lunedì 22 marzo 2010

Torniamo alla tradizione, sarà un progresso


Pubblichiamo l'intervista al teologo e liturgista, don Nicola Bux realizzata recentemente da Antonio Gaspari per www.zenit.org.  Non più solo grande prudenza ma anche una certa audacia: si tratta di un vero auspicio per un "giro di boa della storia della Chiesa"? Vedremo...


Nel luglio del 2007 con il Motu Proprio "Summorum Pontificum" il Pontefice Benedetto XVI ha ripristinato la celebrazione della Messa in latino. L’evento ha suscitato scalpore. Si sono levate vibranti voci di protesta, ma anche coraggiose acclamazioni.
Per spiegare il senso e la pratica delle riforma liturgica di Benedetto XVI, don Nicola Bux, sacerdote, esperto di liturgia orientale e consultore dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice, ha pubblicato il libro “La riforma di Benedetto XVI. La liturgia tra innovazione e tradizione” (Piemme, Casale Monferrato 2008), con prefazione di Vittorio Messori. Nel libro don Nicola spiega come la ripresa del rito latino non sia un passo indietro, un ritorno ai tempi precedenti il Concilio Vaticano II, bensì un guardare avanti, riprendendo dalla tradizione passata quanto di più bello e significativo essa può offrire alla vita presente della Chiesa. Secondo don Bux quello che il Pontefice vuol fare nella sua paziente opera di riforma è rinnovare la vita del cristiano, i gesti, le parole, il tempo del quotidiano restaurando nella liturgia un sapiente equilibrio tra innovazione e tradizione. Facendo con ciò emergere l’immagine di una Chiesa sempre in cammino, capace di riflettere su se stessa e di valorizzare i tesori di cui è ricco il suo scrigno millenario. Per cercare di approfondire il significato ed il senso della Liturgia, i suoi cambiamenti, il rapporto con la tradizione e il mistero del linguaggio con Dio, ZENIT ha intervistato don Nicola Bux.

Che cos’è la liturgia e perché è così importante per la Chiesa e per il popolo cristiano?

Bux: La sacra liturgia è il tempo e il luogo in cui sicuramente Dio si fa incontro all’uomo. Pertanto il metodo per entrare in rapporto con lui è proprio quello di rendergli culto: egli ci parla e noi gli rispondiamo; gli rendiamo grazie ed egli si comunica a noi. Il culto, dal latino colere, coltivare un rapporto importante, appartiene al senso religioso dell’uomo, in ogni religione sin dai primordi.
Per il popolo cristiano, la sacra liturgia e il culto divino attuano dunque il rapporto con quanto ha di più caro, Gesù Cristo Dio – l’attributo sacra significa che in essa tocchiamo la sua presenza divina. Per questo la liturgia è la realtà e “attività” più importante per la Chiesa

In che cosa consiste la riforma di Benedetto XVI e perché ha suscitato tanto scalpore?

Bux: La riforma della liturgia, termine da intendere secondo la Costituzione liturgica del Concilio Vaticano II, come instauratio ossia ristabilimento al posto giusto nella vita ecclesiale, non comincia con Benedetto XVI ma con la storia stessa della Chiesa, dagli apostoli all’epoca dei martiri con papa Damaso fino a Gregorio Magno, da Pio V e Pio X a Pio XII e Paolo VI. La instauratio è continua, perché il rischio che la liturgia decada dal suo posto, che è quello di essere sorgente della vita cristiana c’è sempre; la decadenza avviene quando si sottomette il culto divino al sentimentalismo e all’attivismo personali di chierici e laici, che penetrando in esso lo trasformano in opera umana e intrattenimento spettacolare: un sintomo oggi è dato dall’applauso in chiesa che sottolinea indistintamente il battesimo di un neonato e l’uscita di una bara dal funerale. Una liturgia diventata intrattenimento, non necessita di riforma? Ecco quanto Benedetto XVI sta facendo: l’emblema della sua opera riformatrice rimarrà il ristabilimento della Croce al centro dell’altare al fine di far comprendere che la liturgia è rivolta al Signore e non all’uomo, ancorché ministro sacro. Lo scalpore c’è sempre ad ogni giro di boa della storia della Chiesa, ma non bisogna impressionarsi.

Quali sono le differenze tra i cosiddetti innovatori e i tradizionalisti?

Bux: Questi due termini vanno chiariti in premessa. Se innovare significa favorire l’instauratio di cui parlavo, è proprio quella di cui c’è bisogno; come pure, se traditio significa custodire il deposito rivelato sedimentato anche nella liturgia. Se invece innovare volesse dire trasformare la liturgia da opera di Dio ad azione umana, oscillando tra un gusto arcaico che ne vuole conservare solo gli aspetti che aggradano e un conformismo alla moda del momento, andiamo fuori strada; o al contrario, essere conservatori di tradizioni meramente umane che si sono sovrapposte a mo’ di incrostazione sul dipinto non facendo più cogliere l’armonia dell’insieme. In realtà i due opposti finiscono per coincidere e rivelare la contraddizione. Un esempio: gli innovatori sostengono che la Messa in antico era celebrata rivolta al popolo. Gli studi dimostrano il contrario: l’orientamento ad Deum, ad Orientem, è quello proprio del culto dell’uomo a Dio. Si pensi all’ebraismo. Ancora oggi tutte le liturgie orientali lo conservano. Come mai gli innovatori, amanti del ripristino degli elementi antichi nella liturgia postconciliare non l’hanno conservato?

Che significato ha la tradizione nella storia e nella fede cristiana?

Bux: La tradizione è una delle due fonti della Rivelazione: la liturgia, come dice il Catechismo della Chiesa Cattolica (1124), ne è elemento costitutivo. Benedetto XVI nel libro Gesù di Nazaret, ricorda che la Rivelazione si è fatta liturgia. Poi ci sono le tradizioni di fede, di cultura, di pietà che sono entrate e hanno rivestito la liturgia, sì che oggi conosciamo varie forme di riti in Oriente e in Occidente. Tutti comprendono quindi perché la Costituzione liturgica, dopo aver ricordato che solo la Santa Sede è l’autorità competente a regolare la sacra liturgia, al n 22, § 3 affermi perentoriamente: “nessun’altro, assolutamente, anche se sacerdote, osi, di sua iniziativa, aggiungere, togliere o mutare alcunché in materia liturgica”.

Sarebbe possibile secondo lei tornare oggi alla messa in latino?

Bux: Il Messale Romano rinnovato da Paolo VI è in latino e costituisce l’edizione cosiddetta tipica, perché ad essa devono far riferimento le edizioni in lingua corrente curate dalle Conferenze Episcopali nazionali e territoriali, approvate dalla Santa Sede. Pertanto, la Messa in latino s’è continuata a celebrare anche col nuovo Ordo, sebbene raramente. Ciò ha finito per contribuire all’impossibilità per un’assemblea composita di lingue e nazioni, di partecipare ad una Messa celebrata nella lingua sacra universale della Chiesa Cattolica di rito latino. Così, al suo posto sono nate le cosiddette Messe internazionali, celebrate in modo che le parti di cui si compone la Santa Messa, si recitino o cantino in più lingue; così ciascun gruppo capisce solo la sua!
Si era sostenuto che il latino non lo capiva nessuno; ora, se la Messa in un santuario è celebrata in quattro lingue, ciascun gruppo finisce per comprenderne solo un quarto. A parte altre considerazioni, come ha auspicato il Sinodo del 2005 sull’Eucaristia, si deve tornare alla Messa in latino: almeno una domenicale nelle cattedrali e nelle parrocchie. Ciò aiuterà, nella conclamata società multiculturale odierna, a recuperare la partecipazione cattolica sia quanto al sentirsi Chiesa universale, sia quanto al radunarsi insieme ad altri popoli e nazioni che compongono l’unica Chiesa. I cristiani orientali, pur dando spazio alle lingue nazionali, hanno conservato il greco e lo slavo ecclesiastico nelle parti più importanti della liturgia come l’anafora e le processioni con le antifone per il Vangelo e l’Offertorio.
A instaurare tutto ciò contribuisce sommamente l’antico Ordo del Messale Romano anteriore, ripristinato da Benedetto XVI col Motu proprio Summorum Pontificum, che, semplificando, viene chiamata Messa in latino: in realtà è la Messa di S. Gregorio Magno, in quanto la sua struttura portante risale all’epoca di quel Pontefice ed è rimasta intatta attraverso le aggiunte e semplificazioni di Pio V e degli altri pontefici fino a Giovanni XXIII. I padri del Vaticano II l’hanno celebrata quotidianamente senza avvertire alcun contrasto con l’aggiornamento che stavano compiendo.

Il Pontefice Benedetto XVI ha sollevato il problema degli abusi liturgici. Di che cosa si tratta?

Bux: Per la verità, il primo a lamentare le manomissioni nella liturgia fu Paolo VI, a pochi anni dalla pubblicazione del Messale Romano nell’udienza generale del 22 agosto 1973. Paolo VI poi, era convinto che la riforma liturgica attuata dopo il Concilio, veramente avesse introdotto e sostenuto fermamente le indicazioni della Costituzione liturgica (discorso al sacro collegio del 22 giugno 1973). Ma la sperimentazione arbitraria continuava e acuiva all’opposto la nostalgia dell’antico rito. Il Papa nel concistoro del 27 giugno 1977 ammoniva “i contestatori” per le improvvisazioni, banalità, leggerezze e profanazioni, chiedendo loro severamente di attenersi alla norma stabilita per non compromettere la regula fidei, il domma, la disciplina ecclesiastica, lex credendi e orandi; nonché i tradizionalisti, perché riconoscessero l’“accidentalità” (!!!)  delle modifiche introdotte nei sacri riti.
Nel 1975, la bolla Apostolorum Limina di Paolo VI per l’indizione dell’anno santo, a proposito del rinnovamento liturgico aveva annotato: “Noi stimiamo estremamente opportuno che questa opera sia riesaminata e riceva nuovi sviluppi, di modo che, basandosi su ciò che è stato fermamente confermato dall’autorità della Chiesa, si possa vedere ovunque quelle che sono veramente valide e legittime e continuarne l’applicazione con zelo ancora maggiore, secondo le norme e i metodi consigliati dalla prudenza pastorale e da una vera pietà”.
Tralascio le denunce di abusi e ombre nella liturgia da parte di Giovanni Paolo II in più occasioni, in particolare nella Lettera Vicesimus quintus annus dall’entrata in vigore della Costituzione liturgica. Benedetto XVI, quindi, ha inteso riesaminare e dare nuovo impulso proprio aprendo una finestra col Motu proprio, affinché pian piano cambi l’aria e riporti sul giusto binario quanto è andato oltre l’intenzione e la lettera del Concilio Vaticano II in continuità con l’intera tradizione della Chiesa.

Lei ha più volte affermato che in una corretta liturgia bisogna rispettare i diritti di Dio. Ci spiega cosa intende sostenere?

Bux: La liturgia, termine che in greco indica l’azione rituale di un popolo che celebra, per esempio, i suoi fasti, come avveniva ad Atene o come avviene ancora oggi per l’inaugurazione delle Olimpiadi o altre manifestazioni civili, evidentemente è prodotta dall’uomo. La sacra liturgia, reca questo attributo, perché non è a nostra immagine – in tal caso il culto sarebbe idolatrico, cioè creato dalle nostre mani – ma è fatta dal Signore onnipotente: nell’Antico Testamento, con la sua presenza indicava a Mosè come doveva predisporre nei minimi particolari il culto al Dio unico e vero insieme al fratello Aronne. Nel Nuovo Testamento, Gesù ha fatto altrettanto nel difendere il vero culto cacciando i mercanti dal Tempio e dando agli Apostoli le disposizioni per la Cena pasquale. La tradizione apostolica ha recepito e rilanciato il mandato di Gesù Cristo. Dunque, la liturgia è sacra, come dice l’Occidente, e divina, come dice l’Oriente, perché istituita da Dio. San Benedetto la definisce Opus Dei, opera di Dio, a cui nulla va anteposto. Proprio la funzione mediatrice tra Dio e l’uomo propria del sommo sacerdozio di Cristo, ed esercitata nella e con la liturgia dal sacerdote ministro della Chiesa, sta ad attestare che la liturgia discende dal cielo, come dice la liturgia bizantina in base all’immagine dell’Apocalisse. E’ Dio che la stabilisce e quindi indica come lo si deve “adorare in spirito e verità”, cioè in Gesù Figlio suo e nello Spirito Santo. Egli ha il diritto di essere adorato come Lui vuole.
Su tutto questo è necessaria una profonda riflessione, in quanto la sua dimenticanza è all’origine degli abusi e delle profanazioni, già descritte egregiamente nel 2004 dall’Istruzione Redemptionis Sacramentum della Congregazione per il Culto Divino. Il recupero dello Ius divinum nella liturgia, contribuisce molto a rispettarla come cosa sacra, come prescrivevano le rubriche; ma anche le nuove devono tornare ad essere seguite con spirito di devozione e obbedienza da parte dei ministri sacri ad edificazione di tutti i fedeli e per aiutare tanti che cercano Dio a incontrarlo vivo e vero nel culto divino della Chiesa. I vescovi, i sacerdoti e i seminaristi tornino ad imparare e ad eseguire i sacri riti con tale spirito e contribuiranno alla vera riforma voluta dal Vaticano II e soprattutto a ravvivare la fede che, come ha scritto il Santo Padre nella Lettera ai Vescovi del 10 marzo 2009, rischia di spegnersi in tante parti del mondo.