C’era una volta una miniera che da quasi duemila anni produceva, senza mai esaurirsi, i più preziosi tesori. Era la cava di Santa Misa, che un grande minatore del passato, Leonardo de Portomauricios, aveva definito il tesoro nascosto.
I minatori lavoravano ininterrottamente, senza inventarsi nuovi metodi di estrazione, come avevano imparato dai loro antenati; sempre lo stesso fruttuoso sistema di lavorazione per 15 secoli.
Ma un bel giorno, un terribile disastro minerario, chiamato la reforma, si abbatté sulla miniera: il ciclone buñiño soffiava, aumentando le proporzioni della tragedia.
I buoni mineros erano rimasti intrappolati per quarant’anni nel buio della miniera: e lì, senza perdere la speranza, avevano lavorato nell’oscurità, sottoponendosi ad aspre penitenze, mai perdendo la fiducia in Dio, ed elevando continue preghiere, certi che un giorno sarebbero stati esauditi.
Nonostante fossero passati 40 anni, il ministro delle miniere Ratzeriño non si dava per vinto. Alcune Conferencias episcopales - società minerarie che non di rado facevano la fronda al ministro delle miniere - gli suggerivano: “Ormai sono tutti morti, quella miniera è ormai cosa del passato: abbiamo qui una nuova miniera che sostituisce la vecchia”.
Ma Ratzeriño - un po’ perché gli piaceva sempre la vecchia miniera, nella quale aveva lavorato in gioventù - un po’ perché la nuova miniera non produceva quasi niente, nonostante avessero inventato i più strampalati metodi di lavorazione, con danze sciamaniche e urla selvagge al limite del sopportabile – non si arrese.
E così, un giorno, appoggiando l’orecchio per terra, gli sembrò di sentire un Dominus vobiscum.
“Sono vivi, sono vivi! E sento anche delle voci giovani!”, esclamò il buon vegliardo. Per l’emozione, alcuni membri delle Conferencias furono colti da strani malori. Al pronto soccorso fu diagnosticata una indigestione di I grado.
I tecnici delle Conferencias scuotevano la testa, ma l’anziano ministro delle miniere fece ulteriori ricerche, e così, da una sonda, usci un biglietto: SIAMO TUTTI VIVI; firmato los mineros de la Tradicion.
Ratzeriño diede ordine di costruire una speciale cabina per estrarre i minatori: la chiamò Summorum Pontificum.
Le previsioni erano alquanto menagrame: «Ci vorranno molti anni prima di estrarre i minatori e far riprendere la produzione ordinaria della miniera».
«Non dico produzione ordinaria, ma straordinaria!», rispose Ratzeriño.
Ratzeriño dunque non si scoraggio, e andò avanti con i lavori. Condannò l'escavazione della rottura, dicendo che bisognava scavare nella continuità.
Finalmente venne il giorno della liberazione, il 7 luglio 2007.
Al momento di entrare nella capsula Summorum Pontificum i minatori dicevano: “Introibo ad Altare Dei”.
Milioni e milioni di fedeli erano ad attendere i minatori; c’erano i bambini, stanchi dei girotondi della pace, desiderosi dei primi elementi della dottrina cristiana; c’erano giovani che aspettavano seminari senza errori e con una intensa vita spirituale; c’erano folle che aspettavano confessori rimasti fermi ai dieci comandamenti piuttosto che alla raccolta differenziata dei rifiuti e al codice della strada, e sacerdoti adoratori che esponessero loro il SS. Sacramento.
Erano state predisposte delle cure mediche per i minatori, ma questi rinunciarono, perché non c’era tempo da perdere.
La miniera che aveva dato tesori preziosi per secoli era ormai riaperta: e, pur essendo il cielo ancora nuvolosissimo, un raggio di luce illuminava tutta la terra, confortando il cuore dei buoni fedeli.
Visto il felice esito della vicenda in Cile, ho osato tanto: vostro don Alfredo
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