COSI' VIVONO I CATTOLICI
"ANTI-MODERNISTI"
Video realizzato da "il Giornale" (ilGiornale.it)
a Vocogno, Domenica 21 Febbraio 2016
Articolo apparso su "ilGiornale.it"
il 26/02/2016
a cura di Giovanni Masini
Viaggio
fra i cattolici tradizionalisti:
"No
all'accoglienza indiscriminata"
In val Vigezzo una
piccola comunità celebra la Messa in latino, resiste alle riforme
della Chiesa moderna e cerca "un Cristianesimo con più dogmi e
più certezze"
Giovanni Masini
Da Vocogno di Craveggia (Verbania)
Un movimento del dito per
spegnere lo smartphone e le mani corrono rapide alla borsetta, da cui
spunta un velo nero.
Le donne sono pronte per entrare in chiesa. Con un
gesto, lasciano la modernità fuori dalla porta, nel mondo secolare e
fanno il loro ingresso in una dimensione atemporale, consacrata.
In un cosmo che in apparenza è fermo a sessant'anni fa, ma che per i suoi abitanti è eterno, la comunità cattolica di Vocogno - borgo adagiato nella pittoresca Val Vigezzo - si raduna ogni domenica per ascoltare la Messa secondo il rito antico. La Messa in latino, per intenderci. Fra nuvole d'incenso e paramenti antichi che non siamo più abituati a vedere, i fedeli si muovono a proprio agio nei salmi latini, recitando senza esitazione le preghiere nella lingua di Roma.
Animatore della comunità è don Alberto
Secci, da sempre punto di riferimento per i tradizionalisti
piemontesi. Don Secci celebra esclusivamente secondo il rito antico
dal 2007, quando Benedetto XVI ribadì, promulgando il motu
proprio Summorum Pontificum, che la messa in
latino non era mai stata abolita.
Tuttavia, a differenza di molti altri sacerdoti,
nella chiesa di Santa Caterina si celebra
esclusivamente secondo il rito antico. Per la messa in italiano non
c’è posto. Lo stesso avviene nella vicina Domodossola, dove
don Stefano Coggiola celebra in latino nella cappella
dell’ospedale. Quando, anni fa, si è rifiutato di dir Messa in
italiano, la diocesi di Novara gli ha tolto la titolarità della
parrocchia. Lo stesso è avvenuto a don Alberto.
Entrambi garantiscono che “il problema è
clericale, non dei fedeli”. Il rito tridentino, spiega don Alberto,
si pone in continuità con la tradizione liturgica della
Chiesa, perpetuando forme e usanze che non sono mai state
messe al bando. Non solo. “Il rito non è solo un fattore estetico
- ammonisce il sacerdote mostrandoci gli ambienti austeri della
chiesa - ma è legato alla dottrina: la riforma della Messa ha
promosso un Cristianesimo con pochi dogmi e con
poche regole".
"Troppo spesso - prosegue - si insiste
sull'accoglienza, che è doverosa, ma si dimentica
di dire che le persone che sono accolte dalla Chiesa devono iniziare
un percorso di conversione."
Nel rito come nella dottrina, "ciò che viene
dalla tradizione non si può abolire." E a chi
obietta che il latino impedisce la comprensione, don Alberto spiega
pacato: "Noi abbiamo sempre fornito dei messali con la
traduzione. E comunque - spiega sorridendo - serve una comprensione
differente, non solo letterale. Uno prima è coinvolto dal rito, dal
canto, dal silenzio...."
La catechesi viene garantita grazie a incontri
bisettimanali di dottrina e a un bollettino
compilato insieme a don Coggiola e pubblicato sul blog "radicati
nella fede".
E i fedeli arrivano, anche da molto lontano. C'è
chi viene dalla Svizzera e chi percorre trecento chilometri a
settimana per coltivare la propria fede nel rispetto della
tradizione.
Certo, alcune affermazioni delle frange più progressiste della gerarchia lasciano spaesati, ma incontrando queste persone traspare evidente la convizione che la Chiesa vada aiutata - "e amata", come tiene a sottolineare don Alberto - dall'interno, nell'obbedienza all'autorità costituita.
"La Chiesa - spiega uno dei membri del coro -
si salverà qui. Grazie alla tradizione."
source: ilGiornale.it