RIFORMATORI AL LAVORO
NEL SINODO DEI VESCOVI PER IL MEDIO ORIENTE
di Francesco Colafemmina
Tutti hanno parlato delle fortissime parole pronunciate a braccio da Papa Benedetto nell'ambito del Sinodo dei Vescovi delle Chiese Orientali. Una testimonianza in più di come il Papa spesso senta l'esigenza di uscire dall'astruso meccanismo degli scribi curiali, per donarci parole autentiche e personali.
Nessuno però ha ancora parlato di quello che i relatori - specie quelli più influenti - stanno affermando nel corso del Sinodo. Mi riferisco in particolare alle questioni riguardanti la liturgia, la catechesi e l'ecumenismo.
Partiamo dai Lineamenta del Sinodo, presentati nel dicembre dello scorso anno. Qui l'accenno alla riforma liturgica (avete capito bene!) dei riti orientali è breve e aspecifico: "60. C’è un ambito che meriterebbe una collaborazione su base regolare tra cattolici ed ortodossi: è quello della liturgia. Sarebbe auspicabile uno sforzo di rinnovamento, radicato nella tradizione e che tenga conto della sensibilità moderna e dei bisogni spirituali e pastorali attuali. Tale lavoro dovrebbe essere realizzato, per quanto possibile, congiuntamente."
Nell'Instrumentum Laboris ultimato nel giugno del 2010, invece, il riferimento diventa dettagliato. Al paragrafo 70 e seguenti, dopo un'evocazione del Vaticano II, si afferma: "in modo particolare, in tutte le Chiese orientali la divina liturgia esprime la sua centralità, tra l’altro, attraverso un’ampia e ricca varietà rituale. La ricerca dell’armonia dei riti, che il Concilio Vaticano II raccomanda vivamente, può illuminare l’attenta considerazione di questo tema così importante nell’Oriente cristiano."
Si tratterebbe quindi di "armonizzare" i riti orientali. Ma a quale scopo? Perché "non può sottovalutarsi oggi la capacità (del rito) di mantenere viva la fede dei credenti e anche di attirare l’interesse di coloro che si sono allontanati o addirittura di quelli che non credono."
Dunque è chiara l'intenzione di riformare i riti orientali per attrarre i non credenti o i cristiani non praticanti: quasi che l' "attrazione" del "pubblico" dei fedeli si basi soltanto sull'incontro fra la liturgia e le esigenze del mondo contemporaneo. Una visione che sembra voler sostituire alla viva tradizione della Chiesa e agli elementi identitari e particolari dei singoli usi liturgici delle Chiese Orientali, una omologazione liturgica che se compiutamente attuata, rischia di minare l'esistenza stessa delle suddette Chiese, aggregandole così definitivamente ed uniformando anche i loro sacramenti.
Andiamo avanti. Come dev'essere attuata questa riforma, questo "rinnovamento"? L'Instrumentum Laboris risponde: "non poche risposte auspicano uno sforzo di rinnovamento, che, pur rimanendo fermamente radicato nella tradizione, tenga conto della sensibilità moderna e dei bisogni spirituali e pastorali attuali. Altre risposte presentano qualche caso di tale rinnovamento attraverso l’istituzione di una commissione di specialisti per la riforma della liturgia."
Commissione per la riforma della liturgia! Ecco la soluzione. E cosa dovrebbe fare questa commissione? "L’aspetto più rilevante del rinnovamento liturgico finora portato avanti consiste nella traduzione in lingua vernacola, principalmente in arabo, dei testi liturgici e delle preghiere devozionali perché il popolo possa ritrovarsi nella partecipazione alla celebrazione dei misteri della fede."
Traduzioni in lingua vernacola per garantire l'actuosa partecipatio. L'Instrumentum aggiunge, quasi per spegnere sul nascere i riottosi tradizionalisti orientali: "a questo proposito è doveroso segnalare che mentre sono pochi coloro che preferiscono mantenere la lingua originale, la stragrande maggioranza è dell’idea di aggiungere alla lingua originale quella vernacola."
Ma non è finita qui. Si parla anche di "necessità d’impegnarsi, in un secondo momento, in un lavoro di adattamento dei testi liturgici che dovrebbero essere usati per le celebrazioni con giovani e bambini. In questo senso, lo scopo sarebbe quello di semplificare il vocabolario adeguandolo convenientemente al mondo e alle immagini di queste categorie di fedeli. Perciò, si tratterebbe non semplicemente di tradurre i testi antichi ma di ispirarsi ad essi per riformularli secondo una profonda conoscenza del patrimonio cultuale ricevuto, tenendo conto di un’aggiornata visione del mondo attuale. Come opportunamente viene segnalato, questo compito dovrebbe essere assolto da un gruppo interdisciplinare al quale siano convocati liturgisti, teologi, sociologi, pastori e laici impegnati nella pastorale liturgica."
Quindi abbiamo il rito ad personam. Quello per i bimbi e quello per gli adulti.
Ancora una volta le innovazioni non finiscono qui. Demolita la liturgia, bisogna passare a demolire le devozioni popolari, grande ostacolo nei Paesi meridionali non protestantizzati: "Le opinioni in favore del rinnovamento liturgico si estendono anche all’ambito della pietà popolare. Infatti, alcune risposte avvertono la convenienza di rivedere le preghiere devozionali in modo tale da arricchirle con testi teologici e biblici, sia dell’Antico sia del Nuovo Testamento. In questo senso potrebbe essere di grande aiuto la ricca esperienza e lo sforzo compiuto al riguardo nella Chiesa latina."
Sarà finita qui? No, manca l'ecumenismo: "Infine, un’eventuale riforma della liturgia dovrebbe tener conto della dimensione ecumenica. In questo senso, come accennato da diverse risposte che fanno eco al testo dei Lineamenta, la liturgia potrebbe diventare un fecondo luogo di collaborazione su base regolare tra cattolici ed ortodossi. In particolare, sulla spinosa questione della communicatio in sacris, qualche risposta suggerisce la formazione di una commissione mista cattolico-ortodossa per cercare una via di soluzione."
Detto questo, vorrei sottoporvi l'analisi di alcuni importanti passaggi dei discorsi che si svolgono nell'assemblea sinodale.
Si parte dalla sintesi di Sua Beatitudine Antonios Naguib, Patriarca di Alessandria dei Copti, in apertura della Prima Congregazione Generale dell'11 ottobre. Naguib ribadisce le esigenze di una riforma e di un rinnovamento liturgico "ampiamente auspicato".
Passiamo quindi ai due "pezzi forti". L'intervento del Cardinal Sodano e quello del Cardinal Rylko.
Sodano, in qualità di Decano del Collegio Cardinalizio, si sente in dovere di rammentare che non bisogna resistere ai rinnovamenti, ma tutto va omogeneizzato in un mix fra passato e futuro. Per giustificare meglio la sua posizione estrapola un brano di un discorso di Papa Benedetto, preparato dalla Congregazione dei Vescovi e pronunciato dal Papa il 13 settembre scorso.
Sentiamo Sodano: "Talora le discussioni nelle nostre comunità nascono anche da diversi atteggiamenti pastorali, fra l'uno che preferisce privilegiare la custodia dell' eredità del passato e l'altro che richiama maggiormente alla necessità del rinnovamento. Sappiamo però che, alla fine, occorrerà sempre tener presente il criterio datoci da Gesù, il criterio del "nova et vetera" (Mt 13,52), e cioè del nuovo e del vecchio da estrarre dal tesoro della Chiesa. Lo ricordava pure recentemente il nostro amato Santo Padre Benedetto XVI, parlando ad un gruppo di Vescovi di recente nomina, dicendo loro: "Il concetto di custodire non vuole dire soltanto conservare ciò che è stato stabilito - benché tale elemento non debba mai mancare, - ma richiede nella sua essenza anche l'aspetto dinamico, cioè una concreta tendenza al perfezionamento, in piena armonia e continuo adeguamento delle esigenze nuove sorte dallo sviluppo e del progresso di quell 'organismo vivente che è la comunità"".
Il culmine lo si raggiunge però con l'intervento del Cardinale Neocatecumenale Rylko. L'intervento di Rylko mette un dito in una piaga presente in Terrasanta che si chiama Cammino Neocatecumenale. A dire il vero potremmo definirla una piaga dell'intero cattolicesimo vista la sua eccentricità teologica, liturgica, ecclesiologica e catechetica.
Dice Rylko: "Nella nostra epoca, uno dei grandi segni di speranza per la Chiesa è la “nuova stagione aggregativa dei fedeli” (Christifideles laici n. 29), che, dopo il Concilio Vaticano II, vede la nascita di tanti movimenti ecclesiali e nuove comunità. Un vero dono dello Spirito Santo! Questi nuovi carismi danno origine ad itinerari pedagogici di straordinaria efficacia per la formazione umana e cristiana dei giovani e degli adulti, e sprigionano in loro uno stupefacente slancio missionario di cui la Chiesa oggi ha particolarmente bisogno. Queste nuove comunità non sono, ovviamente, un'alternativa alla parrocchia, ma piuttosto un sostegno prezioso e indispensabile nella sua missione. In spirito di comunione ecclesiale, aiutano e stimolano le comunità cristiane a passare da una logica di mera conservazione ad una logica missionaria. Papa Benedetto XVI, in continuità con il servo di Dio Giovanni Paolo II, non si stanca di sollecitare una sempre maggiore apertura dei Pastori a queste nuove realtà ecclesiali. Nel 2006, il Papa, rivolgendosi ai vescovi in visita ad limina, ha affermato: “Vi chiedo di andare incontro ai movimenti con molto amore. Qua e là devono essere corretti, inseriti nell'insieme della parrocchia o della diocesi. Dobbiamo però rispettare lo specifico carattere dei loro carismi ed essere lieti che nascano forme di fede in cui la parola di Dio diventa vita” (L'Osservatore Romano, 19 novembre 2006). È, dunque, davvero auspicabile che le Chiese del Medio Oriente si aprano con crescente fiducia a queste nuove realtà aggregative. Non dobbiamo aver paura di quella novità di metodo e di stile di annuncio che portano: è una "provocazione" salutare che aiuta a vincere la routine pastorale che è sempre in agguato e rischia di compromettere la nostra missione (cfr. Instrumentum laboris n. 61). Il futuro della Chiesa in questa regione del mondo dipende proprio dalla nostra capacità di dare un ascolto docile a ciò che lo Spirito dice alla Chiesa oggi, anche mediante queste nuove realtà aggregative."
Il Cardinal Rylko, ricorrendo ad un linguaggio tipicamente "carismatico", fa del suo intervento una esortazione alle Chiese Orientali, perché accettino al loro interno la penetrazione di "comunità che danno origine ad itinerari pedagogici". E' evidente che Rylko si riferisce al Cammino Neocatecumenale. Esorta pertanto i Vescovi a non guardare (ai neocatecumeni) come ad "alternative alle parrocchie" (i membri del Cammino infatti sono soliti costituire gruppi a se stanti), ma a percepirli come un "sostegno prezioso" nella missione parrocchiale. Aggiunge che (i neocatecumeni) non hanno una visione "conservativa", ma "missionaria".
Si intrufolano infatti in ogni diocesi, in particolare in Terrasanta. Lì sono presenti con almeno 30 comunità. E come attestato da Kiko Arguello lo scorso maggio 2009 (nella solita adunata che organizza il giorno successivo alle partenze del Papa dai luoghi in cui si reca in visita apostolica - consiglio di guardare tutto il filmato presente nel link), il Cammino Neocatecumenale in Medio Oriente costituisce un elemento di comunione ecumenica.
Rylko conclude ribadendo - quasi fosse una minaccia - che il futuro della Chiesa in Medio Oriente dipende dall'obbedienza dei Vescovi allo Spirito Santo (ossia alla diffusione delle comunità Neocatecumenali)!
Il 12 ottobre l'intervento del Ministro Generale dei Cappuccini ha aggiunto altra carne al fuoco, con alcune proposte tra le quali spicca quella di elaborare: "un catechismo unico per tutti i cattolici del Medio Oriente." Speriamo che Padre Carballo non abbia in mente il catechismo neocatecumenale! D'altra parte come potrebbe? Di quel catechismo non v'è traccia. Giace ancora in qualche ufficio della Congregazione per la Dottrina della Fede.
E come sempre si ripropone il quesito: come può Roma auspicare riforme liturgiche nelle chiese orientali, se continua a tollerare le aberrazioni liturgiche neocatecumenali?
E come può consigliare l'adozione di nuove prassi catechetiche, se accetta un "cammino di iniziazione cristiana" il cui fondamento catechetico non è nè noto nè approvato?
Ma Carballo è andato oltre. Ha addirittura proposto l'indizione di un "anno giovanneo" analogo a quello paolino da estendere "se possibile, anche alle altre Chiese non cattoliche". A questo punto è chiaro che le preoccupazioni più insistenti di eminenti padri sinodali, riguardo alle azioni di Israele e le crescenti conflittualità esterne alle comunità cristiane del Medio Oriente che finiscono per ritorcersi proprio contro tali minoranze, sembrano passare in secondo piano rispetto all'agenda dei riformatori curiali. E probabilmente questi ultimi hanno ragione.
Senza le decime e le masse dei Neocatecumenali le Chiese Orientali del Medio Oriente rischiano di scomparire. La nuova evangelizzazione neocatecumenale passa però attraverso l'uniformità dei riti. Finora l'unico a difendere l'indipendenza liturgica delle Chiese Orientali è stato Mons. Dimitri Salachas, Esarca dei Cattolici di rito greco-bizantino.
Solo 3 anni fa, però, tutti i Vescovi Cattolici di Terrasanta, stufi di sopportare abusi liturgici e colonizzazioni parrocchiali, si erano rivolti così ai Neocatecumenali: "II principio al quale dobbiamo tutti insieme restare fedeli e informare la nostra azione pastorale dovrebbe essere "una parrocchia e una Eucaristia". II vostro primo dovere perciò, se volete aiutare i fedeli a crescere nella fede, è di radicarli nelle parrocchie e nelle proprie tradizioni liturgiche nelle quali sono cresciuti da generazioni. In Oriente, noi teniamo molto alla nostra liturgia e alle nostre tradizioni. E' la liturgia che ha molto contributo a conservare la fede cristiana nei nostri paesi lungo la storia. Il rito è come una carta d'identità e non solo un modo tra altri di pregare. Vi preghiamo di aver la carità di capire e rispettare l'attaccamento dei nostri fedeli alle proprie liturgie."
Parole forti che sembrano contraddire gli auspici di riforma liturgica, aggiornamento pastorale e inclusione di comunità e gruppi carismatici allogeni, che emergono prepotentemente dal Sinodo.