L'oltraggio di Venezia e il Crocifisso di Vienna
di Roberto De Mattei
E’ difficile immaginare un oltraggio contro la
fede cristiana più blasfemo e provocatorio di quello che si è avuto al Festival
del Cinema di Venezia il 31 agosto con la proiezione del film Paradise Faith,
Fede nel Paradiso, di Ulrich Seidl, film che ha il suo punto culminante in una
sequenza in cui la protagonista, l’attrice Maria Hoffstatter, si dedica
all’autoerotismo utilizzando come strumento un crocifisso. E’ inutile entrare
nei particolari, che sono raccapriccianti, ma sarà bene ricordare che per un
cristiano non c’è simbolo più sacro del Crocifisso, che rappresenta Gesù Cristo,
l’uomo-Dio, morto sulla Croce per redimere i peccati degli uomini. Tutta la fede
cristiana si riassume nella predicazione di Cristo crocifisso.
Lo scandalo di Venezia non è un episodio
isolato, ma si inserisce in un quadro di cristianofobia dilagante. Lo spettacolo
teatrale di Romeo Castellucci Sul concetto di Volto di Dio, messo in scena a
Milano a gennaio, ha aperto quest’anno le danze. Il Festival di Venezia però è
una ben più ampia cassa di risonanza, una vetrina internazionale, che ha visto
accorrere giornalisti di tutto il mondo, per riferire senza alcuna indignazione
della proiezione del film blasfemo, che ha avuto il premio speciale dalla
Giuria.
La Santa Sede, il 12 settembre è intervenuta
con un comunicato dal tono fermo: “Il rispetto profondo per le credenze, i
testi, i grandi personaggi e i simboli delle diverse religioni è una premessa
essenziale della convivenza pacifica dei popoli.” A dichiararlo è stato padre
Federico Lombardi, portavoce della Sala Stampa Vaticana, che non si è riferito
però alla blasfemia di Venezia, ma ad un altro film, Innocence of muslims,
prodotto in America e considerato alle origini delle violente manifestazioni in
Libia ed in altri paesi arabi.
“Le conseguenze gravissime delle ingiustificate
offese e provocazioni alla sensibilità dei credenti musulmani - ha scritto in
una nota padre Lombardi – sono ancora una volta evidenti in questi giorni, per
le reazioni che suscitano, anche con risultati tragici, che a loro volta
approfondiscono tensione ed odio, scatenando una violenza del tutto
inaccettabile“. Quanto è accaduto in Libia non sarebbe stato pianificato da mesi
da Al Qaida in odio all’Occidente, ma sarebbe stato l’inevitabile conseguenza di
“ingiustificate offese e provocazioni alla sensibilità dei credenti musulmani”.
Ma perché non vengono definite “ingiustificate” le offese e le provocazioni alla
sensibilità dei credenti cattolici come quelle del Festival di Venezia? Solo
perché non provocano conseguenze, né gravissime, e neppure modestissime?
Ben pochi hanno ricordato che quanto è
accaduto, nella città di Bengasi, è la conseguenza non dell’insulso film
anti-Maometto, ma della politica franco-americana di cessione del Medio Oriente
all’Islam, che, per nemesi storica, ha avuto il suo momento principale proprio
nel sostegno dato dalla Nato ai fondamentalisti di Bengasi contro Gheddafi. E se
tutto il mondo ha protestato contro il film anti-islamico, che per ora è
semi-clandestino, e presumibilmente non sarà mai proiettato, nessuno ha
protestato contro il film anticattolico, che ha avuto tutte le luci della
ribalta ed è destinato a larga circolazione, senza alcuna opposizione.
Il vero problema oggi è questo. Non esiste solo
la persecuzione dei cristiani nelle terre di Islam, esiste anche la
cristianofobia in Occidente. Ma soprattutto esiste l’arrendismo e la complicità
dell’Occidente di fronte a questa cristianofobia. L’autolesionismo degli
ambienti ecclesiastici fa parte purtroppo di questo sistema di complicità.
Il Beato Marco d’Aviano sulle colline del
Kahlenberg, che dominano Vienna, brandiva il Crocifisso come strumento di lotta
e di vittoria, per incitare i combattenti cristiani a liberare la città occupata
dai musulmani. Oggi il Crocifisso è ridotto a strumento di sordido piacere da
una società edonista che si autodistrugge consegnandosi all’Islam.