Benedetto
XVI durante l’omelia per l’ordinazione sacerdotale di 14 diaconi della Chiesa
di Roma tenutasi nella Basilica Vaticana nel giugno 2010 si espresse così: « l’essere
discepolo significa “perdere se stesso”, ma per ritrovare pienamente se stesso
(cfr Lc 9,22-24). Cosa significa questo per ogni cristiano, ma
soprattutto cosa significa per un sacerdote? La sequela, ma potremmo
tranquillamente dire: il sacerdozio, non può mai rappresentare un modo per
raggiungere la sicurezza nella vita o per conquistarsi una posizione sociale.
Chi aspira al sacerdozio per un accrescimento del proprio prestigio personale e
del proprio potere ha frainteso alla radice il senso di questo ministero. Chi
vuole soprattutto realizzare una propria ambizione, raggiungere un proprio
successo sarà sempre schiavo di se stesso e dell’opinione pubblica. Per
essere considerato, dovrà adulare; dovrà dire quello che piace alla gente;
dovrà adattarsi al mutare delle mode e delle opinioni e, così, si priverà del
rapporto vitale con la verità, riducendosi a condannare domani quel che avrà
lodato oggi. Un uomo che imposti così la sua vita, un sacerdote che veda in
questi termini il proprio ministero, non ama veramente Dio e gli altri, ma solo
se stesso e, paradossalmente, finisce per perdere se stesso. Il sacerdozio
- ricordiamolo sempre - si fonda sul coraggio di dire sì ad un’altra volontà,
nella consapevolezza, da far crescere ogni giorno, che proprio conformandoci
alla volontà di Dio, “immersi” in questa volontà, non solo non sarà cancellata
la nostra originalità, ma, al contrario, entreremo sempre di più nella verità
del nostro essere e del nostro ministero»