domenica 21 marzo 2010

Michael Davies: cambiare il rito per cambiare la fede (6)

Proseguiamo nell'analisi della riforma liturgica anglicana del secolo XVI, lasciandoci aiutare dall'opera di M. Davies, La Riforma Liturgica Anglicana, che attende ancora una pubblicazione in lingua italiana, dopo le sei edizioni in lingua inglese e quella in lingua francese. Tale opera è fondamentale se si vuole documentare come il Protestantesimo e l'eresia siano entrati nel cattolicesimo inglese non innanzitutto con una predicazione esplicita, ma attraverso una serie di modifiche della liturgia, soprattutto della santa Messa, che da principio non avevano un aspetto formalmente eretico, cioè contrario alla retta fede cattolica, ma che tacendo volutamente su aspetti essenziali della fede (la Messa come Sacrificio propiziatorio, la Transustanziazione, ecc...) di fatto favoriva la nascita di una nuova religione, l'anglicanesimo. La furbizia con cui si procedette ad un lento e progressivo smantellamento del cattolicesimo nei suoi riti, ingannò molti (più sacerdoti che laici)... pensavano di rimanere sostanzialmente cattolici, pur cambiando qualcosa nella Messa, e si ritrovarono alla sera della vita protestanti. Tutto questo deve certamente farci riflettere e mantenerci vigilanti... per non accogliere mai nella liturgia qualcosa di dubbioso, anche se accompagnato dalla scusa di un adattamento ai tempi. Ci furono delle misure preparatorie alla modifica del rito della messa, alcune le abbiamo già accennate: la sostituzione degli altari con delle tavole, l'abbandono della lingua latina, il vietare la preghiera del canone sottovoce. Proseguiamo considerando un'altra di queste misure preparatorie…
Nostra Signora di Walsingham


La distruzione delle immagini

Nel 1536 e 1538, sotto il regno di Enrico VIII, Cranmer era riuscito ad ottenere la promulgazione di ingiunzioni tendenti a tagliare corto con ciò che considerava “superstizione e ipocrisia”. Il suo desiderio era di proscrivere interamente le immagini; ma siccome sapeva che questo non poteva essere ottenuto fin quando Enrico fosse stato re, dovette accontentarsi di sottolineare che le immagini non erano legittime che in quanto richiamo ai santi che rappresentavano, cosa che è perfettamente conforme alla sana dottrina cattolica.

Con le ingiunzioni del 1538, giunse a fare un nuovo passo e dichiarò che là dove le devozioni erano occasione di superstizione, le casse, statue, quadri e reliquie dovevano essere distrutte puramente e semplicemente, questo, ben inteso, in nome del re, che, “vegliando con bontà al bene delle anime e dei suoi sudditi, ha già acconsentito alla distruzione di una parte di queste immagini, e che vi si consacrerà ancora più in futuro, perché esse potrebbero essere l’occasione di una gravissima offesa fatta a Dio e di un gravissimo danno per le anime dei suoi affezionati sudditi” (P. Hughes, The Reformation in England, Londra 1950, t. I. p. 361).

“Il governo reale fece comprendere più chiaramente possibile il senso di questa ingiunzione facendo distruggere, in quell’estate, dei santuari che costituivano da secoli dei luoghi di pellegrinaggio “internazionali”; fu il caso, per esempio, di Nostra Signora di Walsingham, nella diocesi di Norfolk, e di San Tommaso a Canterbury. Si portarono via da quest’ultimo delle carrettate intere piene di oro, argento, gioielli, drappi preziosi, che presero la direzione del Tesoro reale, mentre si bruciavano le reliquie del santo. Il più magnifico gioiello allora conosciuto, il grande rubino di Francia, era stato donato al santuario dal re di Francia contemporaneo di San Tommaso (Luigi VII). Enrico VIII se ne impadronì; incastonato in un anello, ornò da allora la sua mano sacrilega” (P. Hughes, The Reformation: A Popular History, Londra 1957, p. 211). Le ingiunzioni non vietavano solo i pellegrinaggi, ma anche una delle manifestazioni più diffuse della pietà popolare: l’usanza di fare bruciare delle candele di devozione davanti alle statue. Le candele furono ancora autorizzate al jubé, davanti al SS. Sacramento e al Sepolcro di Pasqua.

A dispetto della distruzione dei principali santuari, le ingiunzioni non furono affatto rispettate, in particolare nell’Ovest del paese, dove, è riportato, “all’ovest di Sarum (Salisbury), non si tiene conto alcuno delle ingiunzioni “ (E. Duffy, The Stripping of the Altars, New Haven, Connecticut, 1992, p. 410). Nel novembre 1538, Enrico pubblicò un proclama che fu a colpo sicuro un incoraggiamento per i preti che desideravano conservare le immagini e le statue nelle loro chiese: questo proclama condannava coloro che tentavano di abolire le usanze e le cerimonie religiose tradizionali “senza attendere il momento in cui Sua Maestà le modificherà o le abrogherà” (Ibid., p. 411). Ecco cosa spiega perché la maggioranza delle immagini, che si trattasse di statue, di vetrate, di pitture murali, erano ancora al proprio posto all’avvento di Edoardo VI. Era qualcosa che Cranmer non poteva tollerare. Il suo obiettivo e quello dei suoi soci riformatori del Consiglio e dell’episcopato è molto bene riassunto dal Dr. Eamon Duffy: “Nel cuore della riforma del re Edoardo, c’era la necessità di distruggere, di rompere, di martellare, di grattare o di fondere in un oblìo ampiamente meritato i monumenti del papismo, in modo che fossero dimenticate le dottrine di cui erano l’espressione.

L’iconoclastia fu il principale sacramento della Riforma, e come, tra il 1547 e il 1553, il programma dei suoi capi si fece più radicale, si sforzarono con una accresciuta insistenza di fare celebrare questo sacramento dell’oblìo in ciascuna delle parrocchie del paese. I resoconti dei fabbriceri dell’epoca si fecero l’eco di una eliminazione generale delle immagini, degli ornamenti liturgici, dei vasi sacri che avevano suscitato la meraviglia dei visitatori stranieri, e nei quali era, nel senso letterale della parola, incastonata la memoria collettiva delle parrocchie” (Ibid., p. 480).

Nel luglio 1547 è promulgata una serie di ingiunzioni sulle questioni religiose, redatte “conformemente al parere di diversi vescovi e altri, uomini i più istruiti del regno” (F. Gasquet e H. Bishop, Edward VI and the Book of Common Prayer, Londra 1890, p. 52). Sembravano non essere che una semplice ripetizione delle ingiunzioni imposte nel 1536 e 1538 sotto il regno di Enrico VIII, ma esse le sorpassavano vietando tutti i pellegrinaggi, senza limitarsi a quelli che “erano dei centri ei eccessi superstiziosi.
Le immagini che erano oggetto di deviazioni superstiziose dovevano essere tolte ed era vietato accendere le candele davanti a qualunque statua, cosa che lascia supporre che lo stesso ordine, già espresso nelle ingiunzioni del 1538, era stato larghissimamente ignorato. Alla messa grande, bisognava leggere l’epistola e il vangelo in inglese; la recita del rosario era condannata e tutte le processioni erano vietate, fossero all’interno o all’esterno della chiesa, compresa la processione del Corpus Domini e quella dei tre giorni delle Rogazioni. “Proscrivendo le processioni della domenica, questa ingiunzione colpiva al cuore una delle principali espressioni della religione delle comunità medioevali e uno dei tratti più caratteristici del culto parrocchiale in Inghilterra” (E. Duffy, p. 452).

Una visita destinata a fare applicare queste ingiunzioni iniziò nel settembre 1547, e non terminò che l’anno seguente. Nel febbraio 1548, il Consiglio notò che si era vista sollevarsi una viva resistenza ed una forte opposizione all’ingiunzione che prescriveva l’eliminazione delle “immagini disonorate con dei pellegrinaggi, delle offerte, delle incensazioni”. Il Consiglio affermava “che non esiste quasi nessuna parte del regno dove la tranquillità sia assicurata, ad eccezione dei luoghi dove le immagini sono state già interamente tolte e distrutte” (F. Gasquet e H. Bishop, p. 101). Il Consiglio ordinava la distruzione completa di tutti i reliquiari, quadri, vetrate evocanti episodi della vita dei santi, della Scrittura o della storia religiosa, “in modo che non ne resti alcuno ricordo sulle pareti, le finestre né in alcun altro luogo, che sia nelle loro chiese o nelle loro case; e (il clero) vigilerà ad esortare tutti i parrocchiani a fare lo stesso ciascuno nella propria abitazione” (P.Hughes, The Reformation in England, t. II, p. 94). Distruggendo a tal punto il patrimonio non rimpiazzabile e di un valore inestimabile di vetreria medioevale, gli iconoclasti inglesi superarono anche il fanatismo dei loro omologhi nella Zurigo di Zwingli, che autorizzarono la conservazione delle vetrate (E. Duffy, p.451).

Pensiamo a certe architetture moderne di chiese, dove c'è posto per un'infinità di sedie (per fare comunità), dove le vetrate sono ammesse solo per dare “sciabolate di luce” senza portare alcuna immagine, dove la struttura architettonica non sopporta alcuna immagine di santi, dove la statua della Vergine Maria, se c'è, è collocata a fatica... è come se ci fosse un rifiuto implicito dell'Incarnazione, della Rivelazione: Dio si è rivelato, Dio si è fatto uomo, Dio si è manifestato; e la Chiesa prolunga nel tempo questa manifestazione anche nella sua arte sacra, con il culto delle immagini.

continua...