La Rivista "Il Timone" ricorda il centenario della lettera Notre charge apostolique sul modernismo sociale
Cento anni fa la lettera di san Pio X Notre charge apostolique
di Massimo Introvigne
Il 28 agosto 2010 si celebra il centenario della lettera apostolica di Papa san Pio X (1903-1914) all’episcopato francese – non un’enciclica, ma equivalente a un’enciclica per importanza – Notre charge apostolique, del 28 agosto 1910. La lettera condanna il movimento del Sillon («Solco»), fondato in Francia nel 1902 – sulla scia di una precedente associazione, la Crypte, nata nel 1894 – da Marc Sangnier (1873-1950), che si sottometterà almeno formalmente alla condanna. Il documento mostra i riflessi politico-sociali del modernismo, e costituisce quindi un complemento indispensabile alla grande enciclica Pascendi del 1907 in cui san Pio X descrive e condanna l’eresia modernista. A san Pio X spetta infatti il merito – come affermerà, celebrando il suo santo predecessore, il venerabile Giovanni Paolo II (1978-2005) il 16 giugno 1985 – di avere denunciato le «pieghe subdole del sistema teologico del modernismo» per «salvare la Chiesa dal rischio di dottrine alienanti per l’integrità del Vangelo».
Ma ha ancora interesse per noi una lettera apostolica di cento anni fa? Per comprendere perché la risposta è sì dobbiamo rifarci al grande quadro della scristianizzazione dell’Europa e dell’Occidente, un processo le cui tappe salienti sono la Riforma protestante, la Rivoluzione francese, la Rivoluzione comunista e la rivolta contro la morale che ha il suo momento vessillare nel 1968. Come ha ricordato da ultimo Benedetto XVI nel corso del suo viaggio in Portogallo del maggio 2010, ciascun momento di questo processo muove da «istanze» non sempre irragionevoli, ma quando passa dalle domande alle risposte cade in «errori e vicoli senza uscita». E ognuno di questi momenti non è sostenuto solo da nemici aperti della Chiesa e del cristianesimo ma anche, per usare ancora le parole del Papa in Portogallo, da «credenti che si vergognano e che danno una mano al secolarismo».
L’azione dei «credenti che si vergognano» non è semplicemente individuale, ma si organizza in correnti e movimenti. Così, c’è anzitutto un’importazione di principi e temi del protestantesimo all’interno della Chiesa, il giansenismo. Le teorie dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese sono fatte proprie da diverse correnti cattoliche, dal cattolicesimo liberale al modernismo. Il comunismo trova un corrispondente all’interno della Chiesa nella teologia della liberazione. Lo stesso «rapidissimo cambiamento sociale» e contestazione di ogni forma di morale iniziati negli anni 1960 hanno avuto come controparte ecclesiastica – secondo la Lettera ai cattolici dell’Irlanda che il Papa ha pubblicato il 19 marzo 2010 – «la tendenza, anche da parte di sacerdoti e religiosi, di adottare modi di pensiero e di giudizio delle realtà secolari senza sufficiente riferimento al Vangelo», per non parlare dei cedimenti di tanti laici cattolici sui temi della vita e della famiglia.
In questo schema, un passaggio decisivo è l’affermarsi della scuola cattolico-democratica. Un «cattolico democratico» non è semplicemente un cattolico che esprime la sua preferenza, fra le varie forme politiche, per la democrazia. Questo è ovviamente lecito. Ma il cattolico democratico commette due errori. Il primo è quello di considerare la democrazia un metodo di per sé infallibile e una fonte di verità, così che una scelta avallata dal metodo democratico non potrebbe mai essere intrinsecamente cattiva o ingiusta. Se il cinquanta per cento più uno dei cittadini di un Paese in un referendum, o il cinquanta per cento più uno dei parlamentari legittimamente eletti, si pronunciano per l’aborto o per l’eutanasia il cattolico democratico dirà che si sente ancora privatamente vincolato dalla morale cattolica ma dal punto di vista pubblico e politico deve «accettare la scelta democratica». Il secondo errore è quello di non distinguere fra diverse forme di democrazia, e di prendere per buona specificamente quella forma democratica che è nata dalla Rivoluzione francese, la quale – proprio perché afferma l’infallibilità politica e morale del metodo democratico – rischia sempre una deriva verso il totalitarismo.
La prima caratteristica del cattolicesimo democratico che san Pio X prende in esame attiene al metodo: si tratta della «pretesa di sfuggire alle direttive dell’autorità ecclesiastica» con il pretesto che il terreno su cui ci si muove «non è quello della Chiesa». Potrebbe sembrare che il Sillon si opponga giustamente al clericalismo affermando l’autonomia dei laici nella vita politica. Ma si tratta, secondo san Pio X, di distinguere. Dal punto di vista delle tecniche politiche i laici del Sillon godono certamente di autonomia. Non possono avere, invece, alcuna autonomia dal punto di vista dottrinale. La rivendicazione di un’autonomia rispetto ai principi è sbagliata, e «anche se le loro dottrine fossero esenti da errore sarebbe già stata una gravissima mancanza alla disciplina cattolica». Ma «il male è più profondo»: sbagliando metodo, il Sillon «è scivolato nell’errore».
Il Sillon parte da un giudizio nuovo sulla storia dell’Europa, diverso da quello tradizionalmente enunciato nel Magistero. Il Sillon sogna una società del tutto nuova e disprezza il passato europeo, dimenticando che nel passato – pur con i limiti e le imperfezioni di ogni realizzazione umana – una civiltà cristiana è già esistita. Rivolgendosi ai vescovi francesi san Pio X esclama: «No, venerabili fratelli, occorre ricordarlo energicamente in questi tempi di anarchia sociale e intellettuale, in cui ciascuno si pone quale dottore e legislatore; non si edificherà la società diversamente da come Dio l’ha edificata; non si edificherà la società se la Chiesa non ne pone le basi e non ne dirige i lavori; non si deve inventare la civiltà, né si deve costruire la nuova società tra le nuvole. Essa è esistita ed esiste; è la civiltà cristiana, è la società cattolica. Non si tratta che di instaurarla, ristabilirla incessantemente sulle sue naturali e divine fondamenta contro i rinascenti attacchi della malsana utopia, della rivolta e della empietà: Omnia instaurare in Christo».
San Pio X mostra poi che l’errore fondamentale del Sillon è la proclamazione del principio secondo cui l’autorità risiede nel popolo e solo temporaneamente è delegata con le elezioni ai governanti. Non è illecito che sia il popolo a designare i detentori dell’autorità tramite le elezioni: purché sia chiaro che con le elezioni non s’«inventa» o si crea l’autorità, ma si stabilisce semplicemente da chi deve essere esercitata. Potrebbe sembrare che si tratti semplicemente di una questione filosofica, senza grandi conseguenze pratiche. Una volta ammessa la liceità del sistema democratico potrebbe apparire non poi così importante stabilire se le elezioni creino l’autorità o semplicemente stabiliscano chi deve esercitarla.
Ma in realtà non è così, e la questione ha conseguenze pratiche molto importanti. Chi, come i cattolici democratici, pone la radice ultima dell’autorità nel popolo e non in Dio finisce per non riconoscere che ci sono principi – che oggi Benedetto XVI chiama «non negoziabili», particolarmente in tema di vita e di famiglia – che vengono da Dio e dal diritto naturale e che nessun «popolo» o maggioranza può mettere in discussione. La stessa religione di chi ragiona così non è più la religione cattolica: è piuttosto la «religione dell’umanità» laicista, preparata dalle «oscure officine» massoniche che noi, scrive san Pio X, «conosciamo anche troppo bene». Alla fine, ieri come oggi, il cattolicesimo democratico si riduce a «misero affluente» della Rivoluzione, cioè di quel «grande movimento di apostasia organizzato in ogni paese per stabilire ovunque una Chiesa universale che non avrà né dogmi, né gerarchia, né regole per lo spirito, né freni per le passioni e che, sotto pretesto di libertà e di dignità umana, ricondurrà nel mondo, se questo trionfo fosse possibile, il regno legale dell’inganno e della forza, l’oppressione dei deboli, di coloro che soffrono e che lavorano».