Il card. De Paolis si schiera pubblicamente contro le tesi lassiste del card. Kasper
Dopo Carlo Caffarra su “Il Foglio” e Walter Brandmüller su “Die Tagespost” e “Avvenire”, un terzo porporato è intervenuto pubblicamente in forma ampia e approfondita sulla questione della comunione ai divorziati risposati, anche lui contro le tesi possibiliste sostenute dal cardinale relatore Walter Kasper nel concistoro del 20-21 febbraio.
È il cardinale Velasio De Paolis, 79 anni, missionario scalabriniano, canonista illustre, presidente emerito della prefettura degli affari economici della Santa Sede nonché delegato pontificio con pieni poteri sulla congregazione dei Legionari di Cristo, uno di quei solidi “vecchi curiali” nei cui confronti papa Francesco ha manifestato più volte la sua stima.
De Paolis si è schierato contro Kasper nella prolusione con cui lo scorso 27 marzo ha inaugurato il nuovo anno giudiziario del tribunale ecclesiastico regionale dell’Umbria, intitolata: “I divorziati risposati e i sacramenti dell’eucaristia e della penitenza“.
Il discorso di De Paolis, di ben 40 cartelle, è riportato integralmente nel sito web di questo stesso tribunale, di cui è “moderatore” l’arcivescovo di Perugia Gualtiero Bassetti, vicepresidente della conferenza episcopale italiana, fatto cardinale lo scorso febbraio da papa Jorge Mario Bergoglio.
È stato proprio Bassetti a invitare De Paolis e a dargli la parola, presentando fin da subito la sua esposizione come “preziosa e molto attuale, per tutti noi un vero arricchimento”.
Ed ecco il passaggio in cui il cardinale De Paolis riassume e respinge le posizioni del cardinale Kasper:
“Che dire della domanda posta dal cardinale Kasper nel concistoro del 21 febbraio 2014? Essa viene spiegata nel modo seguente. La via della Chiesa è una via media tra il rigorismo e il lassismo, attraverso un cammino penitenziale che sfocia nel sacramento della penitenza prima e poi dell’eucarestia. Kasper si domanda se tale cammino è percorribile anche per i divorziati risposati. Egli indica le condizioni: «La domanda è: Questa via al di là del rigorismo e del lassismo, la via della conversione, che sfocia nel sacramento della misericordia, il sacramento della penitenza è anche il cammino che possiamo percorrere nella presente questione? Se un divorziato risposato 1. si pente del suo fallimento nel primo matrimonio, 2. se ha chiarito gli obblighi del primo matrimonio, se è definitivamente escluso che torni indietro, 3. se non può abbandonare senza altre colpe gli impegni assunti con il matrimonio civile, 4. se però si sforza di vivere al meglio delle sue possibilità il secondo matrimonio a partire dalla fede e di educare i propri figli nella fede, 5. se ha desiderio dei sacramenti quale fonte di forza nella sua situazione, dobbiamo o possiamo negargli, dopo un tempo di nuovo orientamento (metanoia), il sacramento della penitenza e poi della comunione?».
“Lo stesso Kasper osserva: «Questa possibile via non sarebbe una soluzione generale. Non è la strada larga della grande massa, bensì lo stretto cammino della parte probabilmente più piccola dei divorziati risposati, sinceramente interessati ai sacramenti. Non occorre forse evitare il peggio proprio qui?» (ossia la perdita dei figli con la perdita di tutta una seconda generazione). Egli poi precisa: «Un matrimonio civile come descritto con criteri chiari va distinto da altre forme di convivenza irregolare, come i matrimoni clandestini, le coppie di fatto, soprattutto la fornicazione, dei così detti matrimoni selvaggi. La vita non è solo bianco e nero. Di fatto, ci sono molte sfumature».
“Al di là delle buone intenzioni, la domanda non sembra che possa avere risposta positiva. Al di là delle differenti situazioni in cui i divorziati risposati vengono a trovarsi, in tutte le situazioni si riscontra sempre lo stesso problema: la illiceità di una convivenza ‘more uxorio’ tra due persone che non sono legate da un vero vincolo matrimoniale. Il matrimonio civile, di fatto, non è un vincolo matrimoniale; secondo le leggi della Chiesa non ha neppure l’apparenza di matrimonio, tanto che la Chiesa parla di attentato matrimonio. Di fronte a questa situazione non si vede come il divorziato possa ricevere l’assoluzione sacramentale e accedere all’Eucaristia. Spesso per legittimare l’accesso all’Eucarestia dei divorziati risposati si danno motivazioni che possono avere una parvenza di bontà e di legittimazione”.
Tra queste motivazioni ingannevoli De Paolis cita la “pastoralità” e la “misericordia”, di cui denuncia gli “equivoci” in due ampi paragrafi che così si concludono, con una trasparente allusione al “chi sono io per giudicare?”:
“Spesso, e giustamente, si dice che noi non siamo chiamati a condannare le persone; il giudizio infatti appartiene a Dio. Ma una cosa è condannare, un’altra è valutare moralmente una situazione, per distinguere ciò che è bene e ciò che è male; esaminare se essa risponde al progetto di Dio sull’uomo. Questa valutazione è doverosa. Davanti alle diverse situazioni della vita, come quella dei divorziati risposati, si può e si deve dire che non dobbiamo condannare, ma aiutare; però non possiamo limitarci a non condannare. Siamo chiamati a valutare quella situazione alla luce della fede e del progetto di Dio e del bene della famiglia, delle persone coinvolte, e soprattutto della legge di Dio e del suo disegno di amore. Altrimenti corriamo il rischio di non essere più in grado di apprezzare la legge di Dio; anzi di considerarla quasi un male, dal momento che facciamo derivare tutto il male da una legge. In un certo modo di presentare le cose verrebbe quasi da dire che se non ci fosse quella legge della indissolubilità del matrimonio staremmo meglio. Aberrazione che mette in luce le storture del nostro modo di pensare e ragionare”.