mercoledì 26 settembre 2012

Sunt fausta tibi cuncta, si Deus est pro te: la musica di Haydn e la sapienza di Sant'Alfonso come promemoria per i nostri governanti



Insanae et vanae curae invadunt mentes nostras,
saepe furore replent corda, privata spe,
Quid prodest
O mortalis conari pro mundanis,
si coelos negligas,
...

Sunt fausta tibi cuncta, si Deus est pro te.

Vane e folli preoccupazioni invadono la nostra mente
la pazzia ci riempie il cuore e ci deruba della speranza
O mortale, quale profitto dal mondo
se trascuri i cieli,
Se Dio è con te, ogni cosa ti sarà favorevole.

 
 
PROMEMORIA PER I NOSTRI GOVERNANTI TRATTO
da un brano di Sant'Alfonso Maria de Liguori, tratto dal volumetto
 ”La fedeltà de' vassalli”.
 
I re, se vogliono che i sudditi siano loro ubbidienti, devono procurare di renderli ubbidienti a Dio; e si prova.

1. Col promuovere i buoni costumi si promuove anche la pace comune dei cittadini e per conseguenza il bene di tutto lo stato. Questa è una verità così evidente che si prova da per tutto con l'esperienza: quei sudditi che sono ubbidienti ai precetti di Dio sono necessariamente ubbidienti anche alle leggi dei principi. La stessa fedeltà che conservano i vassalli verso Dio li rende fedeli ai loro sovrani. La ragione è chiara: quando i sudditi sono ubbidienti ai divini comandamenti, cessano le insolenze, i furti, le frodi, gli adulteri, gli omicidi; e così fiorisce lo stato, si conserva la sottomissione al sovrano e la pace tra le famiglie. Insomma coloro che stabiliscono di condurre una vita morigerata, stabiliscono anche di osservare i propri doveri; poiché allora si dedicano a reprimer le loro passioni e così vivono in pace con se stessi e con gli altri.

2. Ma a ciò bastano le leggi dei principi ed i supplizi destinati ai delinquenti. No (si risponde) non bastano; né le leggi né i supplizi umani bastano a frenar l'audacia e le passioni disordinate dei malvagi che ad altro non si dedicano che a migliorare i loro interessi ed a soddisfare i loro appetiti: e perciò quando si presenta loro l'occasione di disprezzare le leggi ed i castighi divini, facilmente disprezzano anche le leggi ed i castighi minacciati dai sovrani.

3. Giovano bensì le leggi umane a conservare i buoni costumi nei sudditi morigerati, ma non già ad ingerirli nei sudditi cattivi; la sola religione ingerisce e forma i santi costumi nelle anime, e così ella fa si che le leggi siano osservate. Se non vi fosse la religione, la quale insegna esservi un Giudice supremo che tutto vede e ben sa vendicare le malvagità degli empi, rare volte gli uomini si farebbero forza a soddisfare i loro doveri; e senza questo timore dei divini flagelli che tiene gli uomini a freno, gli empi dappertutto crescerebbero in eccesso.

4. La sola religione poi rende i vassalli veri ubbidienti ai loro principi, facendo ad essi intendere che son tenuti ad ubbidire ai sovrani, non solo per evitar le pene imposte ai trasgressori, ma anche per ubbidire a Dio e tenere in pace le loro coscienze [...].

5. Non bastano dunque le leggi né bastano i supplizi minacciati dalle leggi a reprimere le insolenze dei malvagi che poi disturbano la pubblica pace: poiché spesso i delitti restano impuniti, o perché restano occulti i delinquenti, o perché mancano le prove bastanti a poterli castigare; e non di rado, quantunque siano provati i delitti, i colpevoli con la fuga si sottraggono alla pena. [...].

6. Essendo poi vero che i re sono ministri di Dio e suoi luogotenenti, siccome i vassalli son tenuti anche per obbligo di coscienza di ubbidire ai loro monarchi; così i monarchi son tenuti di vigilare su i loro vassalli affinché essi obbediscano a Dio. Ad un uomo privato basta che osservi la divina legge per salvarsi; ma ad un re non basta: c'è bisogno che si adoperi quanto può, affinché i suoi sudditi osservino la divina legge, procurando di riformare i cattivi costumi e di estirpare gli scandali.

7. E quando si tratta dell'onore di Dio, devono i principi aver coraggio e non tralasciare il loro dovere per timore di qualche avversità o contraddizione che possa esser loro fatta; mentre ogni re che adempie il suo obbligo, ha Dio che l'assiste con modo speciale; come Dio stesso disse a Giosuè allorché gli affidò il governo del popolo [...].

8. Pertanto il fine principale dei principi nel loro governo non dev'essere la gloria propria, ma la gloria di Dio. I principi che per la gloria propria trascurano quella di Dio vedranno perduta l'una e l'altra. Deve persuadersi ogni regnante, non esser possibile in questo mondo, pieno di uomini malvagi ed ignoranti, meritare coi suoi portamenti (per giusti e santi che siano) le lodi e l'applauso di tutti i suoi vassalli: se egli esercita la liberalità coi buoni e coi poveri lo chiamano prodigo: se poi fa eseguir la giustizia coi malvagi lo chiamano tiranno. Pertanto i re devono principalmente impegnarsi a piacere a Dio più che agli uomini; poiché allora, se non saranno lodati dai cattivi, ben saranno lodati dai buoni, e soprattutto da Dio che saprà rimunerarli in questa e nell'altra vita.