mercoledì 2 novembre 2011

"Se i preti e i cardinali non additano Cristo non servono a niente!" (F. Agnoli)

La facciata della cattedrale di Notre-Dame durante lo spettacolo
per la chiusura del «Cortile dei Gentili», il 25 marzo scorso

Io, cattolico

pacelliano, dico al

card. Ravasi che

ad Assisi ha sbagliato

atei
di Francesco AGNOLI
Da tempo il cardinal Ravasi porta avanti il celebre Cortile dei gentili. Con successo mediatico non indifferente. Il cardinale non troverà mai sulla sua strada oppositori urlanti e giornalisti acidi. Flirta con il mondo, nel senso evangelico del termine, e questo gli procura amici, a destra e a manca. Non è, lui, come altri, un cattolico “oscurantista”.

Poco fa al Corriere si tifava per la sua elezione a cardinale di Milano. Come successore di quel cardinal Martini che piace tanto in via Solferino perché contrario alla Humanae vitae e alla disciplina bimillenaria della Chiesa. Ravasi insomma, “piace alla gente che piace”.

Il perché si può capire facendo un salto nel sito dedicato al Cortile dei gentili, in cui campeggia una citazione di padre Turoldo, quel prete che un giorno stracciò in pubblico il rosario, perché, a suo dire, superstizione del passato. Eccola: “Fratello Ateo, nobilmente pensoso, alla ricerca di un Dio che io non so darti, attraversiamo insieme il deserto. Di deserto in deserto andiamo oltre la foresta delle fedi, liberi e nudi verso, il Nudo Essere e là dove la parola muore abbia fine il nostro cammino”.

Non ho nulla da dire contro il “fratello ateo”, anche se non userei la maiuscola; moltissimo, però contro l’idea che Dio si sia rivelato, a me, credente, perché io non abbia nulla da dire su di Lui. Moltissimo contro un confuso irenismo che sacrifica Cristo stesso dietro termini astrusi, fintamente poetici, ma chiaramente non cristiani.

A me sembra che se i preti e i cardinali non additano Cristo, non servono a niente.

Ma andiamo al sodo. Il 27 aprile, durante la giornata di Assisi, che forse il poverello che partì per convertire il Sultano, stenterebbe a comprendere, Ravasi ha invitato degli atei, su suggerimento di Benedetto XVI.

Idea interessante se è per dire che ciò che può essere terreno di confronto non sono le fedi - ché quella cristiana è in un Dio “geloso” e ben differente dagli “dei delle genti”-, ma la comune umanità che ci caratterizza tutti. Però, tra atei ed atei, ci sono comunque differenze.

Ravasi, giustamente, le fa. Però, a mio modo di vedere, all’opposto di come dovrebbe. Ha invitato, per esempio, non Marcello Pera o Giuliano Ferrara, che un bel po’ di strada insieme ai credenti la hanno fatta e la fanno di continuo, con l’uso della ragione, ma Julia Kristeva e Remo Bodei.

Perché Ferrara e Pera, direbbe subito qualcuno, sono schierati politicamente. Sbagliato: anche Bodei e Kristeva lo sono, e molto apertamente: a sinistra. Non è questo, dunque, il punto.

Il fatto è che per Bodei e Kristeva Ravasi nutre una certa simpatia che per gli altri soggetti citati non ha. Dovuta a cosa? Un cardinale, con degli atei, difficilmente concorderà su Dio. Però potrebbe trovare punti di accordo, almeno, sull’uomo.

La relazione della Kristeva ad Assisi, infatti, porta un titolo eloquente: “Regole per un nuovo umanesimo”. Peccato solo che quell’umanesimo contempli la “liberazione sessuale”, il divorzio, l’aborto e “la biologia che emancipa le donne”. Tutte cose che per un credente sono l’esatto contrario di un vero umanesimo. Nella lunga trattazione della Kristeva, in pellegrinaggio verso che cosa non si sa, compaiono l’elogio del materialista Diderot, del feroce anticristiano Voltaire, di Rousseau, persino del marchese de Sade e del femminismo della de Beauvoir. Conditi, è vero, con citazioni di Dante, san Francesco e santa Teresa d’Avila, purtroppo non compresi e storpiati. Compaiono poi affermazioni esilaranti, del tipo: “Non c’è più un Universo; la ricerca scientifica scopre e indaga continuamente il Multiverso”. A cui si aggiunge la conclusione, anch’essa molto dogmatica e definitiva: “non dobbiamo avere paura di essere mortali”. Kristeva quindi dà per certo che esista il Multiverso (pura ipotesi filosofica, sperimentalmente indimostrabile, sorta con l’unico fine di negare Dio) e che invece sia una sciocchezza l’immortalità dell’anima. Infine la Kristeva afferma che tale “multiverso”, certamente spoglio di Dio e di senso, sarebbe “circondato di vuoto” (come tutta la nostra esistenza).

Nessuna possibilità di dialogo, dunque: la Kristeva ha le idee molto chiare e le esprime senza tentennamenti e senza quei dubbi che tanto gli piacciono nei credenti.

Andrà meglio, si può pensare, con Remo Bodei. Mi sono cercato un po’ dei suoi scritti, per capire da dove partire, se un giorno mai mi invitassero ad Assisi come esponente del vecchio “cattolicesimo pacelliano”, come avrebbe detto Giovanni Guareschi. Non ho trovato nulla. Neppure un chiodino cui appendere una piccolissima speranza. Bodei, infatti, non solo è ateo; ma è anche favorevole all’aborto, soprattutto nei paesi in cui “il problema è di limitare le nascite”, causa una presunta “bomba demografica”.

Bodei è uno che mette spesso i puntini sulle i: per esempio insiste spesso sulla malvagità degli “atei devoti che strumentalizzano la religione”, in quanto dimostrano interesse verso di essa (Avvenire, 22 ottobre 2011).

In una lunga intervista su l’Unità, del 19/672005, poi, attaccava violentemente l’espressione ratzingeriana “dittatura del relativismo”, per affermare: “Una tale dittatura non c’è, né potrebbe essere imposta a qualcuno”. La verità, continuava Bodei, è che la Chiesa è folle ad opporsi alla selezione della specie, schierandosi contro l’aborto e la diagnosi pre impianto: “La cultura laica vanta delle ottime ragioni e malgrado tutto non deve lasciarsi mettere nell'angolo. Deve passare all'offensiva, come dicono Giorello e Salvadori. Senza atteggiamenti beceri o contundenti verso la Chiesa, che fa il suo mestiere. Ma il punto è questo: la Chiesa invade uno spazio neutro che è a garanzia di tutti. Perciò bando alle timidezze dei laici, via via divenuti subalterni o addirittura devoti. Quello che non si capisce nella posizione di questi ultimi, ma anche in quella dei cattolici, è il rifiuto del buon senso. Ad esempio, come si fa a rifiutare la diagnosi prenatale? Non si può obbligare una donna a far nascere da un embrione un figlio gravemente malformato”.

Se un bambino è malformato, insomma, bisogna ucciderlo. Fa parte dell’umanesimo, contro il cattolicissimo “rifiuto del buon senso”. Vogliamo continuare? Per Bodei gli “atei devoti” Pera, Ferrara e Fallaci, per quanto riguarda la loro posizione sul referendum del 2005, sono “patetici” ed arroganti; “proibire la ricerca sulle staminali embrionali (leggi: uccisione di embrioni umani, ndr) è un atto di oscurantismo”; la Chiesa è sempre indietro, come dimostra il Sillabo (bellissimo documento che condannava il comunismo ben prima che facesse oltre 100 milioni di morti), per cui quando occorre, bisogna combattere doverose “battaglie”; la Chiesa, ormai, non più frenata dalla Dc, “tracima” aiutata dall’ “attivismo dei devoti neocon”…

Se incontrassi Bodei, sempre che non sia “all’offensiva”, mi sa dire caro Cardinale, da dove partire, nel dialogo? Perché io, mi perdoni, sono un cattolico senza “buon senso”, che, per dirne una, non ucciderebbe mai suo figlio, sano o malato che fosse, sia perché crede in Dio, sia perché lo ha visto con quello strumento laicissimo che si chiama ecografo. Basterebbe questo, se ho capito bene, per farlo imbestialire….
da  Il Foglio del 31 ottobre 2011