domenica 8 agosto 2010

100 anni del decreto "Quam singulari"

100 anni fa veniva promulgato il decreto "Quam singulari" con il quale Sua Santità il Papa san Pio X abbassava a sette anni l’età per poter ricevere l’Eucaristia. Il cardinale Antonio Cañizares Llovera, Prefetto del Culto, ha voluto ricordare il centenario del decreto di Papa Sarto scrivendo tra l’altro: “Il centenario del decreto Quam singulari è un’occasione provvidenziale per ricordare e insistere di prendere la prima comunione quando i bambini abbiano l’età dell’uso della ragione, che oggi sembra addirittura essersi anticipata. Non è dunque raccomandabile la prassi che si sta introducendo sempre più di elevare l’età della prima comunione. Al contrario, è ancora più necessario anticiparla. Di fronte a quanto sta accadendo con i bambini e all’ambiente così avverso in cui crescono, non priviamoli del dono di Dio: può essere, è la garanzia della loro crescita come figli di Dio, generati dai sacramenti dell’iniziazione cristiana in seno alla santa madre Chiesa. La grazia del dono di Dio è più potente delle nostre opere, e dei nostri piani e programmi”.

I bambini e l’Eucaristia

Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite
  perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio” (Mc 10, 14)

I bambini sono il cuore del cuore di Dio, “i loro angeli nel cielo contemplano sempre il volto del Padre che è nei cieli” (Mt 18,10).

Il “volto del Padre” in loro viene distrutto dal peccato, per questo sono tremende le parole che Gesù rivolge a chi porta i bambini al male: “è meglio per lui che gli sia appesa al collo una grossa pietra e sia gettato in mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli” (Lc 17,2).

La raccomandazione che Gesù fa a Pietro è di pascere, prima che le sue pecore, i suoi agnelli (“Pasci i miei agnelli” Gv 21,15); cioè i bambini. Nel sommo Pastore l'invito è rivolto a tutta la Chiesa: vescovi, sacerdoti, genitori ed educatori che in essa hanno il dovere di guidare il gregge di Dio. Questo legifera il can. 914 del CDC.

L'alimento primario di cui i bambini devono essere nutriti è l’Eucaristia, indispensabile perché la vita della Grazia, donata nel Battesimo, possa crescere e fortificarsi: “In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete la vita in voi. Chi si ciba della mia carne e beve il mio sangue rimane in me ed io in lui” (Gv 6,53, 56).

La Chiesa primitiva comprese bene il senso di questo mandato e - come si continua a fare nella Chiesa Ortodossa - dava l’Eucaristia ai bambini dopo il Battesimo. Per varie cause, tra cui l’influenza di alcune eresie, l’età della Comunione eucaristica fu posta tra i 12 e i 14 anni, fino a quando, il 10 di agosto 1910, San Pio X firmò il Decreto “Quam Singulari” con il quale stabilì che i bimbi fossero ammessi alla Comunione al primo uso di ragione.

Nel 1910 il Cardinal Gennari, membro della Sacra Congregazione dei Sacramenti, scrisse nel suo “Breve Commentario” al Decreto di San Pio X: “Oggi l’uso della ragione nei bambini inizia molto presto e tutti lo riconoscono: bimbi di tre, quattro, massimo cinque anni sono già in grado di giudicare e possono distinguere molto bene il pane normale dal Pane Eucaristico”.

Quali furono le motivazioni di tale Decreto?

Troviamo la risposta nella “Positio super Introductione causae” di San Pio X dalla quale stralciamo alcune dichiarazioni dei testimoni che sono illuminanti per intendere il pensiero del santo Papa lungo le varie tappe del suo cammino sacerdotale:

1 - da Sacerdote:

“Mi disse che aveva sempre avuto in animo di far accostare i fanciulli presto alla Prima Comunione. E soggiungeva: - Prima che entri il diavolo, entri Nostro Signore...” (Maria Sarto, sorella del Servo di Dio, teste n. 1).

2 - da Vescovo:

“Il Vescovo di Mantova diceva: - Quando il Signore ha preso possesso di quei teneri cuori, il demonio non potrà più averne possanza” (Suor Modesta dell’Immacolata, teste n. 127).

3 - da Cardinale Patriarca

“Riguardo alla prima Comunione dei fanciulli, già Patriarca, pur senza dare disposizioni ufficiali, esortò i Parroci ad esaminare i piccoli e, trovandoli sufficientemente coscienti, ammetterli senz’altro al Sacramento, non preoccupandosi eccessivamente dell’età” (Agostino Vian, teste).

“Ricordo che il Servo di Dio ebbe a rispondermi: - E’ meglio che i fanciulli ricevano Gesù quando hanno ancora il cuore puro” (D. Alberto Silli, teste n. 12).

4 - da Sommo Pontefice

“Eletto al Sommo Pontificato volle che fosse affrettata ai bambini la Prima Comunione perché, come diceva sovente, entrasse Gesù prima di satana nei loro giovani cuori, e chiaramente disse un giorno a D. Alberto Silli: “E’ meglio che i fanciulli ricevano Gesù quando hanno ancora il cuore puro”. Per questo il 10 agosto 1910 emanò il Decreto “Quam Singulari” con il quale, rimossi gli ostacoli di antiche consuetudini e ripristinata la sana disciplina degli antichi, ordinò che i bambini fossero ammessi alla Prima Comunione al settimo anno di età” (D. Alberto Silli, teste n. 12).

“Molto spesso il Servo di Dio mi parlava della necessità di far fare la Prima Comunione ai bambini ben presto, affinché il Signore prendesse possesso delle loro anime prima che vi entrasse il peccato”. (Card. Raffaele Merry del Val, teste).

Da quanto sopra emergono evidenti due considerazioni:

- scopo della Comunione in tenera età, centro della sua cura pastorale da sacerdote, da vescovo e da pontefice, fu di “far entrare Gesù nel cuore dei bambini prima che vi entri satana”. E’ da notare che S. Pio X da sacerdote faceva la Prima Comunione ai bambini di 8-9 anni; da Papa decretò che la si facesse ufficialmente a quelli di sette anni, ma in più di un caso diede Gesù a bambini di 4 anni, come d’altronde era previsto in quel “anche al di sotto” del Decreto.

- S. Pio X era convinto che il rinnovamento dello spirito cristiano della nuova generazione si dovesse attribuire in gran parte alla Comunione data in tenera età.

La prima Comunione oggi

Oggi, a quasi cento anni dall’emissione del Decreto “Quam Singulari”, i mass-media, in specie la televisione, le avanzate tecniche di insegnamento, i videogame hanno accelerato di molto lo sviluppo dell’uso della ragione dei piccoli; al tempo stesso questi vengono devastati, come mai nel passato, da inquinanti messaggi di morte spirituale: in tutto il mondo infatti si verifica il dilagare della delinquenza dei minori la cui età media si aggira sui dieci anni.

Solo la Chiesa può prevenire e arginare questo spaventoso attacco all'innocenza dei piccoli permettendo a Gesù Eucaristia di entrare in loro al primo uso di ragione, con la divina potenza della sua Grazia.

«E' da rifuggire come la peste l'opinione di chi desidera rimandare la prima santa Comunione ad un'età troppo avanzata, quando il diavolo ha già per lo più preso possesso del cuore giovanile, con danno incalcolabile per la sua innocenza. Non appena il fanciullo sa distinguere pane e Pane, si prescinda dalla sua età; venga il Re celeste per regnare in questo cuore benedetto» (San Giovanni Bosco)

Quel che il bambino deve sapere per accostarsi alla S. Comunione


San Pio X dava la prima Comunione a bambini anche di quattro anni, richiedendo come unica conoscenza la consapevolezza della differenza tra Pane eucaristico e pane comune e questo criterio ha riportato nel Decreto “Quam singulari”:

“(...) L’età della discrezione per la Comunione è quella in cui il fanciullo sa distinguere il Pane eucaristico dal pane comune e materiale, da potere divotamente accostarsi all’altare. Non si ricerca dunque una perfetta conoscenza in materia di fede, essendo sufficienti pochi elementi, cioè una qualche cognizione; né è necessario il pieno uso della ragione, bastando un uso incipiente, cioè un cotal quale uso della ragione. Laonde protrarre in lungo la Comunione e fissar per essa un’età più matura, è uso del tutto riprovevole e condannato più volte dalla Sede Apostolica.”

Condizione assolutamente necessaria è quindi che il bambino sappia distinguere il Pane eucaristico dal pane comune.

E' bene però che il bambino "comprenda, per quanto lo consentano le forze della sua intelligenza, i misteri della Fede necessari di necessità di mezzo”(ibid.)

Quali sono questi "misteri della Fede necessari"? Lo chiarisce il Cardinal Gennari, membro della Sacra Congregazione dei Sacramenti, nel suo preciso Commento al Decreto:

“Ecco adunque in che consiste la istruzione necessaria alla prima Comunione. Sapere il fanciullo, come meglio può, i misteri principali della fede, e poter distinguere il Pane eucaristico dal pane comune.

I misteri precipui della fede, tutti lo sanno, sono i misteri dell’unità e trinità di Dio, e della incarnazione, della passione e morte di Nostro Signore Gesù Cristo; ai quali vuolsi aggiungere anche quello che

Dio, come giusto giudice, premia eternamente i buoni col paradiso e punisce eternamente i reprobi con l’inferno.
Or questi misteri il bimbo deve conoscerli come meglio può. Quindi non perfettamente, alla maniera dei teologi, ma che ne sappia afferrare la sostanza.” (Card. Casimiro Gennai, Commento al Decreto Quam singulari)
E' chiaro che il bambino "dovrà in seguito venire imparando il catechismo intero, in modo proporzionato alle forze della sua intelligenza” (Decreto Quam singulari)

Suggerimenti pratici

E' opportuno e conforme al reale significato del Sacramento che esso sia celebrato nell'intimità e nella quiete, in un clima di preghiera e di unione con Gesù; a tal fine è raccomandabile che la cerimonia avvenga in forma privata, senza la partecipazione di tanti invitati, affinché sia sottolineato che Uno solo è l'Ospite; senza regali (all'infuori di pochi oggetti di valore sacro), cosicché risulti chiaro al bambino che Uno solo è il Dono.

Una cerimonia solenne e con la tradizionale partecipazione di ospiti e parenti potrà essere celebrata successivamente, tenendo però sempre presente che la Comunione è soprattutto una festa dello spirito. Come tale deve essere vissuta nella interiorità e non profanata da pranzi grandiosi, da cerimonie troppo lussuose e da doni materiali o in denaro che offuschino la freschezza tutta spirituale del Sacramento. Sarebbe doveroso preparare i piccoli con almeno un giorno di ritiro, nel silenzio e nella quiete, senza televisione.

S.Pio X esortava i responsabili a provvedere che i bambini - dopo il primo incontro con Gesù Eucaristico - frequentassero con assiduità i Sacramenti della Confessione e della Comunione possibilmente quotidiana e che progredissero nella graduale istruzione catechistica.

dal sito: http://www.armatabianca.org/comunione.php?sottomenu=3

anche l'Osservatore romano celebra la ricorrenza

Cento anni fa il decreto "Quam singulari" sintetizzava il disegno riformatore di Papa Sarto


La rivoluzione eucaristica di Pio X
di Gianpaolo Romanato




Non si comprende il pontificato di Pio X (1903-1914) se non si tiene presente che al centro del suo universo mentale c'era il problema dell'atto di fede. Se la Chiesa è lo strumento della salvezza, l'istituzione ecclesiastica deve servire a conservare e a rinforzare la fede dei cristiani, a salvaguardarne i contenuti, a chiarirne il significato, a tutelarne l'integrità, a garantire la vita sacramentale e di grazia. Durante tutta la sua vita sacerdotale, infatti, trascorsa tra canoniche di paese e curie di provincia, Giuseppe Sarto aveva considerato l'insegnamento del catechismo come il primo e il principale dei suoi doveri. Essendo stato eletto Papa, era naturale che imponesse questa priorità a tutta la Chiesa.

Nascono di qui prima l'enciclica Acerbo nimis (15 aprile 1905), volta a illustrare la fondamentale importanza dell'istruzione religiosa, poi il celebre catechismo, che da lui prese il nome, e quindi il decreto Quam singulari (8 agosto 1910), di cui ricordiamo oggi il centenario della promulgazione, che anticipava verso i sette anni di età la prima comunione dei fanciulli.
Pur condizionata dal contesto teologico del tempo, l'enciclica andava diritta al suo scopo. "La dottrina di Cristo - scrive il Papa - ci disvela Iddio e le infinite perfezioni di Lui con assai maggiore chiarezza che non lo manifesti il lume naturale dell'umano intelletto. Quella stessa dottrina ci impone di onorare Dio con la fede, che è l'ossequio della mente; con la speranza, che l'ossequio della volontà; con la carità, che è l'ossequio del cuore; e per tal guisa lega tutto l'uomo e lo soggetta al suo supremo Fattore e Moderatore".

In poche righe e con poche parole, come nello stile di Giuseppe Sarto, è detto perché l'istruzione religiosa debba essere il centro del centro delle preoccupazioni della Chiesa. E l'enciclica prescriveva infatti norme precise e tassative affinché in ogni parrocchia si desse spazio all'istruzione catechistica, in ogni diocesi si istituissero specifiche scuole di religione. Anche la predicazione dei sacerdoti doveva fondarsi non su "fioriti sermoni", come suggerivano i canoni dell'oratoria sacra del tempo, ma su una solida e sicura esposizione delle verità di fede. Ciò che oggi indichiamo con la parola "evangelizzazione", Pio X definiva più semplicemente e didatticamente "istruzione" sulle "cose divine", prescrivendola ai sacerdoti come loro compito precipuo: "Pel presente scopo meglio è soffermarci su un punto solo, e su di esso insistere, non esservi cioè per chiunque sia sacerdote né dovere più grave né più stretto obbligo di questo. E per fermo chi è il quale neghi che al sacerdote alla santità della vita debba andare congiunta la scienza? Le labbra del sacerdote custodiranno la scienza. E la Chiesa infatti severissimamente la richiede in coloro i quali devono essere assunti al ministero sacerdotale".
La compilazione del catechismo fu perciò quasi il coronamento della missione di governo di Pio X. Nel suo studio Il catechismo di Pio X (Roma, Las, 1988), Luciano Nordera ha documentato con quanto impegno Giuseppe Sarto avesse lavorato, fin dagli anni dell'episcopato a Mantova (1885-1894), perché si giungesse a un catechismo unico, se non universale, almeno italiano. Era stato uno dei primi vescovi ad accorgersi dell'imponenza del fenomeno dell'emigrazione, sia interna sia estera, un fenomeno che divenne drammatico proprio negli anni tra la fine dell'Ottocento e la prima guerra mondiale. Ne aveva percepito tutte le dirompenti conseguenze sociali e culturali, ma anche quelle inerenti la fede. Da uomo attento ai problemi del proprio tempo, s'era accorto che la crescente mobilità umana, sottraendo la gente all'ambiente tradizionale, alle abitudini di sempre, incideva negativamente sulle credenze religiose, sulla fede, esponendola al rischio di diventare insignificante se non sostenuta da un'adeguata istruzione.
Anche in riferimento a tale problema, perciò, auspicò che si giungesse a predisporre un testo catechistico unificato, cioè una specie di prontuario della fede cui il cristiano potesse far riferimento indipendentemente dal luogo, dall'ambiente e dalle circostanze di vita. In tale auspicio c'era la profonda consapevolezza che una religione complessa come il cattolicesimo doveva porsi in via assolutamente prioritaria l'esigenza di definire con la maggior precisione e chiarezza possibili l'oggetto della propria credenza. Una Chiesa sempre più sola e indifesa non poteva permettersi il lusso di lasciare a se stessa la fede dei battezzati proprio nel momento in cui molti di questi non potevano più contare sul sostegno del tradizionale ambiente di vita.

Ecco allora che con il testo da lui approntato per la diocesi di Roma, le cui periferie erano già allora in drammatiche condizioni di abbandono non solo civile ma anche religioso, "egli si proponeva di dare in mano ai sacerdoti un volume chiaro e completo in cui la precisione delle definizioni dogmatiche non permettesse interpretazioni personali o omissioni". Rispetto al catechismo che Sarto stesso aveva concepito e trascritto diligentemente in un quadernetto autografo quand'era stato parroco a Salzano (1867-1875), un paese di campagna posto nella provincia di Venezia e nella diocesi di Treviso, si nota che la vivacità delle espressioni, l'immediatezza didattica dello schema a domande e risposte, sono state talvolta sacrificate alla necessità della precisione dottrinale.

Ma i limiti che subito vi furono ravvisati (intellettualismo, debolezza di riferimenti biblici, prevalenza delle intenzioni precettistiche) non impedirono a quel catechismo di diventare un punto fermo per diverse generazioni di cristiani. Accanto ai limiti, presentava, infatti, pregi non meno evidenti: precisione concettuale, chiarezza di dottrina, facilità didattica tanto per il sacerdote che doveva usarlo quanto per il fedele che ne doveva fruire. Questo spiega perché, pur essendo stato prescritto come obbligatorio solo nella diocesi di Roma (a partire dal 1905), abbia finito per imporsi non solo in Italia, ma in tutta la Chiesa. D'altronde, lo stesso Pio X era perfettamente consapevole che si trattava di un'opera in fieri, tutt'altro che compiuta e sempre perfettibile. La prima formulazione subì, infatti, ritocchi e adattamenti vivente ancora il Papa. Probabilmente sarebbe stato il primo a stupirsi della sua durata nel tempo. A suo merito, possiamo aggiungere che il faticoso lavoro di redazione dei nuovi catechismi compiuto dopo il Vaticano ii da intere équipes di specialisti, ha dimostrato quanto sia difficile trasmettere all'uomo moderno il contenuto di fede.
L'intento del Papa di proporre alla Chiesa una vita di fede più solida si accompagnava all'idea che la fede dovesse essere espressa attraverso una pratica liturgica più sobria, meno formale ed esteriore. La riforma della musica sacra e il ripristino del canto gregoriano andavano appunto in questa direzione. Questo complessivo disegno riformatore tanto della lex credendi quando della lex orandi trovarono una specie di sintesi nella sua rivoluzionaria decisione di riavvicinare le anime all'Eucaristia - intesa come il fulcro della vita di fede - incoraggiando e quasi imponendo la pratica della comunione frequente.
Va ricordato che una radicata mentalità di origine giansenistica aveva dissuaso i cristiani dalla pratica eucaristica assidua, quasi che questa fosse il coronamento del cammino verso la perfezione cristiana, piuttosto che la via per raggiungerla, "un premio e non un farmaco all'umana fralezza" scriverà il Papa. Con l'intuizione di quel grande pastore d'anime che era stato e continuò a essere durante il pontificato, Pio X troncò tentennamenti, timori e perplessità, ancora assai diffusi tra i teologi, promuovendo e incoraggiando invece, con il decreto Tridentina synodus del 16 luglio 1905, la pratica opposta: la comunione frequente, anche quotidiana. Cinque anni dopo, con il decreto Quam singulari - del quale, come già ricordato, celebriamo oggi il centenario della pubblicazione - completò il complessivo progetto di riforma della cura d'anime prescrivendo l'anticipazione della prima comunione dei fanciulli verso i sette anni di età, cioè, per usare le sue parole, "quando il fanciullo comincia a ragionare".
Con questi due provvedimenti veniva superata e messa da parte una secolare cultura rigorista per tornare a una prassi già in vigore nei primi secoli cristiani e successivamente ribadita tanto dal concilio Lateranense IV nel 1215 quanto dai decreti del concilio di Trento. Si recuperava insomma una pratica millenaria, posta in ombra solo negli ultimi secoli, scrisse allora "La Civiltà Cattolica", a causa di "usanze inveterate, difetto di idee esatte, trascuratezza". Pietro Gasparri, che in quegli anni lavorava per ordine del Papa alla codificazione del diritto canonico, collocò questo decreto fra gli atti "memorandi" del pontificato, e aggiunse: "Dio volesse che fosse ovunque osservato".

(©L'Osservatore Romano - 8 agosto 2010)