PRESUPPOSTI E FONTI
DELLA EDUCAZIONE DELLA COSCIENZA
Ma dove troveranno
l’educatore e l’educando, in concreto e con facilità e certezza, la legge
morale cristiana? Nella legge del Creatore impressa nel cuore di ciascuno [2],
e nella rivelazione, nel complesso, cioè, delle verità e dei precetti,
insegnati dal divino Maestro. Ambedue, sia la legge scritta nel cuore, ossia la
legge naturale, sia le verità e i precetti della rivelazione soprannaturale, il
Redentore Gesù ha rimesso, come tesoro morale della umanità, nelle mani della
sua Chiesa, affinché essa le predichi a tutte le creature, le illustri e le
trasmetta, intatte e difese da ogni contaminazione ed errore, dall’una
all’altra generazione.
Contro questa
dottrina, incontrastata per lunghi secoli, emergono ora difficoltà ed obiezioni
che occorre chiarire.
Come della dottrina
dommatica, così anche dell’ordinamento morale cattolico si vorrebbe istituire
quasi una radicale revisione per dedurne una nuova valutazione.
Il passo primario, o
per dir meglio il primo colpo all’edificio delle norme morali cristiane,
dovrebbe essere quello di svincolarle — come si pretende — dalla sorveglianza
angusta ed opprimente dell’autorità della Chiesa, cosicché, liberata dalle
sottigliezze sofistiche del metodo casistico, la morale sia ricondotta alla sua
forma originaria e rimessa semplicemente alla intelligenza e alla
determinazione della coscienza individuale.
Ognuno vede a quali
funeste conseguenze condurrebbe un tale sconvolgimento dei fondamenti stessi
della educazione.
Omettendo di
rilevare la manifesta imperizia e immaturità di giudizio di chi sostiene simili
opinioni, gioverà mettere in evidenza il vizio centrale di questa «nuova morale». Essa, nel rimettere ogni criterio etico alla coscienza individuale, chiusa
gelosamente in sé e resa arbitra assoluta delle sue determinazioni, ben lungi
dall’agevolarle il cammino, la distoglierebbe dalla via maestra che è Cristo.
Il divin Redentore ha consegnato la sua
Rivelazione, di cui fanno parte essenziale gli obblighi morali, non già ai
singoli uomini, ma alla sua Chiesa, cui ha dato la missione di condurli ad
abbracciare fedelmente quel sacro deposito.
Parimente la divina
assistenza, ordinata a preservare la Rivelazione da errori e da deformazioni, è
stata promessa alla Chiesa, e non agli individui. Sapiente provvidenza anche
questa, poiché la Chiesa, organismo vivente, può così, con sicurezza ed
agilità, sia illuminare ed approfondire le verità anche morali, sia applicarle,
mantenendone intatta la sostanza, alle condizioni variabili dei luoghi e dei
tempi. Si pensi, per esempio, alla dottrina sociale della Chiesa, che, sorta
per rispondere a nuovi bisogni, non è in fondo che l’applicazione della perenne
morale cristiana alle presenti circostanze economiche e sociali.
Come è dunque
possibile conciliare la provvida disposizione del Salvatore, che commise alla
Chiesa la tutela del patrimonio morale cristiano, con una sorta di autonomia
individualistica della coscienza?
Questa, sottratta al
suo clima naturale, non può produrre che venefici frutti, i quali si
riconosceranno al solo paragonarli con alcune caratteristiche della
tradizionale condotta e perfezione cristiana, la cui eccellenza è provata dalle
incomparabili opere dei Santi.
La «morale nuova »
afferma che la Chiesa, anzi che fomentare la legge della umana libertà e
dell’amore, e d’insistervi quale degna dinamica della vita morale, fa invece
leva, quasi esclusivamente e con eccessiva rigidità, sulla fermezza e la
intransigenza delle leggi morali cristiane, ricorrendo spesso a quei « siete
obbligati », «non è lecito », che hanno troppo sapore di un’avvilente
pedanteria.
Ora invece la Chiesa
vuole — e lo mette in luce espressamente quando si tratta di formare le
coscienze — che il cristiano venga introdotto nelle infinite ricchezze della
fede e della grazia, in modo persuasivo, così da sentirsi inclinato a
penetrarle profondamente.
La Chiesa però non
può ritrarsi dall’ammonire i fedeli che queste ricchezze non possono essere
acquistate e conservate se non a prezzo di precisi obblighi morali. Una diversa
condotta finirebbe col far dimenticare un principio dominante, sul quale ha
sempre insistito Gesù, suo Signore e Maestro. Egli infatti ha insegnato che per
entrare nel regno dei cieli non basta dire « Signore, Signore », ma deve farsi
la volontà del Padre celeste [3]. Egli ha parlato della « porta stretta » e
della « angusta via » che conduce alla vita [4], ed ha aggiunto: « Sforzatevi
di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrare
e non vi riusciranno » [5]. Egli ha posto come pietra di paragone e segno
distintivo dell’amore verso Se stesso, Cristo, l’osservanza dei comandamenti
[6]. Similmente al giovane ricco, che lo interroga, Egli dice: « Se vuoi
entrare nella vita, osserva i comandamenti » e alla nuova domanda « Quali? »
risponde: « Non uccidere! non commettere adulterio! non rubare! non fare
testimonianza falsa! onora il padre e la madre! e ama il prossimo tuo come te
stesso! ». Egli ha messo come condizione a chi vuole imitarlo, di rinunziare a
se stesso e di prendere ogni giorno la sua croce [7]. Egli esige che l’uomo sia
pronto a lasciare per Lui e per la sua causa quanto ha di più caro, come il
padre, la madre, i propri figli, e fin l’ultimo bene, la propria vita [8].
Poiché Egli soggiunge: « A voi dico, amici miei: non temete quei che uccidono
il corpo, e dopo tanto non possono fare di più. Vi mostrerò io chi dovete
temere: temete Colui, che, dopo tolta la vita, ha il potere di mandare
all’inferno » [9].
Così parlava Gesù
Cristo, il divino Pedagogo, che sa certamente, meglio degli uomini, penetrare
nelle anime e attrarle al suo amore con le infinite perfezioni del suo Cuore, «
bonitate et amore plenum » [10].
tratto: http://www.riscossacristiana.it/la-norma-della-decisione-ultima-e-personale-per-unazione-morale-va-presa-dalla-parola-e-dalla-volonta-di-cristo-magistero-del-venerabile-papa-pio-xii/