia della Chiesa, che si era sviluppata sulla sua bimillenaria storia in un flusso continuo. Auguro e prego che ciò possa accadere.
Dio benedica i vostri sforzi con successo."

+ Cardinale Malcolm Ranjith Arcivescovo di Colombo
24/8/2011

Fonte: N.L.M. del 27.12.2011

mercoledì 28 dicembre 2011

Magdi Cristiano Allam: «senza una sovranità monetaria non è concepibile una vera sovranità nazionale».

FONDAZIONE LEPANTO: per

Magdi Cristiano Allam:

«L’Italia esca dall’euro»

Viviamo un momento «non retoricamente cruciale per le sorti della nostra civiltà e dell’umanità». Così ha esordito Magdi Cristiano Allam nella conferenza Contro la dittatura del relativismo e dei poteri forti: l’identità cristiana dell’Italia, tenuta lo scorso 9 dicembre presso la Fondazione Lepanto.
La riflessione del giornalista ed europarlamentare italo-egiziano si è articolata principalmente sulla crisi dell’Europa e della moneta unica, a partire dalla sua architrave: il Trattato di Maastricht di cui in questo mese ricorre il ventennale.
Secondo Allam l’integrazione europea ha comportato esclusivamente la nascita di un super-Stato, con la perdita della sovranità monetaria da parte degli Stati membri. In nome dell’euro è stato compiuto un vero e proprio «colpo di stato finanziario» che ha portato alla caduta di governi democraticamente eletti come quello greco e quello italiano.
Il tutto sullo sfondo di un mercato globale in cui «vi è una quantità di denaro sporco e fasullo, titoli-spazzatura e prodotti derivati il cui ammontare supera di dieci volte il PIL di tutti i Paesi del mondo messi insieme. I signori che hanno prodotto questo crimine finanziario sono gli stessi che oggi vorrebbero dirci cosa dovremmo fare per sanare la situazione».
La vera crisi – europea e mondiale – tuttavia non è esclusivamente una crisi economica. Alla base di tutto vi è quella crisi morale che, già nel 1989, dopo il crollo dei regimi comunisti, papa Giovanni Paolo II aveva intuito, smascherando «un’Europa costretta a guardarsi dentro, un continente che aveva perduto le proprie radici cristiane, un continente da rievangelizzare». Un’Europa il cui super-Stato che si va costruendo non ha nulla di democratico, in quanto «tutte le leggi europee sono decise dalla Commissione Europea, nominata dai funzionari di Bruxelles, mentre il Parlamento Europeo non può decidere nulla ma soltanto emendare.
Senza contare che l’80% dell’attività dei parlamenti nazionali è recepire direttive europee calate dall’alto».
Entrando nello specifico della situazione italiana, Allam ha affermato: «erano mesi che i poteri forti stavano preparando l’ascesa al potere di Mario Monti, il cui governo, anche se sostenuto quasi all’unanimità dal parlamento, non ha alcuna legittimazione popolare».
Per non parlare dell’abbondanza di «conflitti d’interesse» in cui l’attuale presidente del Consiglio è coinvolto, essendo stato international advisor della Goldman Sachs ed essendo tuttora membro della Commissione Trilaterale ed esponente di primo piano del Gruppo Bilderberg.
Conseguenze primarie delle politiche del governo Monti saranno quindi l’aumento della già alta pressione fiscale e «la svendita del patrimonio industriale a partire da Finmeccanica, il cui titolo è in caduta libera, da quando è in carica il nuovo governo», ha osservato Allam.
Qual è dunque il modello di Italia che l’europarlamentare sostiene, in contrapposizione ai Paesi forti? Innanzitutto un’Italia «fuori dall’euro», poiché «senza una sovranità monetaria non è concepibile una vera sovranità nazionale».
La nuova valuta nazionale, tuttavia, ha precisato Allam, «non andrebbe emessa dalla Banca d’Italia (organismo di diritto privato, come del resto la BCE), bensì dal Ministero dell’Economia». Sarà questo il primo passo per il ritorno ad «una politica di sviluppo compatibile con il bene comune».
La nuova Italia emancipata dall’oppressione “eurocratica” e dalla colonizzazione economica cinese, dovrà essere però, in primo luogo protagonista di un cambiamento culturale a 360 gradi, in alternativa a un modello dissennato che ci impone di «produrre di più per spendere di più». (Luca Marcolivio)

martedì 27 dicembre 2011

de Mattei for President


                              Come salvare l’Europa (non l’euro) 
                    col realismo della scolastica
di Roberto de Mattei su Il Foglio del 23/12/2011

DAL MEDIOEVO ALLA “SCUOLA AUSTRIACA”, UNA CRITICA IN NOME DELLA TRADIZIONE ALLA MONETA NATA CONTRO L’ETICA.
La principale preoccupazione del governo Monti sembra oggi quella di “salvare l’euro”, nella convinzione che dalla salute della moneta unica dipenda il benessere economico dell’Italia e dell’Europa. Il problema che l’Italia e l’Europa avrebbero di fronte sarebbe monetario e lo strumento per risolverlo di natura fiscale.
La leva del cambio e la leva fiscale sono infatti i due strumenti principali delle manovre economiche dei governi. E poiché la leva del cambio è stata sottratta ai paesi che hanno adottato l’euro, a essi non resta che la leva fiscale, in attesa che anche questa venga trasferita a Bruxelles. Il passaggio finale dall’Euromoneta all’Eurotassazione scaturisce peraltro dal ruolo attribuito alla Banca centrale europea dal Trattato di Maastricht, di cui Mario Monti fu acceso fautore.
La riflessione sul ruolo della moneta e delle banche che ne detengono l’uso e la produzione si impone dunque per meglio comprendere il processo di costruzione europea. A chi volesse approfondire il tema, consiglio la lettura del libro del professore Jörg Guido Hülsmann, “L’etica della produzione di moneta” (Solfanelli, Chieti 2011). L’autore è un brillante esponente della scuola austriaca di economia, una corrente, fondata da Carl Menger (1840-1921), che nel suo sviluppo incontra il realismo della tradizione scolastica.
Autori come Ludwig von Mises (1881-1973) e Murray N. Rothbard (1926-1995), che non partono da presupposti teorici, ma da una analisi pratica della circolazione monetaria, confermano le tesi già esposte dal primo trattato scientifico sulla moneta, il “Tractatus de origine, natura, iure et mutationibus monetarum” del vescovo francese Nicolas Oresme (1323-1382). Gli scolastici come Oresme non misero in discussione la legittimità della produzione della moneta in sé, ma affermarono che, come nel caso del suo uso, questa produzione deve rispettare alcune regole etiche.
Quanto oggi sta accadendo è la conseguenza della separazione tra etica ed economia, che si è accompagnata, nell’età moderna, a una altrettanto netta dissociazione tra la politica e la morale. Limitiamoci ad alcune considerazioni storiche. La moneta nasce come il mezzo di scambio più idoneo a sostituire il baratto, inteso come scambio di merce contro merce.
Il mezzo di scambio è anch’esso una merce, che però, per venire spontaneamente adottata, deve avere alcune specificità: essere facilmente utilizzabile ed essere desiderata, oltre che per la facilità di uso, per quanto vale in se stessa, indipendentemente dal suo potere di scambio. Fu questo il caso, in tutte le civiltà, di alcuni metalli, come l’oro, l’argento o il rame, che proprio per queste caratteristiche possiamo definire “monete naturali”.
Nella maggior parte delle epoche e dei luoghi della storia d’Europa, le monete d’argento erano quelle più diffuse per i pagamenti quotidiani, mentre le monete d’oro si usavano per i pagamenti più importanti e quelle di rame per transazioni di minor valore. Nel XVII secolo, con l’istituzione della Banca di Amsterdam (1609) e della Banca di Inghilterra (1694), nasce il sistema bancario, fondato sulla cartamoneta e garantito dallo stato. La Banca di Amsterdam cominciò a emettere note di carta, le quali certificavano che il possessore era proprietario legale di una data quantità di argento depositatonei forzieri della Banca.
Queste banconote si potevano cambiare in qualsiasi momento in argento agli sportelli della banca, dietro una semplice domanda del portatore della nota cartacea. Tuttavia, per motivi di comodità, la gente preferiva fare i suoi acquisti con le banconote, che certificavano il possesso della somma d’argento custodita dalla banca. Gli istituti di credito, a questo punto, iniziarono a mettere in circolazione una massa di cartamoneta molto superiore alla riserva aurea o argentea conservata nei loro forzieri, chiedendo agli stati sovrani di assicurare valore legale a questa cartamoneta.
Nacque il modello di banca “a riserva frazionaria”, in cui gli stati assicurano protezione legale alle banche, mentre queste ultime emettono mometa secondo le direttive
economiche dei governi. La riserva frazionaria, su cui si regge il sistema bancario moderno, è la percentuale dei depositi bancari che la banca è tenuta a detenere per legge, un tempo sotto forma aurea, oggi di contanti o di attività facilmente liquidabili.
Questa riserva obbligatoria che all’inizio era di circa il 20 per cento si è progressivamente ridotta a meno del 2 per cento, per consentire, a vantaggio delle banche, l’espansione del credito, pur senza una basereale sottostante. Il premio Nobel per l’economia Maurice Allais (1911-2010) ne ha spiegato bene i meccanismi. La riserva frazionaria costituisce un formidabile strumento di politica monetaria, come i tassi di interesse, e soprattutto arricchisce enormemente chi produce e presta moneta.
Hülsmann spiega come le istituzioni monetarie moderne non sono venute alla luce per necessità economica, in maniera spontanea e fisiologica, ma perché consentono a una lobby di politici e banchieri di perseguire i propri fini politici e arricchirsi a spese di tutti gli altri stati sociali. Questo spiega la fortuna dei sistemi di cartamoneta che attualmente dominano la scena in tutti i paesi del mondo.
Pretendere di spiegare la storia degli ultimi due secoli in termini puramente finanziari sarebbe tuttavia riduttivo: bisognerebbe inserire questo processo in un più ampio quadro, collegandolo alla fondazione della Gran Loggia di Londra, nel 1717, e, negli stessi anni, allo sviluppo della filosofia deistica inglese. Qui ci basta sottolineare come nel corso del XVIII e del XIX secolo, dopo l’Inghilterra, anche in altri paesi, come la Francia e la Germania, l’evoluzione del sistema monetario seguì strade simili: monopolio dell’oro, banche a riserva frazionata a servizio delle finanze statali, corso legale delle banconote, mentre i banchieri prosperavano sotto la tutela dello stato.
Per rafforzare il sistema, il cancelliere tedesco Bismarck alla fine del XIX secolo aprì le porte al sistema monetario conosciuto come gold standard, che prevedeva la convertibilità delle monete in oro, considerato come il fondamento del sistema economico. La scelta dell’oro come moneta standard negli scambi internazionali era dovuta agli stati nazionali, le cui Banche centrali in oro detenevano interamente le proprie.
Dopo la Grande guerra si ebbe il gold exchange standard, un sistema che riduceva a due sole banche, la Fed americana e la Banca di Inghilterra, il ruolo di banche mondiali. Tutte le valute nazionali erano essenzialmente certificati a riserva frazionaria coperti dall’oro, attraverso il dollaro americano. Anche il sistema progettato nel 1944 a Bretton Woods, dopo la seconda guerra mondiale, era un gold exchange standard, basato su rapporti di cambio fissi trale valute, tutte riferite al dollaro, il quale a sua volta era agganciato all’oro.
Si arrivò però alla creazione di un solo forziere centrale, la Fed statunitense, unica banca in grado di convertire le proprie banconote in oro. Per consentire una certa partecipazione degli stati alla direzione dell’ordine economico mondiale furono create due burocrazie internazionali sopravissute fino a oggi: la Banca mondiale e il Fondo monetario Internazionale (Fmi).
Il sistema di Bretton Woods crollò, nel 1971, quando la Fed rifiutò, per il futuro, di convertire in oro i dollari detenuti dalle altre Banche centrali. Gli stati nazionali, liberi da ogni vincolo, iniziarono a emettere ad libitum cartamoneta, producendo inflazione e accumulando debito pubblico. L’abbandono del sistema di Bretton Woods permetteva infatti di creare ex nihilo qualsiasi somma di danaro, senza limiti etici o economici, sulla sola base del credito concesso ai governi dalle Banche centrali, produttrici nazionali di cartamoneta. Di fronte all’esplosione dell’indebitamento, banchieri e uomini politici decisero di creare un nuovo sistema monetario.
Si arrivò così al Trattato di Maastricht (1992), che prevedeva l’introduzione di una moneta unica europea, la creazione di un Sistema di banche centrali (Sebc) e l’istituzione di una banca centrale europea (Bce), come unica istituzione capace di autorizzare l’emissione di banconote e stabilire la loro quantità. Nel 1997, un anno prima dell’introduzione dell’euro, fu stipulato tra i paesi della Ue il Patto di stabilità e crescita (Psc), detto anche Trattato di Amsterdam, con l’obiettivo di limitare, attraverso l’imposizione di sanzioni, il disavanzo pubblico degli stati.
Contestato, nel 2003, da Germania e Francia, gli stessi paesi che oggi ne reclamano il rispetto, il Patto di stabilità non ha mai funzionato, perché il problema non è l’indebitamento, ma è la moneta. L’euro, gestito dalla Bce, pur non essendo la moneta sovrana di nessuno stato nazionale, si regge solo perché gode il privilegio di una speciale protezione legale da parte di tutti. La soluzione, secondo la scuola austriaca, sta nel ritorno, non alle banconote nazionali, ma alla moneta reale, in Europa e negli stati nazionali. Una società libera e rispettosa della proprietà privata dovrebbe accogliere una molteplicità di monete naturali lasciando alle persone la scelta del migliore mezzo di scambio tra le alternative possibili.
La cartamoneta non potrebbe reggere la concorrenza delle monete naturali, ricche di un valore intrinseco, cioè capace di essere sempre rimonetizzate. “Non occorre cambiare gli strumenti quali le banconote, la cartamoneta e l’organizzazione delle banche centrali – scrive Hülsmann – ma le norme legali sotto cui operano le Banche centrali e sotto cui si produce la cartamoneta. Occorre abolire i privilegi legali delle Banche centrali e delle autorità monetarie”.
Il problema è in realtà più vasto perché non basta abolire i privilegi legali, se non si mutano i princìpi di fondo della società moderna, che ha sostituito il primato della metafisica e della morale con quello abnorme dell’economia. Non si tratta di utopia, ma di un ritorno al reale: quel reale che deve essere ritrovato su tutti i piani e a tutti i livelli, dall’economia alla politica, dall’arte alla filosofia. Gli utopisti definiscono utopia tutto ciò che si discosta dai loro sogni deformi. Ma al di fuori del reale c’è solo la follia autodistruttiva di chi oggi guida l’Europa.

sabato 24 dicembre 2011

“Il Verbo si fece carne e venne ad abitare fra noi”

BUON NATALE!



“Se dunque Verbo significa Dio e carne significa uomo, che cosa significa: il Verbo si è fatto carne se non «Colui che era Dio si è fatto uomo»? e perciò colui che era Figlio di Dio è divenuto figlio dell’uomo assumendo ciò che era inferiore, non mutando ciò che era superiore; prendendo ciò che non era, non perdendo ciò che era” (S. Agostino, Sermone 186,2; NBA XXXII/1, pag. 15).

venerdì 23 dicembre 2011

Mons. Fellay: "In effetti, ci sembra che il fondo del problema attuale si possa riassumere in una perdita della fede nella divinità di Nostro Signore Gesù Cristo"

Cari amici e benefattori,
Fra pochi giorni celebreremo il felice avvenimento della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo.
La santa liturgia dell’Avvento e del tempo di Natale è piena della fede nella divinità di Nostro Signore. Richiamandosi soprattutto al Vecchio Testamento, là ove è profetizzata la sua venuta, essa impregna la nostra intelligenza e il nostro cuore della grandezza infinita delle prerogative e dei diritti del Bambino appena nato.
«Colui che da tutta l’eternità è nato da un padre senza madre, nasce nel tempo da una Madre senza padre!» (Professione di fede dell’XI Concilio di Toledo).
Ricevendo la sua natura umana dalla Santissima Vergine Maria, sua Madre, di cui Egli preserva la Verginità, Egli prova per ciò stesso che non ha perduto alcunché della sua Divinità. «Nel roveto che vedeva Mosè e che non si consumava, noi riconosciamo la vostra lodevole Verginità conservata.» (Antifona delle Lodi, 1° gennaio), Vero Dio, vero uomo, alla Chiesa piace accogliere il Salvatore Gesù onorandolo col titolo di Re.
Il Re della pace. Rex pacificus. Qui ci piace sviluppare un po’ questa verità, che è come al cuore della crisi che scuote la Chiesa e che condiziona le relazioni della Fraternità San Pio X con la Santa Sede.
*
In effetti, ci sembra che il fondo del problema attuale si possa riassumere in una perdita della fede nella divinità di Nostro Signore Gesù Cristo. Oh! Certo molti protestano che credono che Gesù è Dio, ma ben pochi sono pronti a trarre le conseguenze concrete di questa verità fondamentale che esploderà agli occhi del mondo intero alla fine dei tempi. In quel momento, Egli lascerà finalmente risplendere la sua gloria in tutta la sua perfezione. L’estensione dei suoi poteri su tutte le creature sarà tale che tutti gli uomini – pagani, cristiani, atei, miscredenti, banditi e fedeli – tutti saranno prostrati davanti a Lui, poiché all’evocazione del suo Nome ogni ginocchio si piegherà sulla terra come in cielo (Cfr. Fil. 2, 10).
Per il breve tempo della sua vita terrena, durante la quale si è compiaciuto di stare tra noi, Egli ha nascosto in parte la sua sovranità. Ma si trattò del tempo della prova, del tempo per compiere la sua missione redentrice: «È morto per i nostri peccati» (1 Cor. 15, 3).
Ma durante questo tempo in cui ha nascosto ai nostri occhi la sua onnipotenza, Egli non l’ha perduta in niente. «Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra» (Mt. 28, 18) è un’affermazione da prendere alla lettera, Lui che crea tutte le cose, per cui tutto è stato creato, senza di cui niente è stato fatto di ciò che è stato creato (Cfr. Gv. 1, 3).
Il rifiuto pratico della divinità di Nostro Signore si manifesta spesso nella storia degli uomini con il rigetto della sua Regalità, che è già il titolo e la ragione della sua condanna: «Jesus Nazarenus, Rex Judaeorum» (Gv. 19, 19).
E nella storia, molto spesso il rigetto di Dio si manifesta col rigetto della sottomissione a Nostro Signore Gesù Cristo.
Bisogna arrivare a metà del XX secolo per assistere a quell’incredibile avvenimento che permette di vedere un concilio che, in nome dell’adattamento alla situazione concreta della società umana in piena decadenza, modifica la proclamazione di tutti i tempi: «Bisogna che Egli regni» (1 Cor. 15, 25). Si pretende che questo modo di fare sia in armonia con i Vangeli, mentre invece è proprio il contrario.


I sofisti del liberalismo hanno fatto dire che lo Stato, la società umana, anch’essa creatura di Dio, doveva trattare alla pari l’unica vera religione e tutte quelle false, accordando ugualmente a ciascuna il diritto di esistere, di svilupparsi senza impedimenti e di esercitare il suo culto.
Con questo si pretende di opporsi agli abusi dello Stato totalitario che schiaccia ingiustamente gli esseri umani ed opprime la coscienza di ciascuno. Gli stessi massoni hanno espresso allora la loro gioia nel sentire risuonare sotto la cupola di San Pietro queste tesi che sono loro proprie (cfr. Yves Marsaudon, L’œcuménisme vu par un franc-maçon de tradition, 1964).
Evidentemente, vi è qualcosa di vero nel male denunciato, ma il rimedio è quello che la Chiesa ha sempre indicato: la tolleranza. Il diritto alla libertà religiosa, così come è proclamato dal Vaticano II, è altra cosa. È questo uno dei punti sui quali siamo in contrasto con la Santa Sede.
Questa libertà religiosa, ponendo su un piano di parità il vero e il falso, dispensa deliberatamente lo Stato e la società umana dai loro doveri di onorare e servire Dio, loro Creatore. Essa apre la strada a tutte le licenze in materia religiosa. È come se nella Chiesa si fosse rinunciato alla prerogativa di essere l’unica via di salvezza per tutti gli uomini. Quelli che vi credono ancora non lo dicono più. Molti fanno pensare perfino il contrario. Questa concessione al mondo di oggi si fa al prezzo della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo.
*
Un’altra conseguenza, lungo questa linea che abbiamo appena indicata, si vede nella pratica dell’ecumenismo. Col pretesto di poter essere più vicini ai nostri «fratelli separati», non si proclamano più quelle verità che tuttavia sono salvifiche, perché costoro non vogliono sentirle. E deliberatamente, neanche si cerca più di convertirli. L’ecumenismo NON VUOL PIU’ CONVERTIRE. Questa parola è stata bandita, la si tollera ancora, ma in nome della libertà religiosa! Dov’è dunque la Chiesa di Nostro Signore Gesù Cristo? Dov’è finita la fierezza dei cattolici? E sono i capi che li fanno diventare pusillanimi! Come si è potuto constatare recentemente in Francia, quando si è trattato di biasimare dei lavori teatrali blasfemi. Se simili offese fossero state fatte nei confronti dei musulmani, i paesi sarebbero stati messi a ferro e a fuoco! Oggi i cristiani sono diventati talmente morbidi che lasciano fare di tutto! Si attenta all’onore non di un re di questo mondo, ma del Re dei re, del Signore dei signori, Nostro Salvatore da cui abbiamo ricevuto tutto!
Chiaramente noi abbiamo a cuore la salvezza e il ritorno all’ovile di tutte queste anime così care al Cuore di Nostro Signore, perché Egli le ha riscattate a prezzo della sua vita! Ma l’attuale maniera di fare non ha più niente in comune con la cura dell’unità della Chiesa dei secoli passati. Tutti sono supposti buoni e quindi la prospettiva che certuni potrebbero dannarsi in eterno fa gridare allo scandalo. Si predica che l’inferno è vuoto o quasi. L’insegnamento della Chiesa è tutt’altro…
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Una terza pietra d’inciampo è legata alla diminuzione dell’autorità.
Nostro Signore è il capo della Chiesa. Ma avendo voluto che la sua Chiesa fosse visibile ed essendo salito in cielo, Egli le ha conferito un capo visibile che è il suo Vicario sulla terra, Pietro e i suoi successori… A lui solo Nostro Signore ha dato il potere di pascere agnelli e pecore, lui solo ha un potere pieno, sovrano, immediato su tutti e ciascuno dei membri della Chiesa. È per questo che la Chiesa si è sempre proclamata una monarchia, governata da uno solo. Certo, il carattere umano del governo rende comprensibile la ricerca del consiglio e dei pareri di persone sagge, ma una forma di democrazia importata nella Chiesa con la collegialità e con la parodia parlamentare delle conferenze episcopali, permette ogni sorta di abuso e lascia alla pressione del gruppo le disposizioni di Diritto divino che vuole che ogni diocesi abbia un solo capo, il vescovo del luogo.
Oggi l’autorità è seriamente scossa, non solo dal di fuori per la contestazione dei responsabili laici che pretendono una parte del governo, ma ancor più all’interno della Chiesa, per l’introduzione di una quantità di consigli e commissioni che, nell’atmosfera odierna, impediscono il giusto esercizio dell’autorità delegata da Nostro Signore Gesù Cristo.
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Non è sorprendente constatare come in ciascuna di queste pietre d’inciampo ritroviamo al fondo lo stesso problema? Per piacere al mondo, o quanto meno per adattarvisi e trattare con esso, si è sacrificata in una maniera o in un’altra l’autorità di Nostro Signore Gesù Cristo sui fedeli cristiani, su tutti gli uomini per i quali Egli ha versato il suo Sangue, su tutte le azioni di cui essi sono membri.
Ecco cos’è che mina la Chiesa. Per uscire da questa crisi, bisogna «restaurare tutte le cose in Cristo» (Ef. 1, 10). DarGli il primo posto dappertutto e in tutto, a Lui che vuol essere tutto in tutti. Fino a quando non si vedrà andar via quest’aria liberale che impesta la Chiesa, essa continuerà a deperire.
È a causa di questa dolorosa realtà che le nostre relazioni con Roma sono difficili.
Ecco perché nella Fraternità noi parliamo spesso della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo, poiché essa è nella vita pratica la sintesi del riconoscimento della sua Divinità. Egli ha puramente e semplicemente ogni diritto su di noi.
Ed è a Lui che tutti gli uomini, pagani o cattolici, giovani o vecchi, ricchi o poveri, potenti o deboli, tutti, assolutamente tutti rendono conto della loro vita terrena – a Lui, loro sovrano giudice e loro Dio, da cui hanno ricevuto tutto. Speriamo che queste righe mostrino quanto la dottrina della Regalità di Nostro Signore sia attuale, quanto non sia desueta la battaglia per questa Regalità di Nostro Signore, anzi sia molto necessaria. Oggi, si tratta di un dovere da seguire.
Si degni la Madonna, Madre di Gesù, Madre di Dio, di ascoltare le nostre preghiere per la gloria di suo Figlio. Che Ella ci protegga, che conservi la nostra piccola Fraternità in mezzo ai tanti pericoli, e che sia la nostra guida, la nostra avvocata, la nostra vittoria contro noi stessi e la nostra pusillanimità. Che Ella sia la nostra speranza, in attesa del suo trionfo per il quale preghiamo assiduamente, che sia la nostra gioia da qui all’eternità.

Nos cum prole pia, benedicat Virgo Maria.
+ Bernard Fellay

giovedì 22 dicembre 2011

mobilitiamoci contro la blasfemia e la cattofobia

 

E' in arrivo a Milano lo spettacolo osceno di Castellucci


Si tratta dello spettacolo, oggettivamente blasfemo, intitolato "Sul concetto di volto nel figlio di Dio" durante il quale appare in scena un lancio di pietre ed escrementi contro il famoso quadro di Antonello da Messina raffigurante Nostro Signore Gesù Cristo.   

L'opera, se così la si vuol definire, è in cartellone dal 24 al 28 gennaio 2012 presso il teatro "Parenti" di Milano.
Difficilmente i cattolici italiani, così abituati da decenni al quieto vivere di stampo "democristiano", saranno in grado di manifestare raggiungendo i numeri d'oltralpe.
Ciò nonostante varrebbe comunque la pena di organizzare qualcosa del genere o almeno qualche pubblica preghiera di riparazione contro l'ennesimo oltraggio perpetrato contro Dio e la Sua Religione.
Se fossimo islamici, lo sappiamo bene, potremmo contare certamente sulla solidarietà di tutta la stampa progressista e "moderata". Quando è invece offeso il Cristianesimo, la musica cambia e forse neppure Avvenire o l'Osservatore Romano se la sentiranno di assumere una posizione ferma, senza "se" e senza "ma"... 
In Francia però i tradizionalisti, con la loro generosa mobilitazione, sono riusciti, in qualche modo, a smuovere anche alcune curie sonnolente. L'arcivescovo di Parigi è giunto sino al punto di guidare una veglia di preghiera in riparazione.

Cerchiamo allora, sul loro esempio, di muoverci anche nel nostro paese, culla del Cattolicesimo e sede del Vicario di Cristo!

Abbiamo un mese di tempo... Non scoraggiamoci!

Marco BONGI

Ecco un articolo di Corrispondenza Romana che ne parla con cognizione di causa:

Proteste cattoliche in Francia contro uno

 

spettacolo blasfemo

di Fabrizio Cannone

Da giorni la stampa internazionale sta dando molto risalto alle proteste scatenatesi a Parigi a causa della pièce teatrale, a dir poco blasfema e provocatoria, del “regista” italiano Romeo Castellucci. Sino a domenica scorsa, in effetti, al centralissimo Théatre de la Ville era in programma uno spettacolo dal titolo alquanto stano e inconsueto, specie nella laicissima Francia: Sul concetto di volto nel figlio di Dio.
L’idea di mettere sullo sfondo di un’opera teatrale nientemeno che una gigantografia di Gesù, come splendidamente immaginato e dipinto da Antonello da Messina, potrebbe parere qualcosa di bello e perfino di spirituale… Ma la pièce non tratta di temi religiosi e descrive il rapporto morboso e ambiguo tra un padre incontinente e l’unico figlio, costretto a svolgere dure mansioni di infermiere e di domestico.
La fine dell’opera, in un crescendo di non-senso, tipico dell’arte moderna, mostra dei bambini che, inopinatamente, lanciano contro il Sacro Volto che giganteggia alle loro spalle, escrementi, liquami vari ed ogni infame sostanza, offendendo evidentemente, oltre allo spirito cristiano, anche il senso naturale di decoro e la stessa dignità dell’arte.
Il quotidiano “Repubblica”, turbato non dalla pubblica bestemmia di Castellucci, ma dalle proteste che giustamente ha suscitato a Parigi e non solo, dedica, nell’edizione del 1 novembre (festa di tutti i santi) 3 pagine alla querelle, distorcendo completamente la realtà dei fatti e trasformando i manifestanti cristiani in violenti integralisti o addirittura in “crociati” (p. 30), e l’intollerante “regista” in spirito pacifico, turbato dagli avvenimenti.
I titoli sono i soliti eccessivi slogan del più squallido giornalismo nostrano. Un solo esempio basta a darne un chiaro saggio: «Assalti per giorni al Théatre de la Ville al grido di “Basta cristianofobia”. Opere distrutte a colpi di martello. E cortei nelle strade di Parigi avvolti in mantelli rossi e con il crocefisso in mano. Gli ultracattolici di Action Française compiono azioni sempre più clamorose.
“La libertà di espressione non è più un argomento valido”, dicono. E annunciano una guerra contro l’arte trasgressiva e le “bestemmie della società”». In una breve intervista a Castellucci, il regista ha l’impudenza di dichiarare, con larvato razzismo culturale, che i manifestanti, da lui «visti fuori dal teatro» sono «spaventosi, paiono diavoli e da quello che urlano, si capisce: non conoscono le Sacre Scritture» (p. 31)!! Beh, le sacre Scritture dicono chiaramente che Deus non irridetur… Addirittura, per la stessa opera teatrale il regista afferma che in «Italia alcuni mi hanno semmai incolpato di essere troppo cristiano«; in ogni caso, non teme gli «integralisti», come chiama con odio i cattolici, perché «bisogna mantenere le posizioni di fronte a tanto oscurantismo». Il razzismo illuminista-razionalista, con-causa di migliaia di vittime, è sempre vivo in Francia.
In sede di commento, facciamo anzitutto notare che proprio “Repubblica” sembra concordare con l’idea attribuita ai cattolici che «la libertà di espressione non è più un argomento valido»: perché altrimenti voler vietare a dei cristiani indignati di manifestare in piazza?
Da parte nostra poi, e senza entrare nei dettagli circa il numero dei manifestanti e delle prassi specifiche adottate (le quali paiono del tutto conformi al bene comune e alla legalità), vogliamo ribadire alcuni concetti fermi: 1. Senza dubbio la cristianofobia esiste, in Francia come in Italia, come esiste la disparità di trattamento tra le diverse religioni: quotidiani laicisti come “Repubblica” inculcano l’odio alla Chiesa cattolica e alla sua storia quasi ogni giorno;
2. La libertà di espressione non può essere un principio assoluto, altrimenti anche l’antisemitismo, il razzismo e l’elogio del crimine dovrebbero essere ammessi a norma di legge. Ma di fatto non lo sono, dunque il Vangelo e il Cristianesimo non debbono patire alcuna offesa in nome di questo principio, né in nome dell’arte o della creatività;
3. La società laica si segnala per una arroganza sempre meno tollerabile verso tutto ciò che è sacro: la distruzione della statua della Madonna avvenuta platealmente il 15 ottobre scorso a Roma ne è un segno emblematico e inquietante. Ma questi accadimenti, quando colpiscono simboli cristiani, sembrano non spiacere troppo “al sistema”;
4. È dovere di tutti i cristiani, oltre che loro pieno diritto, quello di lottare per una società conforme al piano di Dio ovvero, tanto per essere chiari, in cui si vieti e proibisca tutto quanto ripugna alla sua Legge e alla sana moralità. L’indolenza dei buoni, infine, è la migliore arma dei cattivi. (Fabrizio Cannone)
La tremenda offesa a Nostro Signore - alla Sua persona attraverso la Sua Immagine - ha suscitato comprensibili e accese reazioni in Francia. I cattolici si sono mobilitati, come si può vedere qui sotto
 L'8 dicembre, la chiesa Saint-Nicolas-du-Chardonnet (FSSPX) organizza una grande processione di riparazione a Parigi contro le offese al Figlio di Dio.




L' 11 dicembre l'Istituto Civitas organizza una manifestazione nazionale
anche a Parigi contro gli spettacoli blasfemi.




Parigi, Domenica 11 dicembre 2011
Manifestazione per difendere l'onore di N. S. Gesù Cristo





I vescovi riuniti a Lourdes si sono mostrati preoccupati più delle reazioni che del resto: una posizione che non possiamo che commiserare.....


“Riuniti a Lourdes per l’Assemblea plenaria d’autunno, i vescovi francesi in margine ai loro lavori hanno richiamato l’attualità. Essi prendono sul serio le manifestazioni di gruppi di giovani contro una rappresentazione teatrale data a Parigi. Mettono in guardia contro la «risposta aggressiva » utilizzata da certi cristiani quando si sentono denigrati. Senza pertanto accettare la banalizzazione degli attacchi contro la figura del Cristo.


ma una voce è uscita dal coro del gregge del "politicamente corretto" e dell'"insopportabile ecclesialese"


Il Vescovo di Tolone incoraggia la protesta antiblasfema dei cattolici


S. E. Mons. Dominique Rey, vescovo di Tolone, ha appoggiato la protesta dei cattolici in Francia con una lettera indirizzata il 2 novembre a Bernard Antony, presidente dell’Agrif, associazione che ha iniziato una campagna di mobilitazione dell’opinione pubblica cattolica contro la pièce teatrale Golgota Picni, rappresentata in Francia in questi giorni, sulla medesima linea blasfema degli spettacoli di Remo Castellucci.
La lettera, di cui riportiamo il testo integrale, costituisce un autorevole incoraggiamento episcopale a tutti coloro che non esitano a manifestare la loro indignazione nei confronti dell’aggressione mediatica ai principi cristiani tuttora in corso in Europa.

"Signor Presidente,

ha voluto sollecitarmi circa l’azione legale dell’associazione AGRIF, da lei presieduta, per chiedermi l’interdizione dello spettacolo di Rodrigo García intitolato Golgota Picnic e programmato dal 16 al 20 novembre 2011 presso il teatro della Garonna a Tolosa e dall’8 al 17 dicembre presso il Théâtre du Rond Point a Parigi.

Gli elementi raccolti nella citazione preparata dal suo avvocato corrispondono alle informazioni che circolano nei media da qualche settimana, provenienti in particolare dalla Spagna, riguardanti sia lo spettacolo stesso che le dichiarazioni del suo autore, García.

Da quando è stata resa nota la programmazione dello spettacolo, molti cristiani della mia diocesi e di altre zone della Francia mi hanno espresso la profonda pena, incomprensione, esasperazione e talvolta collera di fronte a una notizia che oltraggia il cuore della nostra fede cristiana e della religione cattolica. L’identità di ogni fedele cattolico è, infatti, costituita dalla persona stessa di Cristo e dal suo sacrificio sulla Croce, al Golgota, dove Egli ci ha riscattati dai nostri peccati e aperto, nel suo sangue, la via della riconciliazione con Dio. Minacciare la persona di Cristo in Croce significa altresì minacciare la religione cristiana nel suo insieme, ma anche insultare gravemente e nel più intimo della sua coscienza e del suo cuore ogni fedele.

In questo caso dare a Cristo in Croce del «pazzo», «piromane», «messia dell’aids» e «porco diavolo», paragonarlo a un terrorista, comparare la moltiplicazione dei pani che annuncia il dono rinnovato di Lui stesso nell’Eucaristia, in ogni Messa e in ogni comunione e la Crocifissione mediante la quale Egli ci salva a rappresentazioni che rinchiudono gli uomini nella crudeltà, tutto questo supera di molto la misura di ciò che un cristiano può ascoltare senza sentirsi fortemente aggredito su ciò che ha di più caro e di più intimo. Il progetto di García di provare che la vita di Cristo ha creato un’iconografia del terrore si oppone nettamente alla fede di tutti quelli che vedono nel sacrificio di Cristo sulla Croce la fonte di ogni pace e riconciliazione.

Un tale spettacolo non può che ferire violentemente le coscienze cristiane come quelle di tutti gli uomini di buona volontà legati al rispetto reciproco degli uni per gli altri. Spero vivamente che il successo delle sue azioni permetterà a tutti quelli che hanno già espresso il loro sgomento e la loro rivolta di comprendere che la società nella quale viviamo li protegge nell’identità, nella coscienza e nella volontà di dialogare nella pace, senza offesa né violenza, insieme a quanti non condividono la loro fede o che si pongono legittimamente domande su Cristo e sulla Chiesa. Le assicuro, signor Presidente, la mia preghiera fedele e il mio sostegno alla sua azione fiduciosa nella giustizia del nostro Paese."

martedì 20 dicembre 2011

toh.... avevan ragione Dionigi e la Tradizione (e torto biblisti e liturgisti)

La vera data di nascita di Gesù

Nell'avvicinarsi del Natale, ripropongo un post sulla vera data della nascita di Gesù :

E’ da tempo ormai che viene fatta passare una interpretazione che metterebbe in dubbio la nascita di Gesù il 25 dicembre del 1° d.C.
Infatti si sente dire che essendo morto Erode il Grande il 4 a.C., siccome costui è legato alla nascita di Gesù per il fatto della strage degli innocenti, allora Gesù non sarebbe potuto che nascere il 6 o 7 avanti Cristo.

Ebbene questa interpretazione è falsa e Gesù è in realtà nato proprio nel dicembre del 1° d.C, così come tramandato dalla tradizione.

Vediamo infatti di mettere le due tesi a confronto.

La prima tesi, sostenuta dall’Ottocento in avanti, pone la nascita di Gesù al 7 a.C., in base ad un calcolo previo che contempla la morte di Erode il Grande nel 4 a.C., nonché della congiunzione, proprio in quell’anno, dei pianeti Giove e Saturno, fenomeno astronomico ritenuto all’origine della stella vista dai Magi.
La seconda, invece, già indicata dal monaco Dionigi il Piccolo nel VI secolo, e tornata in auge da una decina d’anni, in particolare per gli studi di Giorgio Fedalto, grazie all’uso dei risultati dell’U.S. Naval Observatory di Washington, che pone la nascita di Gesù nel 1° anno della cosiddetta Era volgare.
È utile sottolineare che per i sostenitori della prima ipotesi Gesù vive dal 7 a.C. al 30 d.C., quindi per 37 anni; per la seconda, dal 1 a.C. al 33 d.C., per 33 anni.
La seconda ipotesi , cioè che Gesù è nato il 1° d.C. , nell’anno 36° di Erode, nell’anno 42° di Augusto, nel 3°dell’olimpiade 194ª è praticamente ormai scientificamente incontestabile.
Come sostenere, però, la nascita di Gesù nel 1° d.C. se Erode muore nel 4 a.C.?

Secondo lo stesso Giuseppe Flavio, Erode compiva 15 anni quando Ircano era giunto al nono anno dalla sua nomina, da quando Pompeo l’aveva ordinato Sommo sacerdote a Gerusalemme. Sappiamo che Erode morì a 71 anni circa, quindi nel 2 o 3 d.C. - esattamente 55 anni dopo il 54 a.C. - e non quindi nel 4 a.C., come comunemente ancora si sente ripetere. Tra l’altro l’eclissi a cui fa riferimento Giuseppe Flavio, come evento legato alla morte di Erode, si è verificata sia nel 4 a.C. che nel 3 d.C. Va a questo punto osservato, ai fini dei calcoli, che l’anno zero è stato introdotto molti secoli dopo lo stesso calendario preparato dal monaco scita Dionigi, fino ad allora computando, senza soluzione di continuità, dall’1 a.C. all’ 1 d.C.
In più, va aggiunto, che le reggenze dei figli di Erode eccedono di tre anni le rispettive date di abdicazione o di morte: Archelao è cacciato dalla Giudea nel 7 d.C. dopo 10 anni di reggenza; Filippo muore nel 34 d.C. dopo 37 anni di reggenza e Antipa muore nel 40 d.C. dopo 43 anni di regno. Fatto che induce a sostenere un periodo di almeno tre anni di co-reggenza del padre con i figli. In tal modo bisogna posticipare al 2 o 3 d.C. la data di morte di Erode, perché quella del 4 a.C. è in realtà la data del testamento con cui suddivide il regno tra i tre figli.

Alla luce di quanto abbiamo detto, si può ritenere fondatamente che Gesù nacque nel 1 d.C. e che Erode morì tra il 2 e il 3 d.C., confermando la tradizione delle Chiese orientali registrata dai calendari giuliani e gregoriano

Inoltre è nato il 25 dicembre, infatti:

Dionigi recepì la data del 25 dicembre che non era stata introdotta arbitrariamente dalle Chiese cristiane. Secondo Tertulliano Gesù sarebbe nato nel 752 di Roma, 41° anno dell’impero di Augusto. I moderni strumenti di indagine permettono di collegare i dati con gli elementi astronomici che ne garantiscono la sicurezza; si superano così i contrasti tra mondo ebraico e cultura cristiana che possono aver condizionato gli storici. La cronologia può essere ricostruita, come ha fatto l’insigne storico Giorgio Fedalto, comparando tavole cronologiche differenti (cfr. Storia e metastoria del cristianesimo. Questioni dibattute, Verona 2006, pp 39-58 e Carsten Peter Thiede, La nascita del cristianesimo, Milano 1999, pp 267-322).

Anche sugli annunci che precedono la nascita di Gesù possiamo fare alcune considerazioni. Luca, intendendo inquadrare storicamente Gesù e la sua venuta, fornisce un’altra coordinata: comincia il suo vangelo riportando una tradizione giudeo-cristiana gerosolimitana, un fatto apparentemente marginale ma storicamente verificabile dai suoi contemporanei, ancor prima del 70 d.C. Secondo l’evangelista, l’angelo Gabriele aveva annunziato al sacerdote Zaccaria, mentre “esercitava sacerdotalmente nel turno (taxis) del suo ordine (ephemeria)” (1,8), quello di Abia (1,5) che la sua sposa Elisabetta avrebbe concepito un figlio. Luca rimanda pertanto ad una rotazione disposta da David (1Cr 24,1-7.19): le 24 classi si avvicendavano in ordine immutabile nel servizio al tempio da sabato a sabato, due volte l’anno. Questo era noto tra i giudei e almeno in ambiente giudeo-cristiano. Il turno di Abia, prescritto per due volte l’anno, cadeva dall’8 al 14 del terzo mese del calendario (lunare) ebraico e dal 24 al 30 dell’ottavo mese (cfr Shemarjahu Talmon, The Calendar Reckoning of the sect from the Judean Desert. Aspects of the Dead Sea Scrolls, in Scripta Hierosolymitana, vol IV, Jerusalem 1958, pp 162-199 e Antonio Ammassari, Alle origini del calendario natalizio, in Euntes Docete, 45, 1992, pp 11-16). Questa seconda volta, secondo il calendario solare corrisponde all’ultima decade di settembre.

In tal modo è storica anche la data della nascita del Battista (Lc 1,57-66) corrispondente al 24 giugno, nove mesi dopo. Così anche l’annuncio a Maria “nel sesto mese” (1,28) dalla concezione di Elisabetta, corrispondente al 25 marzo. Ultima conseguenza è dunque storica la data del 25 dicembre, nove mesi dopo.

Invece, soprattutto nella seconda metà del secolo scorso, si divulgò da parte di liturgisti l’idea che il 25 dicembre fosse una data convenzionale, scelta dai cristiani di Roma per sostituire il Natale del Sole invincibile, cioè una festa del dio Mitra o dell’imperatore, che cadeva intorno al solstizio invernale. In realtà, soprattutto dopo l’editto di Costantino, la Chiesa avrebbe potuto pure essere mossa dal desiderio di valorizzare qualche festa del paganesimo decadente, ma non inventare di sana pianta una data così centrale. Si pensi che nel rito bizantino la data dell’Annunciazione abolisce la domenica e il giovedì santo, e se coincide con la Pasqua si canta metà canone, la composizione poetica propria delle due feste. Dunque, la memoria ininterrotta fu sanzionata con la liturgia, ma il Vangelo di Luca con i suoi accenni a luoghi, date e persone vi ha contribuito in modo fondamentale.

Quindi la festa cristiana del Natale non ha la sua origine storica in Roma ma in Terra Santa: nella seconda metà del IV secolo Egeria racconta che a Gerusalemme si celebrava il 6 gennaio. Si può supporre che tale data, oggi l’Epifania - attestata per quanto si sa in Alessandria nell’ambiente gnostico di Basilide - sia rimasta festa del Natale nei calendari bizantini fino al 1583, data della riforma gregoriana, in seguito alla quale il calendario giuliano è in ritardo di 13 giorni rispetto al gregoriano.
Con ciò non si vuol dire che tutto sia chiarito, però “Le vecchie ipotesi, secondo cui il 25 dicembre era stato scelto a Roma in polemica con il culto mitraico o anche come risposta cristiana al culto del sole invitto, che era stato promosso dagli imperatori romani nel corso del terzo secolo come tentativo di stabilire una nuova religione di stato, oggi non paiono più sostenibili” (J.Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, Ed. San Paolo, Cinisello B. 2001, p 104).

(Le notizie e i brani citati sono tratti per intero dagli articoli "Le date del Natale e dell'Epifania" e "Le date del Natale: Dionigi non ha sbagliato" di don Nicola Bux e don Salvatore Vitiello pubblicate su Fides e Forma e dal saggio "Il 25 dicembre è data storica" del prof. Tommaso Federici, tutti reperibili in rete).
tratto da: http://mi-chael.blogspot.com/2010/12/la-vera-data-di-nascita-di-gesu.html

 

venerdì 16 dicembre 2011

si è toccato un mito...ma i miti sono intoccabili perché fragilissimi (se fossero stati forti non serviva mitizzarli): se li si tocca si sbriciolano


Magistero e Concilio Vaticano II

Il 2 dicembre scorso sull’osservatore Romano appariva un articolo di Fernadno Ocariz sull’adesione al Concilio Vaticano II.
Mons Ocariz ha fatto parte della commissione incaricata dalla Congregazione per la dottrina della fede per i colloqui che si sono svolti durante circa un anno e mezzo con i rappresentanti della Fraternità San Pio X.
Il fatto che l’Osservatore Romano dedichi questo spazio all’argomento, mostra quanto sia attuale il dibattito sul concilio, riaperto dalle recenti pubblicazioni di Mons. Gherardini[1], Roberto de Mattei, Gnocchi e Palmaro e, ultimamente padre Serafino Lanzetta,. Si è toccato un mito e le critiche non vengono più soltanto dalla Fraternità San Pio X ma anche da personalità riconosciute ufficialmente nella Chiesa.
Nell’articolo Mons Ocariz ribadisce e conferma che nel Vaticano II il magistero non è stato esercitato  “mediante il carisma dell’infallibilità”. Ma poi  l'autore afferma che magistero non infallibile “non significa che esso possa essere considerato «fallibile» nel senso che trasmetta una «dottrina provvisoria» oppure «autorevoli opinioni». Ogni espressione di magistero autentico va recepita come è veramente: un insegnamento dato da Pastori che, nella successione apostolica, parlano con il «carisma della verità» (Dei verbum, n. 8), «rivestiti dell’autorità di Cristo» (Lumen gentium, n. 25), «alla luce dello Spirito Santo» (Ibidem).

Indubbiamente la chiesa ci insegna che il magistero autentico richiede “ossequio religioso della volontà e dell’intelletto”.[2] Tale assenso però non è più fondato sull’autorità di Dio che rivela e assiste la Chiesa nel magistero infallibile, ma unicamente sulla prudenza. Si è tenuti ad accettare ossequiosamente in spirito di fede ciò che la suprema autorità propone, per il rispetto che le si deve e perché, anche se non assistita infallibilmente nel caso preciso, ha tutte le competenze per insegnare e quindi è degna di credibilità.[3]
Ma generalmente i teologi sono d’accordo per affermare che un errore è possibile nel magistero non infallibile e semplicemente autentico, come lo mostra nei suoi articoli Xavier da Silveira.[4] Questa possibilità si è poi già verificata storicamente nella Chiesa.[5]
In tali circostanze è lecito chiedere spiegazioni all’autorità competente e perfino sospendere l’assenso quando si constata una contraddizione con ciò che è insegnato già in maniera infallibile.[6]

Detto questo ci si può chiedere se l'insegnamento del Concilio Vaticano II  benché non infallibile, possa definirsi come magistero autentico.
Parlando di magistero occorre distinguere il soggetto dal modo di insegnamento e dal contenuto.
Il Papa ed i vescovi in un concilio legittimamente riunito, come fu il Vaticano II, sono il supremo soggetto del magistero e questo è fuori discussione.

Quanto al modo di insegnamento del concilio, è molto rivelatrice la spiegazione che Paolo VI dà nella sua enciclica Ecclesiam suam, del 6 agosto 1964: «...Andate, dunque, istruite tutte le genti, è l’estremo mandato di Cristo ai suoi Apostoli. Questi nel nome stesso di Apostoli definiscono la propria indeclinabile missione. Noi daremo a questo interiore impulso di carità, che tende a farsi esteriore dono di carità, il nome, oggi diventato comune, di dialogo. La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio (nn.66-67). Questo dialogo esclude altre forme anche legittime di rapporto con “il mondo”, che hanno caratterizzato la Chiesa del passato: (nn. 80-81)».
Si tratta quindi non più di insegnare ma di dialogare, escludendo le altre forme di rapporto con il mondo, cioè il modo tradizionale di porsi della Chiesa come colei che insegna, trasmette la verità che ha ricevuto dalla Tradizione.

Come fa notare Mons. Ocariz, per quel che concerne il contenuto dell’insegnamento del concilio, sono di fede le verità già insegnate come tali dal precedente Magistero infallibile.
Le nuove dottrine invece, in contrasto con la Tradizione, non si possono attribuire al magistero della Chiesa ma a questo nuovo modo di porsi con il mondo che si può chiamare solo in senso lato “magistero” poiché non vi è più l’intenzione di insegnare ma appunto di dialogare[7].
Pretendere di attribuire un’autorità magisteriale a documenti ambigui o in aperto contrasto con l’insegnamento tradizionale della Chiesa e voler imporli come dottrina cattolica, diventa dell’autoritarismo a cui ogni cattolico, in ossequio alla fede di sempre e per amore alla Chiesa, può e deve resistere.

Don Pierpaolo Maria Petrucci

 [1] Mons. Gherardini ha pubblicato fra l’altro una bella risposta all’ articolo di Mons. Ocariz sulla rivista “Disputationes theologicae”.

[2] Per esempio Pio IX (Quanta cura)

[3] Padre Dublanchy, Dictionnaire de Théologie Catholique, art. Infaillibilité du pape col 1711-1712


[5] Apologia della Tradizione, Roberto de Mattei; Lindau 2011, parte I