martedì 23 marzo 2010

Don Nitoglia ci dà la sveglia: "Vis unita fit fortior!"



Evitiamo sterili polemiche tra cattolici antimodernisti

●Quando si parla di Vaticano II come inaccettabile e da ri-“gettare”, non si intende inglobare in tale constatazione di eterodossia oggettiva la colpevolezza soggettiva di chi lo ha accolto in buona fede pensando di obbedire, né tanto meno si vuole disprezzare nessuno. Così come, quando si constata la nocività oggettiva del Novus Ordo Missae e la sua abrogabilità, non si vuole minimamente offendere chi lo celebra in buona fede, per ignoranza incolpevole delle carenze dottrinali del Nuovo Rito. “Non sbraniamoci tra noi” (anti-modernisti), ma andiamo a ri-studiare con attenzione il “Breve Esame Critico del Novus Ordo Missae” con la “Lettera di presentazione” dei cardinali ANTONIO BACCI e ALFREDO OTTAVIANI: vi si trovano considerazioni severe sulla sua non ortodossia oggettiva e si chiede al Papa di abrogarlo.

●Non lasciamoci distrarre dalle polemiche che sorsero quando lo si volle imporre e si lasciò ritenere abrogato il Vetus Ordo per un abuso di potere implicitamente riconosciuto come tale anche da Benedetto XVI (7. VII. 2007). Allora (estate 1976) volarono forse anche parole forti, ma pronunciate nel corso di interviste e, soprattutto, ampliate ad arte dalla stampa laicista, senza la possibilità di apportare le dovute distinzioni. Soprattutto non mi sembra corretto mettere in cattiva luce monsignor Marcel Lefebvre, per alcune frasi estrapolate dai suoi sermoni, vedere in lui il “male assoluto”, come pure mi sembra puerile la pretesa di alcuni - per fortuna pochi - “tradizionalisti” di scambiare il “tradizionalismo liturgico stretto” per la Chiesa di Cristo e la Verità assoluta. Anche in questo caso la sana logica condanna il sofisma ex uno disce omnes. Parlare di monsignor Lefebvre come di un “oltranzista, contestatore e spettacolare” non mi pare giusto: chi ha ‘sovvertito, abbattuto o rovesciato’ la liturgia non è stato lui, ma la “riforma liturgica” del Novus Ordo Missae, il quale oggettivamente è “chiassoso” e «si allontana impressionantemente, nel suo insieme come nei particolari, dalla teologia definita dal Concilio di Trento sul Sacrificio della Messa» (“Breve Esame Critico del Novus Ordo Missae”). Il “Breve Esame Critico” fu presentato nel 1969 a Paolo VI dal cardinal Alfredo Ottaviani, che prima lo volle studiare attentamente e lo fece esaminare anche dagli esperti dell’allora S. Uffizio di cui era Prefetto e vi apportò qualche leggera correzione di suo pugno. Ottaviani non era un ‘contestatore sovversivo, distruttore o eversivo’, ma, in quanto Prefetto e custode S. Congregazione che si occupa della Fede cattolica, fece notare - com’era suo dovere - a Paolo VI che la riforma liturgica era oggettivamente eterodossa ed andava abrogata e non promulgata. Paolo VI non rispose, anzi ne anticipò la promulgazione ed ingiunse a monsignor Lefebvre e al suo seminario di celebrare col “Nuovo Rito”, il quale secondo lui aveva abrogato l’Antico. Monsignor Lefebvre osservò semplicemente che la “Fede pregata” o liturgia non può essere abrogata, ma va difesa e che l’atto di Paolo VI era oggettivamente un abuso di potere. Il prelato francese si comportò come S. Paolo, il quale resistette pubblicamente davanti a Pietro “quia reprehensibilis erat” con la differenza che S. Pietro accettò la riprensione di S. Paolo, Paolo VI no. Il “chiasso” o lo “spettacolo” non è stato voluto da monsignor Lefebvre, ma oggettivamente è stato provocato da Paolo VI con l’ingiunzione abusiva di non celebrare più con il Rito tradizionale, bensì con il “Nuovo Rito”, il quale oggettivamente non rispecchia più la Fede cattolica sul S. Sacrificio della Messa.

●Nel sofferto “non possumus” di fronte al “Nuovo Rito della Messa” non vi è alcun disprezzo per le persone e nessun giudizio sul “cuore e le reni” del singolo celebrante, che “solo Dio scruta”, ma unicamente la fedeltà alla “Fede pregata” di sempre. Il cambiamento, lo spettacolo, la contestazione o eversione sono rappresentati oggettivamente dal Concilio Vaticano II, pastorale e innovatore, e dalla liturgia ecumenista semi-protestante alla cui redazione hanno partecipato sei pastori calvinisti, la quale ha portato nel Tempio di Dio il “chiasso” che impedisce la preghiera e il raccoglimento. Queste sono considerazioni oggettive e di buon senso pratico, alle quali non si dovrebbe rispondere con l’accusa di “contestazione/eversione” o con la pretesa di una “continuità” con la Tradizione conclamata ma non provata (cfr. BRUNERO GHERARDINI, Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2009). Neppure si deve vedere in queste considerazioni un rimprovero o una condanna ad personam. Non facciamo il gioco del nemico che vuol dividere per comandare (“divide et impera”), mettendoci gli uni contro gli altri!

●Occorre fare un discorso serio e non pronunciare accuse gratuite, da qualsiasi parte esse vengano. Tutti possiamo sbagliare. Forse anche da parte “tradizionalista” sono state pronunciate parole che hanno potuto essere mal interpretate e sembrare offensive; se è così, ce ne scusiamo. Ma l’importante è non perseverare nell’errore. Si può in alcune cose dissentire da monsignor Lefebvre, però con i dovuti modi, senza linciarlo né idolatrarlo, e soprattutto si deve guardare avanti e cercare oggi di studiare il problema se oggettivamente Concilio e Novus Ordo siano conformi o no alla Traditio Ecclesiae, lasciando da parte vecchie polemiche oramai passate. Monsignor MARIO OLIVERI, Vescovo di Alberga, ha scritto su Studi Cattolici del giugno 2009 un articolo su La riscoperta di Romano Amerio in cui afferma che non è solo lo spirito o l’interpretazione data da alcuni teologi super-progressisti del Concilio a contenere equivoci, ma è la lettera stessa del Concilio ad essere oggettivamente in contraddizione con i Concili dogmatici della Chiesa. Bisogna quindi cercare di conformare il nostro intelletto alla realtà, anche se scomoda, e tentare di far fronte al problema, salva restando la riverenza alla legittima Autorità e la vera carità fraterna “non ficta” tra sacerdoti, la quale non esclude uno scambio di vedute diverse fatto però in maniera corretta. In coertis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas.

●Con il Vaticano II abbiamo assistito, purtroppo, ad un tentativo di protestantizzazione della Chiesa, che 1°) con la “Collegialità” ha fatto proprio l’odio luterano per il primato del Papa; 2°) con la “Libertà religiosa” ha fatto proprio l’odio contro l’unica vera religione fondata da Dio Figlio; 3°) con l’“Ecumenismo” l’odio per la purezza e l’intolleranza dottrinale della Chiesa romana ed infine 4°) con la pseudo-“Riforma liturgica”, elaborata assieme ai calvinisti, ha prodotto un rito oggettivamente ibrido o un incrocio (il Novus Ordo Missae di Paolo VI) tra due riti essenzialmente diversi, quello protestantico e quello cattolico. Si faccia attenzione: durante il Concilio chi voleva contestare l’autorità del Papa erano i progressisti o i ‘periti’ della nouvelle théologie condannati da Pio XII appena dieci anni prima; il “Coetus Internationalis Patrum”, di cui faceva parte monsignor Lefebvre, voleva difenderla e non disobbedire. Purtroppo hanno prevalso i progressisti e la stampa laicista ha presentato al pubblico i “tradizionalisti” come dei ribelli, ma questa non è la realtà e non dobbiamo cadere nella trappola di credere a questa calunnia.

●La protestantizzazione dell’ambiente cattolico è il fine prossimo della rivoluzione nella Chiesa; quello remoto è la giudaizzazione. Infatti, l’ermeneutica luterana porta ad una lettura a-cristiana e filo-giudaizzante della Torà (cfr. J. NEUSNER, Ebrei e cristiani. Il mito di una tradizione comune, [1991], tr. it., Cinisello Balsamo, San Paolo, 2009). Perciò lungi dal cedere al dialogo in posizione di inferiorità o “minoranza-minorata” con i cosiddetti “fratelli maggiori”, dobbiamo rivendicare il valore assoluto, unico e autonomo dell’unico vero cristianesimo, che è quello petrino o romano. Siccome Cristo è Dio, e ce lo ha provato con la sua Risurrezione, il dialogo inter-religioso giudaico-cristiano è un “regredire al talmudismo”, “un’apostasia o incredulità”, in quanto rifiuto implicito di Dio Figlio e quindi di Dio Padre e Spirito Santo, in breve un “tornare al vomito”.

●Sarebbe bene che tutti coloro i quali avversano il neomodernismo, pur con lecite e doverose modalità accidentalmente diverse, mantengano una certa obiettività di giudizio nella comune e sostanziale volontà di difendere la Chiesa e il Papato dagli attacchi dell’eresia modernistica. “Un regno diviso cade in rovina”. Se vogliamo che si ritorni sulla retta strada, non dobbiamo dare il primato alle accidentali diversità (pur se pienamente lecite) di vedute, ma cercare di mantenere una sostanziale unità di dottrina e di lotta. Solo l’errore in materia di fede, di dottrina e di costumi ci obbliga alla denuncia pubblica e alla presa di distanza. Come un esercito ha molteplici corpi, accidentalmente diversi, ma che combattono sostanzialmente uniti la stessa battaglia, così anche noi membri della Chiesa militante. Un marinaio non può dire all’aviatore: Non ho bisogno di te; un carrista non può fare a meno dell’intelligence; così noi cattolici in questa lotta adversus mundi rectores tenebrarum harum, contra spiritualia nequitiae, in coelestibus, non possiamo permetterci il lusso di ‘dividerci’, pur essendo ‘distinti’, ma dobbiamo lottare uniti. Perciò bisogna “distinguere per unire”. Le cinque dita dell’arto umano sono distinte tra loro, ma unite formano una mano; se fossero identiche, la mano sarebbe mostruosa, ma se fossero separate, sarebbero destinate alla cancrena ed alla morte. Ripensiamo all’apologo di Menenio Agrippa sempre attuale ed oggi come non mai. Quindi, né separati né identici o omologati, ma distinti ed uniti. Vis unita fit fortior!.

                                                                                                                                       d. Curzio Nitoglia