L’ATEISMO CONCILIARE
Per secoli la dottrina cattolica venne insegnata come
irreformabile. E tutto ciò per una sola, semplicissima ragione: perché la si
sapeva di origine divina e non umana. Ma ora quel tempo è alle nostre spalle, e
nessuno – dico nessuno – osa negarlo. Per usare il linguaggio degli
antropologi, si potrebbe dire che la dottrina cattolica, per secoli e secoli, è
stata tabù. Ma oggi, quasi si trattasse di superstiziose credenze di popoli
primitivi, quel tabù non ha più nessun credito, meno che mai presso il moderno
clero. Quindi, lo si può toccare, ritoccare, riformare come e quanto si vuole,
a proprio piacimento; e lo si può perché, a differenza di ciò che si attardano
a immaginare le sciocche credenze primitive, si ritiene che nessuna divinità vi
sia posta a guardia.
Già da questo si dovrebbe comprendere come il Concilio Vaticano
II, riformando di fatto il dogma cattolico ad uso e consumo dell’uomo moderno,
ha inteso deliberatamente sfidare la stessa autorità di Dio. Ora, per sfidare
l’ autorità di Dio, non basta aver perso la fede cattolica, bisogna aver perso
la consapevolezza della trascendenza dell’Essere. Bisogna, cioè, credere che la
vita si risolva interamente qui, in questo breve passaggio terreno, bisogna
aver perso (o deposto) definitivamente ogni timor di Dio e vivere e pensare
come se Dio non esistesse. Perciò appare chiaro, a chi voglia vedere, che,
riformando il “tabù” cattolico (se mi si passa l’ espressione), i
vaticanosecondisti non mostrano soltanto d’avere perso la fede cattolica, ma
d’avere perso il senso della trascendenza dell’Essere. Che è, poi, ciò che
accade inevitabilmente quando si abbandona la metafisica tomista.
* * *
Quanto si è detto può sembrare drastico ed eccessivo; ma solo se
non si ha il coraggio di guardare in faccia la realtà. Giacché è la realtà a
dirci che sono gli stessi documenti conciliari – e non la loro cattiva
interpretazione – a sfidare nel modo più netto e temerario gli anatemi posti a
suggello della fede cattolica. Mi riferisco, in particolare, a Nostra Aetate e Dignitatis Humanae Personae,
ove si annuncia un Vangelo diverso da quello cattolico e mi riferisco, inoltre,
alla mostruosa riforma liturgica. Ora, nulla appare più evidente
dell’incredulità di chi sfida gli anatemi di una tradizione religiosa
millenaria come, ad esempio, i notissimi anatemi di San Paolo e San Giovanni
apostolo. E se nemmeno San Paolo e San Giovanni apostolo hanno titoli per
scomunicare chi annuncia un “Vangelo diverso”, ciò accade per un semplicissimo
ed evidentissimo motivo: perché i vaticanosecondisti non credono che gli
anatemi di San Giovanni apostolo, San Paolo, unitamente a quelli di 20 concili
ecumenici, siano divinamente ispirati. Per essi non c’è nessun Dio a guardia
gelosa di quegli anatemi: sono semplici maledizioni scagliate da uomini, a cui,
oggi, si sono sostituiti altri uomini (che si immaginano molto più buoni dei
primi). E d’altronde come stupirsi di questa mancanza di fede, quando Nostra Aetate e Dignitatis Humanae Personae,
negano nel modo più radicale ed evidente le parole che Gesù ci ha lasciate nel
Vangelo: “Io sono la via, la verità e la vita, nessuno sale al Padre se non per
mezzo di me”? Dinanzi a tanto sfacelo chi parla di ermeneutica della continuità
o mente o non sa quel che dice. Dalla parte opposta, chi sostiene che il
Vaticano II non esprime più la fede cattolica, come si sente dire spesso,
adotta soltanto un gentile eufemismo. In realtà, qui siamo ad un volgare e
comunissimo ateismo, ad un livello di ateismo da bar dello sport; e ciò per tre
motivi evidenti: che vale la pena riepilogare:
a) perché chi ha lanciato una sfida a tutti gli anatemi della
Chiesa mostra palesemente di non credere che Essa è divinamente assistita;
b) perché tale sfida, con Nostra
Aetate e Dignitatis
Humanae Personae concretatesi nello scandalo di Assisi,
giunge temerariamente a negare la divina verità della parola di Nostro Signore
Gesù Cristo, e dunque la Sua Stessa Divinità;
c) perché la sfida in se stessa dimostra che coloro che hanno
pilotato il Vaticano II e il postconcilio non avevano il benché minimo timor di
Dio e nessunissima intenzione di riportarlo in auge.
* * *
D’altronde, la mancanza di fede che qui si denuncia non dovrebbe
nemmeno meravigliare. Se Leone XIII, San Pio X, Pio XI, Pio XII insegnano che
il rimedio al male è il ritorno alla metafisica tomista, una ragione c’è. Ed
anche chiara.
Non è un mistero che il Vaticano II ha preteso di fare a meno
della teologia tomista, che ha voluto precipitarsi in mezzo al vivo divenire
del mondo facendo a meno dell’ essere, onde presentare la nostra fede non già
come un cadavere ammuffito della ormai morta metafisica ma come un’azione
vivente e uno slancio vitale incentrati sull’incontro con una persona. Ma il
divenire, considerato in se stesso, non ha alcuna certezza di essere. Il
divenire può considerare l’essere, tutto l’essere, solo come “potenza”, cioè
come possibile; ed il possibile non è mai certo. La semplice potenza di essere,
ossia il possibile, è, infatti, ciò che non si sa se sia o non sia. Il
necessario, invece, è ciò che è ed è certamente. Anche il possibile esiste, è
ovvio, ma non può esistere da solo, non può, cioè, giungere all’ essere da se
stesso. Di conseguenza, se da possibile a possibile non si giunge all’essere,
segue che, affinché il possibile sia, è necessario un essere che sia già in
atto. La potenza d’essere, cioè, è possibile solo a condizione che le preesista
l’atto puro da ogni potenza, cioè da ogni limite, atto eterno e infinito, che è
Dio. Ma, in quanto si fonda sulla sola potenza, o possibilità di essere, il nudo
divenire considera lo stesso Iddio come un possibile tra i tanti; e poiché,
come si è testé detto, da possibile a possibile non si approda all’essere, il
solo divenire, col suo semplice slancio vitale, non sa né potrà mai sapere se
Dio esiste oppure no.
È vero che per giungere al Dio cattolico occorre, oltre la
certezza dell’Essere, la fede in Cristo, ma resta, comunque, che il tomista, a
differenza del modernista, sa che l’esistenza di Dio è conoscibile al solo lume
della ragione naturale, esattamente come insegna il Concilio Vaticano I.
Partendo dalla nozione razionalmente certa dell’esistenza di
Dio, il tomista, conformemente al dogmatico insegnamento del Concilio vaticano
I, sa che il dubbio è una tentazione e che perciò è da rigettare come pensiero
volontario, o, peggio, come metodo; così come sa che il conseguente
agnosticismo è un peccato e non una posizione da difendere, o da insegnare,
alla maniera di Benedetto XVI. Se gli accade di dubitare involontariamente
della propria fede, il tomista non perde mai la nozione certa dell’esistenza di
Dio, non discende mai sotto di essa, per naufragare miserevolmente nel
nichilismo contemporaneo. Invece affrontando la fede senza nessuna certezza
razionale dell’ esistenza di Dio e tuffandosi spericolatamente nel flusso del
divenire del mondo per portarla agli altri, ci si mette proprio nelle
condizioni di far subito naufragio. E, infatti, così è accaduto e solo i ciechi
non lo vedono: abbandonato il porto sicuro del tomismo, il Vaticano II è subito
naufragato nel nichilismo ateo della filosofia moderna, e Nostra Aetate e Dignitatis Humanae Personae
stanno lì a testimoniarlo. A tal punto, che il rinnovamento liturgico e il
drammatico crollo verticale delle vocazioni sono da considerarsi come la
conseguenza, tragica e inevitabile, del volgare ateismo mondano in cui è
annegato, fin da principio, il cosiddetto spirito del concilio.
* * *
Il senso di questo scritto è riassumibile nel giro di poche,
chiare e semplici parole: il Vaticano II, riformando la religione cattolica, ha
deliberatamente inteso sfidare l’ autorità di Dio, e lo ha fatto perché non
crede che la Chiesa Cattolica, nei suoi pronunciamenti, è divinamente
assistita.
Non è dunque un caso che, tra i molti cambiamenti avvenuti all’
interno della Chiesa, a seguito dell’ ultimo Concilio, quello più evidente e
incontestabile – e che li spiega tutti – è, appunto, la perdita del timor di
Dio (e di conseguenza del senso del peccato). Chi è timorato è evidente che
crede in Dio; e chi crede in Dio crede nel Suo Divin Figliuolo, nello Spirito
Paraclito inviato alla Chiesa e, appunto per ciò, non osa toccar nulla del
sacro deposito. Chi, invece, pensa che gli anatemi siano trascurabili e che, di
conseguenza, i dogmi, la dottrina, il magistero e la liturgia rientrino senza problemi
nella disponibilità dell’uomo, ne fa lo scempio che vuole, come si è visto
negli ultimi cinquant’anni.
* * *
Oggi, come si sa, la Chiesa conciliare preferisce insegnare
l’amore più che il timore, anche a discapito del timore. L’insegnamento dell’ amore
non è, però, una novità: anche prima del concilio, la Chiesa insegnava che non
è sufficiente il timore di Dio; è evidente che all’ amore di Dio bisogna
corrispondere con l’amore e non con il solo timore.
Nell’ambito della propria vita privata, nessun fedele si
sognerebbe mai di applicare l’insegnamento conciliare. Semplicemente dotato di
una naturale intelligenza, il gregge sa benissimo che quando timore e rispetto
scompaiono, l’amore è già svanito da un pezzo. In nessun ambito umano – salvo
che nella illuminata “Chiesa conciliare” – ci si presterebbe a credere che un
innamorato, in luogo di difendere l’oggetto del suo amore, lo abbandoni al
pubblico ludibrio, unendosi lui stesso al coro di disprezzo degli estranei,
com’è avvenuto negli ultimi cinquant’anni. Oggi gli illuminati pastori
conciliari insegnano al gregge loro affidato l’amore senza il timore, come se
il gregge non sapesse che l’amore senza timore, l’amore che non si cura poco o
punto di spiacere all’amato, altro non è che una superficiale declamazione
retorica, inesorabilmente smentita, peraltro, dai continui rifacimenti,
rimaneggiamenti e lifting a cui sottopone l’Amato ormai da mezzo secolo,
umiliandolo pubblicamente in tutti i modi.
È evidente, dunque, che l’amore non sta senza il timore, e che
dove si trova l’uno, compare subito anche l’altro. Ciò vale anche per la
“chiesa” uscita dal concilio. Di conseguenza, se si volesse individuare chi o
cosa essa ami, bisognerebbe necessariamente cercare a chi, nell’ ipotesi in
questione, temerebbe immensamente di spiacere. Già! perché è di per sé evidente
che se cessa il timore per qualcosa, non per questo cessa il sentimento del
timore. La natura umana è così fatta che un assoluto non scompare senza
lasciare il posto a un altro. Voglio precisamente dire ciò che sanno tutti, e
cioè che quando non si teme un dio, è perché se ne teme un altro. L’assoluto,
infatti, non scompare mai, nemmeno se è negato. Ebbene, chiarito ciò, non
sembra molto difficile capire quale sia il nuovo assoluto – il nuovo dio – a cui,
da cinquant’anni, la Chiesa conciliare si prostra con timore e tremore. Questo
dio è il mondo (basta leggere la Gaudium
et Spes, per comprenderlo). Ma un dio non viene mai onorato a caso,
senza ragione; e che cosa abbia di così speciale questo nuovo dio, ce lo dice
lo stesso Vaticano II.
Il nuovo dio, a cui il concilio ha spontaneamente aperto le
porte della città santa, e venuto a portare ciò che unisce e a spazzar via ciò
che divide (a ripulire l'aria soffocante di sacrestia, stando alla nota
metafora conciliare). In altre parole secondo il concetto d' amore proposto
apertamente dalla Chiesa conciliare il nuovo dio e venuto a liberare del giogo
intollerabile di una Verità assoluta, che, in luogo di ricercare ciò che
unisce, discrimina e separa uomo da uomo; giacché, com'e purtroppo noto, per i
grandi geni della "Chiesa conciliare" la Verità ha il torto, e non il
merito, di escludere l'errore. Quindi, con l'entusiastico consenso di clero e
gerarchia conciliare, il nuovo dio e venuto a cancellare (se fosse possibile) proprio quel
Segno di contraddizione che Simeone, il giusto, ha atteso tutta la vita. Ed è appunto
per insegnare alla Chiesa a non proporre più quel Segno, che il dio del mondo
si e astenuto dall' imporre la negazione della Verità cattolica. Anche se ne
aveva tutto il diritto, in quanto e dio, si è limitato soltanto a suggerire
che, in ambito ecclesiastico, ci si degnasse finalmente di prestare ascolto ai
ragionevoli pensieri degli uomini più intelligenti. Perciò mai ha impedito che
si rendesse onore al Dio creatore e redentore, alla reale presenza nell'
Eucaristia, alla verginità di Maria, alla divinità del Figlio e ai Vangeli che
la proclamano, a patto che si coltivasse un dubbio ragionevole in merito alla
effettiva Verità di questi dogmi.
In cambio di questa ragionevole rinuncia alla pretesa origine
divina (e assoluta) della dottrina cattolica, il nuovo dio ha elargito alla
"chiesa" quelle dottrine umane che ancora le mancavano,
arricchendola, cosi, di tutte le eresie che aveva scioccamente condannato nel
corso della sua lunga storia. E, oggi, la chiesa del concilio, grata di tanto
dono, e finalmente in grado di annunciare, dal più alto soglio, che chi ha la
certezza della propria fede non porta Dio, ma solo se stesso; il che vuol
dire, per converso (anche se non vien detto), che solo chi dubita della propria
fede e degno di annunciare Cristo.
E' chiaro a questo punto che nella lampada conciliare di olio non
ce n'e più. Che è finito, come finì alle cinque vergini stolte, ma con una
differenza sconcertante: che quelle cinque vergini lo chiesero alle altre,
mentre clero e gerarchia conciliare nemmeno si degnano di chiederlo a chi ce
l'ha, e cioè alla Tradizione.
G. R.