sabato 5 novembre 2011

gli equidistanti

L'EQUIDISTANZA PER IL CATTOLICO NON HA SENSO: VA RISCOPERTO LA SPIRITO DELLA MILITANZA


Gli equidistanti aborrono lo spirito di sacrificio, soprattutto quando si manifesta nella lotta: scegliendo di non combattere sono rassegnati alla sconfitta (oggi ritengono inevitabile la vittoria dell'Islam come ieri ritenevano quella del comunismo)


di Roberto de Mattei
Sul precedente numero di Radici Cristiane abbiamo parlato del vizio del "moderatismo" e del "centrismo", che si esprime nella formula politica del "terzo partito". Ciò che vale nella politica interna, si applica anche a quella internazionale. Ma mentre in politica interna i "centristi" si alimentano alla tradizione democristiana, in politica estera, i rappresentanti della "terza forza" provengono spesso dalle ali estreme dello schieramento.
Una delle note che rendono riconoscibile questa famiglia psicologica è l'"equidistanza", uno slogan che pretende di applicare rigide leggi geometriche alla complessa e organica realtà della società umana. I fautori della "terza forza" sostengono, ad esempio, una posizione di equidistanza tra l'Islam e l'Occidente, anche se, per chi in Occidente è nato e vive, una posizione di questo genere significa, di fatto, la scelta del campo avverso.
La tesi dell'equidistanza misconosce inoltre il carattere processuale degli errori ideologici che, nel corso degli ultimi secoli, hanno assunto il carattere di una vera e propria Rivoluzione anticristiana. Esiste un rapporto genealogico tra il protestantesimo, il liberalismo e il socialismo: ognuno di questi errori è matrice dell'altro. Ma non avrebbe senso una posizione di equidistanza del cattolico verso di essi.
Nel XVI secolo il nemico mortale della Chiesa era l'eresia di Lutero, contro di cui combatterono santi e controversisti. Nel XVIII secolo gli eredi della Contro-Riforma cattolica affrontarono con il medesimo vigore, come nemico primario, la Rivoluzione francese, e perciò furono detti contro-rivoluzionari. Nell'Ottocento essi lottarono soprattutto contro il liberalismo e il socialismo e nel Novecento contro il comunismo e il nazionalsocialismo.
I nemici cambiano, mentre sola resta immutabile la verità del Vangelo, che il calore della lotta aiuta a definire con sempre maggiore chiarezza. Il problema di fondo, però, è quello di comprendere la natura del nemico che ci attacca, e l'equidistanza non ci aiuta a capirlo.
All'epoca della Guerra fredda, ad esempio, la posizione di equidistanza tra gli Stati Uniti e la Russia faceva solo gli interessi del Cremlino. Il nemico da battere era l'imperialismo sovietico e Pio XII spiegò spesso la natura della necessaria alleanza tra la Chiesa e le democrazie occidentali.

Questa alleanza tattica non comportava alcun cedimento dottrinale della Chiesa al capitalismo. Pio XII era ben consapevole che la radice del comunismo stava nei suoi errori filosofici e morali e ad essi contrapponeva la visione cristiana dell'uomo e della società.
I veri anticomunisti sapevano che il maggior pericolo era costituito, più che dai missili o dai carri armati sovietici, dal materialismo relativista che la Russia inoculava all'Occidente. Oggi sappiamo altrettanto bene che sarebbe illusorio opporre all'Islam il relativismo corrotto e decadente della società occidentale. Esso infatti non costituisce l'antidoto della religione di Maometto, ma gli spiana la strada.
L'abortismo e l'omosessualismo non sono "diritti" da rivendicare contro il totalitarismo islamico, ma espressione di quella apostasia dell'Occidente che costituisce la principale causa dell'avanzata della Mezzaluna.
E tuttavia, di fronte ai musulmani che invadono l'Europa, altrettanto privo di senso sarebbe l'additare come nemico primo della Chiesa l'occidentalismo, abbandonando di fatto la lotta contro l'Islam. Rifiutare due errori non significa essere "equidistanti" da essi, evitando di partecipare alla battaglia in corso. Chi si astiene dalla lotta, infatti, favorisce sempre uno dei due contendenti, che generalmente è il peggiore.

Meglio è invece, scendere in campo, levando in alto la propria bandiera che, nel nostro caso, è quella, sempre vittoriosa, della Croce. È questo il compito della Chiesa, alla quale oggi competerebbe una vigorosa campagna di evangelizzazione, per contrastare il proselitismo islamico nei ghetti multietnici e nelle periferie urbane, in ideale continuazione con la battaglia di Lepanto di cui il 7 ottobre ricorre il 440° anniversario.
Gli equidistanti però, anche quando si dicono cattolici, ignorano lo spirito della militanza cristiana. Essi aborrono lo spirito di sacrificio, soprattutto quando si manifesta nella lotta. Scegliendo di non combattere sono rassegnati alla sconfitta e, poiché ne sono consapevoli, definiscono la sconfitta come un ineluttabile portato della storia, di cui essi soli sarebbero in grado di prevedere il corso.

Ieri credevano nell'inevitabile avvento del comunismo, oggi in quello, altrettanto inarrestabile, dell'Islam, al cui interno cercano di distinguere l'autentico insegnamento del Corano dalle sue deformazioni estremistiche, così come nel comunismo distinguevano tra Marx da una parte e i suoi "traditori", Lenin e Stalin, dall'altra.
I terzaforzisti sono rassegnati alla conquista musulmana dell'Europa e confidano nell'Islam "dal volto umano" dei Fratelli Musulmani, così come ieri confidavano nel compromesso storico di Berlinguer e nella perestrojka di Gorbaciov. Allo spirito di Lepanto preferiscono l'arrendismo equidistante della Pace di Monaco, che nel 1938 regalò a Hitler l'Europa centrale.

Dietro questa posizione di "terza forza" c'è, oltre che una profonda debolezza psicologica, la mancanza di quella articolata e coerente visione del mondo che il cristiano deve sempre affermare nelle sue lotte: ieri contro il liberalismo, oggi contro l'islamismo e il relativismo culturale e morale che ci aggredisce.
Ma i terzaforzisti, che criticano il relativismo della società occidentale, rifiutano il concetto di Cristianità e di Civiltà cristiana, negando con ciò ogni applicazione rigorosa della verità cristiana all'ordine politico e sociale.
Essi poi vorrebbero combattere il relativismo morale dell'Occidente con un relativismo religioso altrettanto dissolutore. Si dicono cristiani, ma sostengono che l'"universalità" del Cristianesimo porta all'equiparazione delle religioni, vie diverse alla comune salvezza, possibile nell'unità trascendente delle religioni.

Ciò che detestano, come i moderati, a cui si apparentano, è la professione integra e senza compromessi del cattolicesimo. A loro la verità assoluta sembra un eccesso altrettanto deplorevole dell'errore. Rifiutano l'"integralismo", ma con estremo fanatismo propugnano il neutralismo nella politica internazionale e l'ecumenismo nella vita religiosa La posizione di equidistanza consente loro di non combattere per verità in cui non credono.
I terzaforzisti, come tutti i centristi, non hanno idee proprie, cioè visioni profonde delle cose: si nutrono dei luoghi comuni. Non vogliono essere isolati dal proprio tempo, ma si immergono nel suo flusso, al contrario degli intransigenti che lottano per uniformare la società alla visione cristiana del mondo.

Sono i princìpi che reggono il mondo, e la modernità è un blocco che si sta disfacendo, proprio perché è stata fondata sulla negazione dei princìpi perenni della Civiltà cristiana. Occorre evitare che l'Islam pianti la sua bandiera nelle rovine della modernità. Il Cristianesimo non è stato e non sarà mai una "terza forza", ma è, e deve essere, la prima, nel cuore degli uomini e nella società intera.

Fonte: Radici Cristiane, n. 68 - ottobre 2011