"Dal Concilio vaticano II in poi il declino è stato inarrestabile" scrive l'autrice dell'articolo che segue: sappiamo che qualche volta vale l'adagio "post hoc non propter hoc", ma questa volta ci tocca dar ragione alla Magli. Un articolo bellissimo commentato dalla grande Caterina così: " …sono d’accordo con questa analisi e ne è prova il fatto che è stata molto deludente la Lettera della CEI ai Sacerdoti che ha puntato il tema esclusivamente sulla questione della pedofilia senza minimamente spingere il sacerdote ad un ripensamento agli ABUSI LITURGICI, alla disobbedienza alle richieste del Pontefice circa il come deve essere celebrata la Santa Messa…nessuna correzione fraterna affinchè i Sacerdoti abbandonino il proprio protagonismo e si facciano autentici SERVITORI della Chiesa, del Cristo, della stessa Gerarchia…
Nessuna correzione fraterna affinchè gli inginocchiatoi riappaiano durante la santa Comunione dei fedeli e con essi l’adorazione all’Eucarestia da riceversi alla bocca per comprenderne l’importanza…
Nessuna correzione fraterna per i confessionali VUOTI privi di sacerdoti troppo impegnati nell’assistenza sociale che toccherebbe fare ai laici…
Nessun invito categorico affinchè ritorni splendente IL CROCEFISSO sull’altare…
Ci mancano vescovi capaci di parlare usando parole e pensieri TEMERARI, sembra che la diplomazia e la burocrazia abbiano preso dimora fra le penne di coloro che potendo lanciare messaggi forti, di fatto scrivono in termini languidi su tematiche cavalcate dall’onda mediatica…
Cari Vescovi della CEI, osate di più… usate il linguaggio DEI SANTI quando ammonivano, istruivano, amavano i fedeli e i sacerdoti attraverso lo scritto illuminato davvero dallo Spirito Santo…
Vogliamo lo stile cateriniano, lo stile di sant’Antonio, di san Giovanni Bosco, di sant’Alfonso Liguori…del santo Montfort, del santo Curato d’Ars….di san Pio X, di Leone XIII, lo stile che davvero INFUOCA gli animi risvegliandoli da questo tepore tenebroso…"
Senza Gesù sta morendo la Chiesa
di Ida Magli
di Ida Magli
«È l’umanità che ha abbandonato la Chiesa o è la Chiesa che ha abbandonato l’umanità?». Parole del poeta Thomas Eliot, di cui qualche anno fa Luigi Giussani diede questa spiegazione: «La Chiesa ha cominciato ad abbandonare l’umanità perché ha dimenticato chi era Cristo… ha avuto vergogna di Cristo». Bisogna che coloro che si ritengono cristiani facciano proprio questo grido e lo ripetano ovunque con forza perché soltanto chi è fuori dalla Gerarchia può salvare la Chiesa, armato solo delle parole di Gesù, come dimostra la storia del passato, dai movimenti penitenziali alla predicazione popolare, a San Francesco.
Anche nei giorni scorsi è stata fornita con clamore l’ennesima notizia riguardo alla presunta complicità di un vescovo in un caso di pedofilia; eppure non è la pedofilia, il problema più grave della Chiesa attuale, sebbene siano in molti a crederlo e forse la Chiesa stessa. Il pericolo mortale è quello denunciato da Giussani: la mancanza del Gesù vero nella predicazione e nel vissuto della Chiesa; del Gesù che ha parlato alla mente, al cuore degli uomini, non di sessualità, o di diritti, o di poveri, ma di ciò che li definisce «uomini» al di là da questo, della certezza del proprio essere uomini anche senza di questo. Per trovare un modo nuovo di dire ciò che soltanto Gesù nella storia dell’umanità è riuscito a dire, serve un’invenzione geniale, una volontà che non abbia timore di nulla, se si vuole che il cristianesimo torni a essere vitale in Occidente. Le strutture sulle quali si è retta la Chiesa fino a oggi stanno andando in rovina. La crisi è drammatica nelle sue cifre concrete, anche se ci si ostina a non discuterne pubblicamente. Dal Concilio vaticano II in poi il declino è stato inarrestabile. Il numero complessivo dei sacerdoti si è ridotto di due terzi, senza prendere in considerazione poi l’età media che supera i sessant’anni. Le religiose, che hanno rappresentato fin dall’inizio la presenza più diffusa e più fattiva della Chiesa cattolica e il cui rapporto con i consacrati di sesso maschile è stato sempre di tre a uno, in Europa oggi non si presentano quasi più alla porta dei conventi e si cercano in India, in Africa, nelle Filippine (con le conseguenze di «significato» che questo comporta, ma di cui non è politicamente corretto parlare). Negli Stati Uniti il numero delle religiose è passato dalle 180mila degli anni ‘70 alle 68mila odierne, con un’età media di settanta anni e soltanto il 7% sotto i cinquanta, il che significa che si stanno estinguendo. I religiosi sacerdoti sono passati da 23mila a 14mila con una media di ottanta anni e soltanto il 21% sotto i sessanta. Si tratta di strutture fondamentali, del braccio operativo della Chiesa nel mondo, ma è evidente che sono abbandonate perché non rispecchiano più il rigore di «assoluto», quell’essenza del messaggio evangelico di cui ha sete l’uomo contemporaneo. Più la Chiesa si avvicina alle altre religioni e più Gesù si allontana, perché Gesù non somiglia a nessuno e tanto meno può riassumersi nelle opere di bene, che pure sono riconosciute da tutti come un grande merito della Chiesa.
Su Gesù non si può venire a patti, non si possono instaurare «dialoghi». Gesù non si è difeso, durante il suo processo, non ha «dialogato» con Pilato, sebbene questi lo esortasse a farlo. Non è vero che il dialogo è sempre possibile, come tanti oggi sostengono. È il sistema logico dell’uomo che lo impedisce perché non ammette contraddizioni, perché riconosce nella «forma» ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Nessuno lo sapeva meglio di Gesù, che aveva fondato la sua rivoluzione sulla battaglia contro l’impurità, contro i precetti tabuistici, contro il sacrificio, contro la preghiera rituale, contro tutto quello che «non viene dal cuore dell’uomo» e che assume valore soltanto attraverso la ripetizione. Era impossibile farlo capire né alla sinagoga né a Pilato. Perciò ha taciuto. Ma nel suo grido: «Non ripetete parole» è riassunta l’essenza del suo pensiero, del suo rispetto per l’uomo e per ogni parola che l’uomo pronuncia. Forse qualcuno avrà il coraggio di cominciare da qui.
Da "Il Giornale" 09/06/2010