Un Concilio «pastorale».
Papa Giovanni XXIII nella allocuzione per l’apertura del Concilio, 11 ottobre 1962: «Il XXI Concilio Ecumenico … vuole trasmettere pura e integra la dottrina, senza attenuazioni o travestimenti, che lungo venti secoli, nonostante difficoltà e contrasti, è divenuta patrimonio comune degli uomini».
«...Il 'punctum saliens' di questo Concilio non è dunque una discussione di un articolo o dell’altro della dottrina fondamentale della Chiesa e dei Teologi antichi o moderni, quale si suppone ben presente e familiare allo spirito. Per questo non occorreva un concilio. Ma dalla rinnovata, serena e tranquilla adesione a tutto l’insegnamento della Chiesa nella sua interezza e precisione quale ancora splende negli atti Conciliari da Trento al Vaticano I, lo spirito cristiano, cattolico ed apostolico del mondo intero, attende un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze, in corrispondenza più perfetta alla fedeltà dell’antica dottrina, anche questa però studiata ed esposta attraverso le forme dell'indagine e della formulazione letteraria del pensiero moderno. Altra è la sostanza dell'antica dottrina del depositum fidei, ed altra è la forma del suo rivestimento: ed è di questo che devesi - con pazienza se occorre - tener gran conto, tutto misurando nelle forme e proporzioni di un magistero a carattere prevalentemente pastorale».
Ancora, Paolo VI nella allocuzione per l'apertura del secondo periodo del Concilio, 29 settembre 1963, così si esprimeva: «Nel discorso su citato, Giovanni XXIII ha parlato "per tracciare al Concilio il sentiero da percorrere. Per essere da lui diretti... ut sacrum christianae doctrinae depositum efficaciore ratione custodiatur atque proponatur"».
E segue, riportando le parole del papa Giovanni XXIII: «Ma tu (dice rivolgendosi al suo predecessore), indicando così il più alto scopo del Concilio (conservare e proporre intatto il depositum fidei), gli hai anteposto un altro scopo più urgente e ora più salutare, lo scopo pastorale, affermando: "Neque opus nostrum quasi ad finem primarium, id spectat, ut de quibusdam capitibus praecipuis doctrinae ecclesiasticae disceptetur... ", ma piuttosto: "ea ratione pervestigetur et exponatur, quam tempora postulant nostra".
E, per evitare possibili confusioni, il cardinale decano, E. Tisserant, a nome del Consiglio di Presidenza, cui spettava risolvere i dubbi occorrenti, nella congregazione generale, inizio della III sezione, dopo aver presentato il saluto continuò: «È conveniente ricordare che questo Concilio ecumenico, come il Sommo Pontefice Giovanni XXIII affermò ripetutamente, in nessun modo si propone di stabilire nuovi capitoli di dottrina; il suo proprio fine è di fare in modo che si incrementi l’attività pastorale della Chiesa. Secondo questa norma sono stati redatti tutti gli schemi e a questo sono state dirette le nostre discussioni e i nostri lavori, perché non avvenga si stabilisca altra cosa».
La Lumen gentium par. 54, a proposito della dottrina sulla Vergine SS., dichiara: «Il Sacro Concilio, mentre espone la dottrina riguardante la Chiesa…, intende illustrare attentamente sia la funzione della Beata Vergine nel mistero del Verbo Incarnato e del Corpo Mistico, sia i doveri degli uomini specialmente dei fedeli, pur senza aver in animo di proporre una dottrina esauriente su Maria, e di dirimere le questioni non ancora pienamente illustrate dal lavoro dei teologi. Restano quindi legittime le sentenze, che nelle scuole cattoliche vengono liberamente proposte circa Colei, che nella Chiesa Santa occupa, dopo Cristo, il posto più alto e più vicino a noi».
In calce alla Lumen gentium sono riportate due modificazioni lette dall'Ecc.mo Segretario Generale del Concilio nella 123ª Congregazione Generale del 16 novembre 1964.
Ecco la prima: «È stato chiesto quale debba essere la qualificazione teologica della dottrina esposta nello schema della Costituzione dogmatica sulla Chiesa e sottoposta alla votazione. La Commissione dottrinale ha dato al quesito questa risposta: "come consta di per sé, il testo del Concilio deve sempre essere interpretato secondo le regole generali da tutti conosciute». In pari tempo, la Commissione dottrinale rimanda alla sua Dichiarazione del 6 marzo 1964, di cui trascriviamo qui il testo: "Tenuto conto dell'uso conciliare e del fine pastorale del presente Concilio, questo Sacro Concilio definisce soltanto quelle cose riguardanti la fede o i costumi come da tenersi dalla Chiesa, che esso stesso abbia aperta mente dichiarato come tali. Le altre cose che il Concilio propone, in quanto dottrina del Magistero Supremo della Chiesa, tutti e singoli i fedeli devono accettarle e tenerle secondo la mente dello stesso Sacro Concilio, la quale risulta sia dalla materia trattata sia dal tenore dell’espressione verbale, conforme alle norme dell'interpretazione teologica"».
Questa «notifica-risposta» risponde alla domanda in cui si chiedeva di conoscere la «qualificazione teologica» della dottrina sulla Chiesa che stava per essere votata. Questa parola «qualificazione teologica» equivale evidentemente al termine tecnico usato dai teologi di «nota teologica». Con ciò si chiede venga determinato il grado di accostamento, propinquità alla verità rivelata e nello stesso tempo il criterio per determinarlo.
Sono note le distinzioni:
a) una dottrina è di «fede divina» quando s’incontra formalmente nelle fonti della rivelazione;
b) è «teologicamente certa» quando si deduce evidentemente dalla rivelazione e perciò su di essa son concordi i teologi;
c) «infallibilmente certa», quando l’organo magisteriale che la propone, intende espressamente proporla come tale;
d) «autenticamente certa» quando l'organo ministeriale che la propone, non intende proporla come infallibile, ma la presenta con la sua autorità gerarchica.
La «notifica» dice di attenerci, per la «nota teologica» da dare ai documenti di questo Concilio, alla dottrina generale dei teologi, al riguardo.
Per la Chiarezza bisogna tener presente questi dati:
a) questo Concilio, fin dalla sua convocazione e in molte occasioni, ha dichiarato che la sua finalità non è dottrinale, ma pastorale;
b) che pertanto non è sua intenzione di definire niente, che esplicitamente non sia proposto come tale dal Concilio;
c) In quanto a tutto ciò che propone, «giacché è dottrina del magistero supremo della Chiesa», deve essere accolto secondo la «mente» del Concilio; questa deve essere conosciuta: 1) dalla materia trattata; 2) dal modo di trattarla; 3) seguendo le norme dell’interpretazione teologica.
A questo punto è bene ricordare quanto la Lumen gentium afferma nel n. 25: «...i fedeli devono accettare il giudizio del loro vescovo dato a nome di Cristo in cose di fede e morale, ed aderirvi con religioso rispetto. Questa obbedienza religiosa di volontà e intelligenza la si deve in modo particolare prestare al magistero autentico del Romano Pontefice, anche quando non parla «ex cathedra»; in modo tale cioè che il suo supremo magistero sia con riverenza accettato e con sincerità si aderisca alle sentenze da lui date, secondo la mente e la volontà da lui manifestata, la quale si palesa specialmente sia dalla natura dei documenti sia dal frequente riproporre la stessa dottrina, sia dal tenore della espressione verbale».
Abbiamo così alcuni criteri sicuri per procedere a distinguere nettamente una forma di proposizione «infallibile» dall'altra solamente «autentica». Nella prima, il magistero della Chiesa soltanto impegna la sua autorità, ma anche la sua «verità». Mentre nella forma meramente «autentica» della proposizione, il magistero non impegna altro che la sua «autorità».
O, se si vuole, con una distinzione più semplice: nel magistero «infallibile» il magistero s’impegna con tutta l'autorità ricevuta da Cristo; mentre nel magistero solamente «autentico» si impegna solamente quanto è necessario per dirigere i fedeli in certi e determinati casi. Per questo, mentre nella infallibilità non possono esserci gradi, essi ci sono invece nella autenticità.
Ora, l’infallibilità va unita alla definizione e questa è limitata da Concilio ai casi nei quali espressamente lo affermi.
Esistono questi casi? Noi crediamo che non ne esista alcuno: il Concilio Vaticano II non ha niente definito infallibilmente. Quando lo fa, lo stesso Concilio si vincola espressamente ad altri concili. Ed è evidente che una medesima dottrina non può essere «formalmente» definita che una sola volta.
Si tratta dunque con tutta certezza di un magistero meramente «autentico», che il Concilio Vaticano II ha voluto esprimere.
Ora quali sono gli obblighi che sorgono da un magistero autentico? Assenso religioso ed interno.
Senza dubbio la distinzione tra magistero «infallibile» e «autentico» tocca anche l'ordine medesimo della verità giacché nel magistero infallibile si parla con un’assistenza del tutto speciale, con cui lo Spirito Santo assiste la Chiesa, sicché quando essa propone una dottrina non può errare.
Invece, nel magistero meramente «autentico», il magistero è assistito dallo Spirito Santo soltanto con un’assistenza generale, per cui procede «con sicurezza» nei suoi giudizi. Questa sicurezza certo tocca anche l’ordine della verità, però è diretta soprattutto nell’ordine della prudenza nel governo.
Con chiarezza il Billot (De Ecclesia [ed. 1927], pp. 445-447) stabilisce la natura dell'assenso dovuto alle dichiarazioni delle Sacre Congregazioni; lo stesso possiamo dire in rapporto al magistero «autentico» del Concilio Vaticano II.
Il consenso religioso (soprannaturale) ed interno deve essere date senza dubbio alcuno, sempre che non ci siano ragioni sufficienti e prurdentemente gravi per non darlo.
È quanto conferma A. Straub, De Ecclesia Christi (ed. 1912) n. 968 ss.: «Se un decreto per qualcuno è certamente falso o opposto ad una ragione così solida da non essere vinta dalla forza dell’autorità sacra, richiedendosi una "obbedienza ragionevole", sarà lecito dissentire».
Applicando tali presupposti al n. 18 della Lumen gentium, il P.J.M. Alonso conclude: 1) il Vaticano II conferma in modo solenne la dottrina sul primato del Romano Pontefice, richiamando le definizioni del Concilio Vaticano I.
2) Circa la dottrina sull'episcopato, intende continuare la linea del Vaticano I e proporla. Niente vi è definito; abbiamo soltanto una dottrina «autentica».
3) Pertanto, esiste la reale e certa possibilità di una riconsiderazione teologica, nei limiti della prudenza, della dottrina esposta, tanto sulla sacramentalità dell’episcopato, come, soprattutto, sul la cosiddetta «collegialità episcopale».
Gli stessi principi sono da applicare, ed a fortiori, a tutti gli altri documenti conciliari: decreti, dichiarazioni...
Ci troviamo, curiosamente e forse per la prima volta nella storia, dinanzi a proposizioni dottrinali (come quelli citati sull’episcopato), promulgate dal più alto magistero della Chiesa, il quale dichiara espressamente da ritenersi magistero autentico, non infallibile.
Questo ha potuto e può ingannare o meravigliare chi abbina questo Concilio in un modo univoco con i precedenti. Si commetterebbe così un grave errore di criteriologia teologica. Questo Concilio, come in genere tutti gli altri, non solamente propone la sua dottrina, ma dichiara anche la sua particolare e propria intenzione di proporla. Deve pertanto essere inteso e spiegato secondo la sua propria criteriologia, espressamente e ripetutamente formulata.
Norma cattolica è leggere i testi del Vaticano II alla luce dei Concili dogmatici precedenti; ogni novità in contrasto con essi è da scartare, secondo l’espressa dichiarazione fatta all’inizio della III Sessione dal Card. Tisserant che la presiedeva.
Ancora, il riconoscimento, la valutazione di Mons. Gherardini, il grande teologo, professore alla Pontificia Università del Laterano, nel libro: La Chiesa mistero e servizio, Istituto Superiore di Scienze Religiose «Ut unum sint», Pontificia Università Lateranense, Roma 1987, pp. 281: «Bisogna per altro riconoscere che la natura pastorale dei documenti conciliari inclusa la Lumen Gentium, ha creato e crea qualche difficoltà alla scienza teologica, sia pure consentendole una maggiore libertà d’azione e di movimento. Si è avvertito e tuttora si avverte il 'limite' di un riferimento conciliare privo di validità dogmatica e di normatività universale».
F. Spadafora,
Documenti conciliari del Vaticano II, Palestra del clero, 1 luglio 1984