venerdì 12 marzo 2010

Michael Davies: cambiare il rito per cambiare la fede (4)

Abbiamo precedentemente visto che la Riforma liturgica inglese fu un'opera di straordinaria ambiguità. Dopo la morte di Enrico VIII, sotto la guida dell'arcivescovo di Canterbury Cranmer, l'Inghilterra fu portata sempre più a tagliare le sue radici cattoliche, per approdare a un nuovo cristianesimo, eretico, l'Anglicanesimo. L'attualità ci mostra a quale tristezza è giunta la chiesa anglicana, seguendo tutte le mode e perdendo progressivamente la fede. Questo taglio con la radice cattolica, lo sappiamo, fu fatto GRADUALMENTE, con prudenza, attraverso una riforma della liturgia lente ma inesorabile nell' eliminare l'aspetto sacrificale della Messa, così come comanda il più puro protestantesimo. La gradualità era necessaria, nel disegno sovversivo e ereticale di Cranmer, per non provocare lo scandalo degli inglesi, sacerdoti e laici, ancora naturalmente cattolici: si sa, chi agisce nell'ombra, non potendo manifestare il proprio disegno rivoluzionario, non vuole gli scandali... che tutto sia tranquillo, purche l'opera di distruzione continui!
Con questa logica vennero approntate delle misure preparatorie alla riforma del messale romano che, considerate attentamente, rivelano tutto il loro carattere protestante. Iniziamo, in questo numero, a considerare la prima di queste misure preparatorie, la sostituzione degli altari con delle tavole: i lettori potranno in tutta facilità farne i dovuti collegamenti con la nostra triste realtà post-conciliare, che per frettolosità e superficialità (ma in alcuni casi per volontà di protestantizzazione) ha seguito l'esempio anglicano.
L'abbazia di Rievaulx in North Yorkshire
La sostituzione degli altari con delle tavole

La sostituzione degli altari con delle tavole fu, anch’essa, una misura conforme alla linea di condotta adottata dai riformatori dell’Europa continentale in materia di liturgia. Ciò che ne risultò finalmente si trova molto esattamente riassunto in una descrizione della santa cena come la si celebrava a Strasburgo dopo il 1530,quando l’influenza di Bucer vi fu divenuta preponderante. (E’ senza dubbio inutile ricordare che Bucer ebbe su Cranmer e dunque sulla sua nuova liturgia, più influenza di qualunque altro riformatore del continente). “La messa, il prete e l’altare sono dunque sostituiti dalla santa cena, il ministro e la tavola della santa cena; al posto di rivolgersi verso l’oriente, il celebrante guarda verso l’occidente” (D.Harrison, The first and second Prayer Books of Edwar VI, Londra 1968, p.VI). Per Calvino, poiché il Cristo ha compiuto il suo sacrificio una volta per tutte, Dio “ci ha donato una tavola per la festa e non un altare per offrirvi una qualsiasi vittima; non ha consacrato dei preti per offrire dei sacrifici, ma dei ministri per condividere con gli altri il banchetto sacro”.

La distruzione in massa degli altari non intervenne in Inghilterra che dopo l’imposizione del Prayer Book del 1549; tuttavia, un primo passo era già stato compiuto dal 1548; riguardava gli altari delle cappelle delle fondazioni mortuarie, di cui Cranmer aveva ordinato la distruzione. A partire dal 1549, gli altari di pietra sui quali, da secoli, si offriva il santo sacrificio, furono sostituiti con dei tavoli di legno collocati nel coro. Il 27 novembre 1548, Jean d’Ulm scriveva a Bullinger: “Tutti gli altari privilegiati sono ora stati abbattuti in buona parte dell’Inghilterra e, con l’accordo generale dell’alta società, sono stati puramente e semplicemente soppressi. Cosa aggiungere a questo? Questi altari idolatri sono ora diventati delle mangiatoie di maiali (arae factae sunt harae), cioè la dimora dei porci e delle bestie” (Original Letters Relative to the English Reformation, Parker Society, Cambridge,1846 e 1847, t. II, pag. 384). Nel 1549, il vescovo di Norvich, William Rugg, che aveva l’animo cattolico, dimissionò per protestare contro il primo Atto di uniformità, che imponeva il nuovo Prayer Book. La sede resterà vacante per un anno; in virtù della sua autorità di primate, Cranmer fece effettuare una visita della diocesi che ebbe come risultato la distruzione della maggioranza degli altari. Il nuovo vescovo, Thomas Thirlby, si era anche lui dichiarato ostile all’Atto di uniformità; lo accettò però quando fu adottato. (Più tardi, sotto il regno di Elisabetta I, fu gettato in prigione per aver rifiutato di prestare il giuramento di supremazia).

Nel 1550, dopo aver preso possesso della sua nuova sede, osservava: “La maggioranza degli altari della mia diocesi sono già stati distrutti per ordine dei visitatori inviati da Sua Grazia Monsignore di Canterbury in occasione dell’ultima visita che ha fatto effettuare, essendo allora la sede episcopale vacante” (F. Gasquet e H.Bishop, Edward VI and the Book of Common Prayer, Londra 1890). In una serie di seminari per la Quaresima che pronunciò davanti al Re e al Consiglio, il vescovo Hooper reclamò con insistenza la distruzione totale degli altari e la loro sostituzione con dei tavoli, perché non ci sono che tre forme di sacrificio che i cristiani possono offrire e non necessitano di altari: il sacrificio di azione di grazia; la bontà e la generosità verso i poveri; e la mortificazione dei nostri corpi e la morte al peccato. “Se noi non ci applichiamo ad offrire ogni giorno questi sacrifici a Dio, non siamo più cristiani. Considerando che i cristiani non hanno altri sacrifici che questi, che si possono e si devono compiere senza altari, non si dovrebbero trovare altari fra i cristiani… Sarebbe dunque a proposito che piacesse ai magistrati sostituire gli altari con dei tavoli, conformemente a ciò che fu istituito dal Cristo, questo al solo scopo di fare scomparire la credenza erronea, diffusa nel popolo, secondo la quale si offrono dei sacrifici sugli altari; perché fino a quando ci saranno gli altari il popolo ignorante e il prete adepto di false dottrine continueranno a sognare dei sacrifici. Sarebbe dunque preferibile che i magistrati facciano scomparire tutti i monumenti e i segni dell’idolatria e della superstizione; questo non farebbe che affrettare lo stabilirsi della vera religione di Dio” (Original Lettres..., t. II, pag. 488). Il 27 marzo 1550, dopo la nomina di Ridley al seggio episcopale di Londra, Hooper scriveva a Bullinger: “Spero che si metta a distruggere gli altari di Baal come ha già fatto nella sua chiesa quando era vescovo di Rochester. Non so come dirvelo, carissimo amico, in mezzo a quali difficoltà e di quali pericoli noi lavoriamo e combattiamo per arrivare ad eliminare questa pratica idolatrica che è la messa” (Original Letters..., t. I, pag.79). E aggiungeva: “Dal mio arrivo qui, molti altari sono stati distrutti in questa città (Londra)”. Le speranze che Hooper metteva in Ridley erano fondate. In meno di tre mesi, questi aveva ordito che gli altari fossero tolti dalle chiese della sua diocesi (F.Clark, Eucharistic Sacrificie and the Reformation, Devon, 1980, pag 188). Gli altari erano dei “monumenti che perpetuavano troppo l’antica credenza del sacrificio della messa. La distruzione degli altari era già un tratto caratteristico della Riforma nell’Europa continentale, dove aveva generalmente accompagnato l’abolizione della messa” (Ibid., pp.187-188). Il 24 novembre 1550, il Consiglio del Re ordinò che questa politica fosse universalmente adottata in Inghilterra, e “che tutti gli altari del regno fossero distrutti. Ormai, ogni volta che si celebrava il rito della santa cena, si doveva farlo su una tavola di legno coperta da una tovaglia di lino” (P. Hughes, The Reformation in England, Londra 1950, t.II, p.121). In una lettera indirizzata in questa data a Ridley dal Consiglio, a nome del Re, e portante, tra l’altro, le firme di Somerset e di Cranmer, si afferma che la sostituzione generale degli altari con dei tavoli in legno eliminerà una causa “di nuovi turbamenti e disordini”: “Reverendissimo Padre in Dio, fedelissimo e amatissimo, vi indirizziamo i nostri buoni saluti. E’ arrivato a nostra conoscenza che, essendo stati abbattuti gli altari nella maggioranza delle chiese del regno per delle buone e sante ragioni, ne esistono ancora, nonostante questo, in diverse altre chiese, cosa che occasiona molte dispute e litigi fra alcuni dei nostri sudditi, e che, se non vi si sta attenti, potrebbe essere causa di grandi mali e dispiaceri; vi facciamo sapere che, preoccupati di eliminare ogni causa di discordie come le originano sovente queste diversità e altre simili, e considerando che fra le altre cose che appartengono alla nostra funzione e carica regale, la più importante è preservare la pace pubblica nel nostro regno, abbiamo giudicato bene, dopo parere del nostro Consiglio, di richiedervi e ancor di più di darvi ordine e comando formale, al fine di evitare ogni soggetto di nuove discordie e violenze a proposito del mantenimento o della soppressione dei detti altari, di dare delle istruzioni precise su tutta l’estensione della vostra diocesi, perché con ogni diligenza siano abbattuti tutti gli altari, in ogni chiesa o cappella di detta diocesi, che sia nei luoghi esenti o non esenti, e che al loro posto sia eretta una tavola, in qualche posto appropriato del coro, destinata, in ogni chiesa o cappella, a servire all’amministrazione della santa comunione. E, preoccupato che questo sia fatto senza offendere coloro tra i nostri affezionati sudditi che non sono ancora su questo punto così convinti come ce lo augureremmo, vi indirizziamo congiuntamente alcune considerazioni raccolte e ordinate ad ogni scopo utile; le quali, come altre che vi sembrerà appropriato avanzare, per persuadere gli esitanti di riunirsi alla nostra azione su questo punto, vi preghiamo di voler volentieri far conoscere al popolo, da qualche predicatore avveduto, nei luoghi che giudicherete appropriati, prima di abbattere i detti altari; in modo che le coscienze mal irrobustite di altri possano essere, anche loro, debitamente istruite e rassicurate, per quanto si possa fare e che il nostro buon piacere ne sia tanto più facilmente eseguito. Perché questo sia fatto al meglio, vi domandiamo di fare innanzitutto conoscere di persona le considerazioni suddette nella nostra chiesa cattedrale, se voi lo potete facilmente, o altrimenti di farlo dall’intermediario del vostro cancelliere, o da qualche altro predicatore serio, in questo luogo e in altri borghi e luoghi più importanti della vostra diocesi, come vi sembrerà più appropriato” (T.Cranmer, Writings on the Lord's Supper, t.II, p.524).

Tra le “considerazioni” che accompagnavano la lettera, sei non permettevano di dubitare, scrive Mons. Hughes, “che negli animi di coloro che ordinavano questo cambiamento , una religione (migliore) era sostituita ad un’altra” (The Reformation in England, t.II, p.121). Questo emerge con una particolare evidenza dalla prima delle "Reasons why the Lord’s Board should rather be after the form of a Table than an Altar" (Ragioni per le quali la tavola del Signore dovrebbe avere la forma di un tavolo piuttosto che quella di un altare): “In primo, la forma di una tavola allontanerà maggiormente la gente semplice dalle idee superstiziose della messa papista, per condurla al buon uso della santa cena. Perché ci si serve di un altare per offrire un sacrificio; ma ci si serve di una tavola per il pasto degli uomini.

Ora, quando noi rinnoviamo la cena del Signore, con che scopo lo facciamo? Forse per sacrificare il Cristo una nuova volta e crocifiggerlo ancora, o per mangiare il suo corpo spiritualmente e bere il suo sangue spiritualmente, cosa che è ben in realtà il senso della vera santa cena?Nessuno potrebbe dunque negare che la forma di una tavola conviene meglio di quella di unaltare alla celebrazione della detta santa cena” (T.Cranmer,Writings on..., pp.524-525).

Si soppressero dunque in tutto il paese tutti gli altari consacrati che servivano al sacrificio cristiano. Il padre T.E. Bridgett sottolinea che il rifiuto del santo sacrificio della messa era tale dalla parte dei “preti apostati che introdussero la Riforma nel XVI secolo o che vi cooperarono” che sussiste “poca sopravvivenza dell’antica pietà”. Poi aggiunge: “Ovunque esistono dei libri di conto dei fabbriceri, troviamo delle iscrizioni simili a quella di Burnham, nel Buckinghamshire: “Payd to tylars for breckynge downe forten aster in the cherche” (“Pagato ai muratori per abbattere quattordici altari nella chiesa”). Non è che attraverso tali briciole di storia che possiamo ricostruire e popolare di nuovo con l’immaginazione l’interno delle vecchie chiese, oggi vuote, ove furono nel passato offerte innumerevoli messe” (T.E.Bridgett, A History of the Eucarist in Great Britain, Londra 1908, p.63).

Il padre Bridgett non forza il tratto quando parla di “odio della messa”; è ciò che emerge dalle istruzioni indirizzate ai fabbriceri nel 1571, sotto il regno di Elisabetta, da Edmund Grindal, arcivescovo di York. Non solamente insisteva sulla distruzione o degradazione di ogni oggetto suscettibile di evocare il ricordo della messa, come sulla eliminazione di tutti gli altari, rialzati sotto il regno di Maria Tudor, ma prescriveva anche che fosse soppressa ogni traccia della loro esistenza: “I fabbriceri veglieranno in modo che, in tutte le chiese e cappelle di cui hanno la responsabilità, tutti gli altari siano interamente abbattuti e distrutti fino alle loro fondamenta e che il posto dove si innalzavano sia pavimentato, e che il muro al quale erano sigillati sia imbiancato e reso perfettamente uniforme, in modo che nessuna differenza o nessuna traccia non possa apparire. E veglieranno anche a che le pietre dell’altare siano spezzate, raschiate e impiegate per qualche uso profano. “I fabbriceri e i ministri del culto veglieranno (anche) al fatto che gli antifonari, messali, graduali, portesses (libro portatile, equivalente del breviario), processionali, manuali, lezionari e tutti gli altri libri che appartenevano un tempo alla loro chiesa o cappella e che erano utilizzati per gli uffici della superstizione in latino, siano resi interamente illeggibili e siano strappati e distrutti. Allo stesso modo, che tutti i paramenti, albe, tuniche, stole, fanoni (manipoli), ciborii, strumenti di pace, campanelle, campane della consacrazione, turiboli, ampolle del crisma,croce, candelieri, recipienti dell’acqua benedetta e aspersori, immagini e tutte le reliquie e monumenti della superstizione e dell’idolatria siano totalmente degradati, spezzati e distrutti. “Due volte all’anno, dovranno comunicare all’ordinario i nomi di tutte le persone favorevoli al potere romano e straniero, i nomi di coloro che ascoltano o dicono la messa od ogni altro ufficio in latino, come i nomi di coloro che danno asilo ai preti papisti vagabondi o agli altri spregiatori notori della vera religione” (Ibid. p.63).

In un buon numero delle venerabili chiese e cattedrali d’Inghilterra, la mensa di pietra dell’altare fu trasformata in una pietra, sovente utilizzata come gradino che i fedeli attraversavano entrando nella chiesa per assistere al nuovo servizio in vernacolare. Nella sola contea di Cambridge, si trovano ancora più di trenta pietre d’altare così collocate per essere calcate dai piedi (Ibid.,p. 65).
In una biografia che ha dedicato al suo antenato riformatore, un discendente del vescovo Ridley scrive che la distruzione degli altari, che la gente del popolo considerava un sacrilegio, li scandalizzò talmente che fece loro chiaramente comprendere l’importanza della rivoluzione che era stata compiuta, sostituendo una religione ad un’altra, come dice Mons. Hughes. Ecco cosa scrive J.-G. Ridley al riguardo: “La distruzione degli altari significò per tuti i sudditi del regno che l’oggetto che, da più di mille anni,si innalzava nel cuore delle loro chiese, e che, dalla loro più tenera infanzia, guardavano ogni Domenica con un timore reverenziale, era considerato come idolatrico e rigettato con disprezzo dagli adepti della nuova religione che era stata loro imposta” (J.G. Ridley, Nicholas Ridley ,Londra 1957, pp. 218-219).

Il fatto che il termine “altare” sia utilizzato in alcune rubriche del Prayer Book del 1549 può sembrare in contraddizione con l’insegnamento dei riformatori. La questione è affrontata nella seconda delle spiegazioni che accompagnano l’ordine del Consiglio del Re prescrivente la distruzione degli altari: “Allo stesso modo, poiché si sente dire che il Libro della Preghiera comune parla di un altare e che non è dunque permesso di sopprimere ciò che questo libro permette, ecco cosa conviene rispondere a questo proposito: Il Libro della Preghiera comune chiama la cosa sulla quale si celebra la santa cena, indifferentemente tavola, altare, tavola del Signore, senza prescrivere al riguardo alcuna forma particolare, che sia quella di una tavola o di un altare: di modo che la tavola del Signore, che abbia la forma di un altare o quella di una tavola, Il Libro della Preghiera comune lo chiama a volte altare e tavola. Perché, come chiama la cosa sulla quale si celebra la santa cena, altare, tavola e tavola del Signore o della santa cena, così chiama altare la tavola dove è distribuita la santa comunione, con lodi e azioni di grazie rese a Dio; perché è lo stesso sacrificio di lode e di azione di grazia che è offerto. Così è chiaro che parlando in questo modo non si dice o non si vuol dire nulla che contraddica Il Libro della Preghiera comune” (Cranmer, Writings...,t.II, p. 525). La parola altare non fu più menzionata nelle rubriche del Prayer Book del 1549; non fu mai reintrodotta in seguito.




Abbiamo preso molto spazio nel citare questo paragrafo della grande opera di M.Davies sulla riforma liturgica inglese, ma crediamo di aver fatto dono ai nostri lettori di una approfondita documentazione, oggi più che mai preziosa per rispondere a coloro che si scandalizzano per il fatto che il sacerdote celebri “spalle ai fedeli”.

continua...