Un documento “ecumenico” che tocca la
dottrina sulla validità della Santa Messa
Il
documento sull’anafora di Addai e Mari
Sì Sì No No n. 1 (15 Gennaio
2002 - Anno XXVIII)
Il fatto
Il 26
ottobre 2001 L’Osservator
Romano ha
pubblicato il documento del “Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità
dei Cristiani” che
detta gli “Orientamenti
per l’ammissione all’Eucarestia fra la Chiesa Caldea [cattolica] e la Chiesa Assira [nestoriana e scismatica] dell’Oriente”.
Il
documento intende rispondere ad una richiesta motivata dal fatto che “numerosi fedeli
caldei e assiri si trovano in una situazione di necessità pastorale per quanto
riguarda l’amministrazione dei sacramenti”. «La principale questione per la
Chiesa cattolica nei riguardi dell’accoglimento della richiesta – continua il documento – si riferiva al
problema [sic] della validità
dell’Eucarestia celebrata con l’anafora [canone] di Addai e Mari, una delle tre anafore
tradizionalmente in uso nella Chiesa assira dell’Oriente».
“Problema”, questo, non da poco, dato
che, come ci informa lo stesso documento, “l’anafora di Addai e Mari [detta anche «degli Apostoli»]
è
singolare in quanto, da tempo immemorabile, essa è adoperata senza il
racconto dell’Istituzione”, presente, invece, nelle altre due anafore nestoriane.
Un
“problema” inesistente
Diremo
subito che il “problema”
non
esiste e, in ogni, caso è un problema già risolto. Il problema non esiste
perché è evidente che un’anafora, cioè un canone, senza le parole consacratorie
(“Questo
è il Mio Corpo”; “Questo è il Mio
Sangue”)non
serve a nulla: senza consacrazione, non c’è Messa (v. DB. 1640).
È un
problema, comunque, già risolto per i caldei tornati all’unione con Roma, per i
quali o “si
supplisce a questa mancanza gravissima prendendo il testo di una delle due
altre anafore” , nelle
quali le parole consacratorie ci sono (v. Enciclopedia Cattolica voce caldei), oppure si inserisce nell’anafora
di Addai e Mari la formula della consacrazione.
Una
curva ad U
Questa
soluzione, però, tanto elementare quanto ovvia, è stata di fatto rimessa in
discussione dall’ecumenico “Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei
Cristiani”: «Poiché la Chiesa cattolica
–
continua il documento reso noto da L’Osservatore Romano – considera [sic! una semplice opinione?]
le
parole dell’Istituzione Eucaristica parte costitutiva e quindi indispensabile
dell’ anafora
o
Preghiera Eucaristica, essa [Chiesa cattolica]ha condotto uno studio lungo e accurato sull’
anafora di Addai e Mari da un punto di vista storico, liturgico e teologico, al
termine del quale, il 17 gennaio 2001, la “Congregazione per la dottrina della
Fede” è giunta alla conclusione che quest’anafora può essere considerata valida».
In
breve: la “Chiesa cattolica” sarebbe giunta ad una conclusione diametralmente opposta
a quella cui era giunta in passato, e questo grazie ad uno “studio lungo e
accurato”
condotto “da
un punto di vista storico, liturgico e teologico”. Ma vediamo gli “argomenti” sui quali è fondata una siffatta
curva ad U.
“Antica”, si, ma non
necessariamente “integra”
“La conclusione a cui si è giunti – dice il documento – si basa su tre
principali argomenti.
–In
primo luogo l’anafora di Addai e Mari è una delle più antiche anafore,
risalenti ai primordi della Chiesa. Essa fu composta e adoperata con il chiaro
intento di celebrare
l’Eucarestia in piena continuità con l’Ultima Cena e secondo l’intenzione della
Chiesa. La sua validità non è mai stata ufficialmente confutata né nell’Oriente
né
nell’Occidente”.
Cominciamo
dall’ antichità.
Che
l’anafora di Addai e Mari sia una delle più antiche anafore, risalenti ai
primordi della Chiesa, nessun dubbio. È molto dubbio, però, anzi è certo che essa
non è giunta fino a noi integra, qual era anticamente, ai primordi della
Chiesa, anche se si discute tuttora sul perché, sul come e sul quando la
formula consacratoria è scomparsa da quell’anafora. Per un errore dei copisti?
perché il celebrante la recitava a memoria? per riflesso della controversia
sull’epiclesi, a cui i
nestoriani attribuiscono l’efficacia consacratoria invece che alle parole dell’Istituzione?
Il problema rimane irrisolto per mancanza di documenti decisivi (v. Dictionnaire de
Théologie catholique, voce Nestorienne/
l’Eglise col. 310).
Medesima incertezza sulla
data della scomparsa della formula consacratoria da quel rito: alcuni la
pongono intorno al XV secolo; altri in tempi più remoti (v. l’Eucarestia a cura di A. Piolanti, ed.
1957, pp. 514-516 e A. Raes Le recit de l’institution eucharestique dans
l’anaphore chaldeenne et malabare des Apotres).
La lezione delle
“antichita” guaste
Non ci fermiamo oltre
sull’argomento. Sottolineiamo soltanto che anche altre anafore, tra “le più antiche” e tuttora in uso in
comunità scismatiche orientali, presentano lo stesso guasto o perché prive
affatto della formula consacratoria o perché questa vi appare mutilata (v. Dictionnaire de
Théologie catholique t. XII
/2° voce Orientale
/Messe col.
1452 ss.).
Questa “antichità” pervenuta
a noi così gravemente guasta non attesta affatto la validità di dette anafore,
ma attesta soltanto i danni sostanziali apportati alle comunità
orientali dallo scisma da Roma, danni che non hanno risparmiato neppure la
validità del Santo Sacrificio dell’Altare.
Scrive
giustamente dom Cabriol: «Ma il fatto più straordinario nel racconto dell’Istituzione
nelle anafore orientali è che le parole di Nostro Signore, le quali hanno
l’importanza che sappiamo nel sacramento eucaristico, alcune liturgie le
amplificano e cambiano, senza però modificarne il senso, altre le alterano in
tal modo che si può dubitare persino della validità della formula, altre ancora
le omettono addirittura! [È il caso appunto dell’anafora di Addai e Mari]. Si vede con ciò,
dal punto di vista dogmatico, la necessità d’un magistero che si eserciti
sulle liturgie e il danno di lasciar alla fantasia formule di siffatta importanza. Sotto questo punto
di vista – l’abbiamo detto –l’Occidente offre [invece] un’ uniformità pressoché
completa» (Dictionnaire d’archéologie
chretienne et de liturgie, t. I, 2a parte, col. 1914, Parigi 1907).
L’intenzione non
basta
Parimenti,
non mettiamo in dubbio che l’anafora di Addai e Mari “fu composta e
adoperata con il chiaro intento di celebrare l’Eucarestia […] e secondo l’intenzione
della Chiesa” come afferma
il documento. Domandiamo, però, quando mai la Chiesa abbia insegnato che alla validità
dei Sacramenti basta la sola intenzione. Al contrario. Essa ha sempre insegnato
che per la validità dei Sacramenti occorrono, oltre all’intenzione di fare ciò
che fa la Chiesa, anche la materia e la forma (o formula) e che “se uno di questi
elementi manca, non si ha il sacramento” (Concilio di Firenze DS
1312).
Nell’anafora
di Addai e Mari manca la forma dell’Eucarestia, costituita dalle parole con le quali
Cristo la istituì, e perciò non c’è Santa Messa. E per cogliere questa evidenza
non occorreva nessuno “studio lungo e accurato”; bastava semplicemente che
gli “studiosi” della Congregazione per la Fede richiamassero alla mente il
catechismo di San Pio X che dovrebbero aver studiato nella loro infanzia.
Un’affermazione
insostenibile
La
validità di quest’anafora –dice ancora il documento – «non è mai stata
ufficialmente confutata né nell’Oriente né nell’ Occidente».
Per
l’Oriente questo si può comprendere, visto il guasto in cui versano le liturgie
e le teologie delle diverse sette orientali: perché mai sgomentarsi per l’assenza
della formula consacratoria quando in Oriente per lo più l’efficacia
consacratoria è attribuita principalmente all’ epiclesi o invocazione dello
Spirito Santo?
Per
l’Occidente, invece, l’ affermazione del documento non regge.
Il solo
inserimento della formula consacratoria nell’anafora di Addai e Mari per i
caldei ritornati all’unione con Roma è una condanna ufficiale di quella
medesima
anafora
priva delle parole della consacrazione, qual è in uso tuttora presso gli
scismatici assiri. Perciò non può sostenersi che la validità di questa anafora senza
la formula consacratoria “non è stata mai ufficialmente confutata” in Occidente. Tanto più che
a confutarne la validità basta, anche in assenza di confutazioni “ufficiali”,
la sola dottrina cattolica sulla validità dei Sacramenti che abbiamo sopra richiamato.
Perché non si sfugge: o si condanna l’uso di un’ anafora priva delle parole del
Signore o si condanna la dottrina cattolica, la quale insegna che le parole del
Signore sono “la
vera ed unica forma del Sacramento dell’ Eucarestia» (v. Eucaristia cit. p. 438): «Forma dell’
Eucarestia sono le parole del Salvatore con le quali Egli fece questo
Sacramento; difatti il Sacerdote produce questo
Sacramento parlando in nome di Cristo» (Concilio di Firenze Decreto per gli Armeni D 698).
Un
secondo “argomento” che non argomenta nulla
Ed ecco
il secondo “argomento” offerto dal documento: «In secondo luogo la
Chiesa cattolica riconosce la Chiesa assira dell’Oriente [nestoriana e scismatica] come autentica
Chiesa particolare [sic] fondata sulla fede
ortodossa [sic] e sulla successione
apostolica [sic]. La Chiesa assira
dell’Oriente ha anche preservato la piena fede eucaristica nella presenza di
Nostro Signore sotto le specie del pane e
del
vino e nel carattere sacrificale dell’Eucarestia. Pertanto nella Chiesa assira
dell’Oriente, sebbene essa non sia in piena [sic] mcomunione con la Chiesa
cattolica, si trovano “veri sacramenti, soprattutto, in forza della successione
apostolica, il sacerdozio e l’Eucarestia” (Unitatis Redintegration. 15)».
Sono qui
condensate tutte le deviazioni ecclesiologiche della “dottrina ecumenica”
rispetto alla dottrina costante della Chiesa: è promossa ad «autentica Chiesa particolare» una setta scismatica ed è
dichiarata “fondata
sulla fede ortodossa” una
setta nestoriana (la “Dichiarazione
comune cristologica”, cui
fa cenno il documento, ha risolto – si ammette – solo “il principale
problema dogmatico”, ma
non tutti i problemi dogmatici); è riconosciuta fondata sulla “successione
apostolica” una
setta priva di continuità dottrinale con gli Apostoli e di
legittima giurisdizione, dato che questa “viene ai Vescovi unicamente attraverso
il Romano Pontefice” (Pio
XII Ad
Apostolorum Principis); è
detta fornita di “veri
Sacramenti” una
setta in cui due Sacramenti di istituzione divina sono stati sostituiti da due
“sacramenti” di istituzione umana e l’Eucarestia è resa invalida da un canone
privo dell’essenziale (v. Dict. de Th. cath.voce Nestorienne / l’Eglise).
Per
tutti questi punti rimandiamo a quanto già ampiamente confutato in sì sì no no 15 dicembre 2000 pp. 1 ss. a
proposito della Dichiarazione Dominus Iesus. Qui ci preme osservare che anche questo secondo “argomento”,
così come il primo, non
argomenta proprio un bel nulla in favore della validità del rito celebrato con
la mutilata anafora
di Addai e Mari. Che la «Chiesa assira dell’nOriente» abbia «preservato la piena
fede eucaristica nella presenza di Nostro Signore sotto le specie del pane e
del vino» è cosa
dubbia e tuttora discussa e non basta scegliere, così semplicisticamente, la
tesi più comoda all’«ecumenismo» per troncare una questione che tiene divisi
gli studiosi degni di questo nome (v. Eucaristia cit. a cura di A. Piolanti pp. 512-13 con relative note).
È certo,
comunque, che la transustanziazione è negata dagli scismatici assiri (ivi), sulla scorta dell’eretico
Nestorio (alla cui “riabilitazione” – guarda caso – si dice favorevole in Gesù il Cristo Walter Kasper, ora Presidente
del Pontificio
Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani).
E benché
sia vero che gli assiri credono che l’Eucarestia è un vero Sacrificio, il quale
rinnova in modo incruento il Sacrificio dell’ Altare, è altresì vero che in pratica
tale fede è “privata
del proprio oggetto” per
tutto il tempo dell’ anno, che è il più lungo, in cui la loro liturgia
prescrive l’uso della mutila anafora di Addai e Mari.
Infatti la sola fede nella Presenza Reale e nel carattere sacrificale
dell’Eucarestia, anche se “piena”, non basta a produrre il Sacramento dell’Eucarestia quando
nel rito manca la formula della consacrazione.
Nella
stessa Chiesa cattolica, se un sacerdote omette la formula della consacrazione,
non c’è Messa, non c’è Eucaristia valida né basta a renderla valida la fede
veramente “piena” che la Chiesa cattolica ha
nella Presenza Reale e nel carattere sacrificale dell’ Eucarestia.
Un
“argomento” a cui mostra di non credere lo stesso documento
Terzo
argomento addotto dal “Pontificio Consiglio per la promozione dell’Unità
dei Cristiani”: «Infine le parole
dell’Istituzione Eucaristica sono di fatto presenti nell’anafora
di Addai e Mari, non in modo coerente e “ad litteram”, ma in modo eucologico e
disseminato, vale a dire che esse sono integrate in preghiere successive di rendimento
di grazie, lode e intercessione».
Ci
sarebbe stato facile riportare da varie fonti l’anafora di Addai e Mari nel suo
testo integrale.
Sennonché
nell’articolo “Ammissione
all’Eucarestia in situazione di necessità pastorale”, che accompagna il
documento con “lo
scopo di chiarire il contesto, il contenuto e l’applicazione pratica di tale
disposizione”, lo
stesso Osservatore
Romano ci offre
le preghiere “successive” al buco in cui avrebbe
dovuto esserci, ma non c’è, la formula della consacrazione, e nelle quali
preghiere sarebbero a giudizio della Congregazione per la Fede “di fatto presenti”, anche se “disseminate”, le “parole
dell’Istituzione Eucaristica” così da costituire un “quasi-racconto [sic] dell’ Istituzione Eucaristica”. Eccole:
1)
«Tu, mio Signore,
per le tue molte e indicibili misericordie, abbi un ricordo buono e accetto di tutti
i padri, retti e giusti, che furono graditi davanti a te, nella memoria del
corpo e sangue del tuo Cristo, che noi offriamo a te sull’altare puro e santo,
come tu ci hai insegnato»;
2)
«ti conoscano tutti gli abitanti della terra […] e anche noi, mio Signore,
tuoi servi piccoli, deboli e miseri, che siamo riuniti e stiamo davanti a te,
abbiamo ricevuto per tradizione l’esempio che viene da te, rallegrandoci,
glorificando, esaltando,
facendo memoria e celebrando, questo mistero grande e terribile della passione,
morte e resurrezione di nostro Signore Gesù Cristo»;
3) «Venga, mio Signore, il tuo Spirito santo e riposi su
questa offerta dei tuoi servi, la benedica e la santifichi; affinché sia per noi,
mio Signore, per la remissione dei debiti, per il perdono dei peccati, per la
speranza grande della resurrezione dalla morte, e per la vita nuova nel regno
dei cieli, con tutti coloro che furono graditi
celebrando questo mistero grande e terribile della passione, morte e
risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo».
Queste
preghiere indubbiamente presuppongono la consacrazione, attestano che
anticamente essa c’era nell’anafora di Addai e Mari, però il lettore può, come
abbiamo fatto noi, leggerle e rileggerle, ma non vi troverà, neppure
“disseminate”, le parole della consacrazione: “Questo è il Mio
Corpo”; “Questo è il Mio
Sangue”.
Non si
comprende, perciò, come l’articolo de L’Osservatore Romano possa concludere: “In tal modo le
parole dell’Istituzione non sono assenti [sic!] nell’ anafora di Addai e Mari,
ma menzionate esplicitamente [sic] anche se disseminate [?] attraverso i
passaggi più importanti dell’ anafora».
Dobbiamo
noi forse trovare in questa anafora quello che non c’è, solo perché così vuole
il “Pontificio
Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani”? Certamente no. La fede e
l’ubbidienza non esigono le dimissioni della retta ragione. I fatti sono fatti
e l’onestà intellettuale esige che il pensiero si adegui alla realtà (anche se
i “nuovi teologi” pretendono piuttosto di piegare la realtà e la ragione altrui
al proprio pensiero).
D’altronde,
lo stesso “Pontificio
Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani” mostra di non credere
troppo a quanto afferma, dato che al n. 3 del medesimo documento raccomanda; “quando dei fedeli
caldei [=cattolici]
partecipano
ad una celebrazione assira [=nestoriana scismatica] della Santa Eucarestia il
ministro assiro è caldamente [sic] incoraggiato ad introdurre nell’anafora di Addai e
Mari le parole dell’Istituzione”. E perché mai è “caldamente” incoraggiato a ciò se non perché “il rito nestoriano si
serve normalmente per la messa di un’anafora che non possiede l’essenziale”? (v. Dict. De Th. cath. voce Orientale/Messe col. 1459). Neppure la Congregazione per
la Fede e il Pontificio Consiglio
per la Promozione dell’Unità dei Cristiani credono, dunque,
che (con tutta la fede “piena” della Chiesa cattolica) il rito romano senza la
formula della consacrazione o il Pange Lingua, con il suo “quasiracconto” dell’ Istituzione Eucaristica, sia sufficiente a celebrare validamente
la Santa Messa.
Un documento
vergognoso
Con
questo documento “ecumenico” i fedeli cattolici sono autorizzati e spinti a partecipare
attivamente ad atti di culto di eretici e scismatici (communicatio in sacris), benché ciò sia proibito dal
diritto divino naturale e positivo: Haereticum hominem devita (Tit. 3, 10). In ossequio a questo diritto
divino la Chiesa non ha mai
ammesso casi di “necessità” in questo campo: si veda il Codice piano-benedettino
can. 1258 §1 e il decreto del S. Uffizio del 7 agosto 1704, il quale precisa
che “un
cattolico non può assistere alla Messa di un sacerdote eretico o scismatico, anche
se, urgendo il precetto festivo, dovesse altrimenti rimanere senza Messa” (Enciclopedia cattolica
voce Comunicazione nelle
cose sacre col.
118).
Inoltre,
con questo documento “ecumenico” si autorizzano (con un’autorità di cui si è
privi) i fedeli a violare il diritto divino per partecipare ad una “Messa” che Messa
non è, essendo il rito privo della formula consacratoria, così che suona
irrisoria l’ asserzione che in tal modo “i fedeli caldei [cattolici]… possono ricevere la
Santa Comunione [?]in una celebrazione
assira della Santa Eucaristia” (L’Osservatore
Romano cit. Ammissione all’ Eucarestia… articolo illustrativo cit.).
Infine
questo documento, per la sua reciprocità, dà il via all’«intercomunione» con
eretici e scismatici, finora, almeno ufficialmente, vietata. Infatti anche
gli
“assiri” sono autorizzati in caso di necessità a ricevere – loro, però,
realmente – la Santa Comunione in una celebrazione “caldea”, cioè cattolica.
Non
crediamo di andare errati dicendo che questo documento andrà a perpetua
vergogna nella storia della Congregazione per la Fede e a dimostrazione che il “Pontificio
Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani” in realtà promuove l’unità
dei cristiani con gli eretici e gli scismatici in una “comune rovina” (Pio XII Humani Generis).
Iulianus
Tratto
da: www.sisinono.org