di Mons. Athanasius Schneider
L'attuale situazione di crisi senza precedenti della Chiesa è paragonabile con la crisi generale nel 4° secolo, quando l'arianesimo aveva contaminato la stragrande maggioranza dell'episcopato, assumendo una posizione dominante nella vita della Chiesa. Dobbiamo cercare di affrontare questa attuale situazione da un lato con realismo e, dall'altro, con uno spirito soprannaturale - con un profondo amore per la Chiesa, nostra madre, che soffre la Passione di Cristo a causa di questa tremenda e generale confusione dottrinale, liturgica e pastorale.
Dobbiamo rinnovare la nostra fede nel credere che la Chiesa è nelle mani sicure di Cristo e che Egli interviene sempre per rinnovarla nei momenti in cui la barca della Chiesa sembra capovolgersi, come nel caso evidente dei nostri giorni.
Per ciò che concerne l'atteggiamento verso il Concilio Vaticano II, dobbiamo evitare due estremi: un rifiuto completo (come i sedevacantisti e una parte della Fraternità di San Pio X - FSSPX) o una "infallibilizzazione" di tutto ciò che il Concilio ha detto.
Il Vaticano II era un'assemblea legittima presieduta dai Papi e dobbiamo mantenere verso questo Concilio un atteggiamento rispettoso. Tuttavia, ciò non significa che ci sia proibito esprimere fondati dubbi o rispettosi suggerimenti di miglioramento su alcuni elementi specifici, non senza fondarli sulla intera tradizione della Chiesa e sul Magistero costante.
Le dichiarazioni dottrinali tradizionali e costanti del Magistero nel corso dei secoli hanno la precedenza e costituiscono un criterio di verifica sull'esattezza delle dichiarazioni magisteriali posteriori. Le nuove affermazioni del Magistero devono in linea di principio essere più esatte e più chiare, ma non dovrebbero mai essere ambigue e visibilmente contrastanti con precedenti dichiarazioni magisteriali.
Le affermazioni del Vaticano II che risultino ambigue devono essere lette e interpretate secondo le affermazioni di tutta la Tradizione e del Magistero costante della Chiesa.
In caso di dubbio, le affermazioni del Magistero costante (i precedenti concili e documenti dei Papi, il cui contenuto si dimostra una tradizione sicura e ripetuta nei secoli nello stesso senso) prevalgono su quelle dichiarazioni oggettivamente ambigue o nuove del Vaticano II, che difficilmente concordano con specifiche affermazioni del magistero costante e precedente (ad esempio, il dovere dello stato di venerare pubblicamente Cristo, re di tutte le società umane; il vero senso della collegialità episcopale rispetto al primato petrino e al governo universale della Chiesa; la dannosità di tutte le religioni non cattoliche e la loro pericolosità per l'eterna salvezza delle anime).
Il Vaticano II deve essere visto e ricevuto come è e come era veramente: un concilio prevalentemente pastorale. Questo concilio non aveva l'intenzione di proporre nuove dottrine o di proporle in forma definitiva. Nelle sue dichiarazioni il concilio ha confermato in gran parte la dottrina tradizionale e costante della Chiesa.
Alcune delle nuove dichiarazioni del Vaticano II (ad es. Collegialità; libertà religiosa; dialogo ecumenico e interreligioso; atteggiamento verso il mondo), che non hanno un carattere definitivo e sono apparentemente o realmente non concordanti con le dichiarazioni tradizionali e costanti del Magistero, devono essere completate da spiegazioni più esatte e da integrazioni più precise di carattere dottrinale. Non aiuta neppure un'applicazione cieca del principio dell'ermeneutica della continuità, dal momento che vengono create interpretazioni forzate, che non sono convincenti e che non sono utili per giungere ad una più chiara comprensione delle immutabili verità della fede cattolica e della sua concreta applicazione.
Ci sono stati casi nella storia in cui le dichiarazioni non definitive di alcuni concili ecumenici - grazie a un dibattito teologico sereno - sono state successivamente perfezionate o tacitamente corrette (ad esempio le affermazioni del Concilio di Firenze riguardo al sacramento dell'Ordine, nel senso che la materia era la consegna degli strumenti, mentre la tradizione più sicura e costante affermava che era adeguata l'imposizione delle mani del vescovo : verità, questa, confermata definitivamente da Pio XII nel 1947). Se dopo il Concilio di Firenze i teologi avessero applicato ciecamente il principio dell'ermeneutica della continuità a questa dichiarazione concreta dello stesso concilio - una dichiarazione oggettivamente errata, che difendeva la tesi secondo cui la consegna degli strumenti in quanto materia del Sacramento dell'Ordine concorderebbe col magistero costante - probabilmente non sarebbe stato raggiunto il consenso generale dei teologi su quella verità che afferma che solo l'imposizione delle mani del vescovo è materia reale del Sacramento dell'Ordine.
Occorre creare nella Chiesa un clima sereno per una discussione dottrinale su quelle affermazioni del Vaticano II che risultano ambigue o che hanno causato interpretazioni erronee. In una simile discussione dottrinale non c'è nulla di scandaloso, ma al contrario, sarebbe un contributo per custodire e spiegare in modo più sicuro e completo il deposito della fede immutabile della Chiesa.
Non si deve evidenziare tanto un certo concilio, assolutizzandolo o avvicinandolo in realtà alla Parola di Dio orale (Sacra Tradizione) o scritta (Sacra Scrittura). Il Vaticano II stesso ha giustamente affermato (cfr Dei Verbum, 10) che il Magistero (Papa, Concilio, magistero ordinario e universale) non è al di sopra della Parola di Dio, ma sotto di essa, soggetto ad essa, e che è solo servo (della parola orale di Dio = tradizione sacra e della Parola scritta di Dio = Sacra Scrittura).
Da un punto di vista oggettivo, le affermazioni del Magistero (papi e concili) di carattere definitivo hanno più valore e peso rispetto alle dichiarazioni di carattere pastorale, che hanno naturalmente una qualità variabile e temporanea a seconda delle circostanze storiche o che rispondono a situazioni pastorali di un certo periodo di tempo, come avviene per la maggior parte delle affermazioni del Vaticano II.
Il contributo originale e prezioso del Vaticano II consiste nella chiamata universale alla santità di tutti i membri della Chiesa (cap. 5 della Lumen gentium); nella dottrina sul ruolo centrale della Madonna nella vita della Chiesa (cap. 8 della Lumen gentium); nell'importanza dei fedeli laici nel mantenere, difendere e promuovere la fede cattolica e nel loro dovere di evangelizzare e santificare le realtà temporali secondo il senso perenne della Chiesa (cap. 4 della Lumen gentium ); nel primato dell'adorazione di Dio nella vita della Chiesa e nella celebrazione della liturgia (Sacrosanctum Concilium , nn 2, 5-10). Il resto si può considerare in una certa misura secondario, temporaneo e, in futuro, probabilmente dimenticabile, al pari delle asserzioni non-definitive, pastorali e disciplinari dei vari concili ecumenici di passato.
Le seguenti questioni: la Madonna, la santificazione della vita personale dei fedeli con la santificazione del mondo secondo il perenne senso della Chiesa e il primato dell'adorazione di Dio, sono gli aspetti più urgenti che devono essere vissuti nei nostri giorni. Il Vaticano II ha un ruolo profetico che, purtroppo, non è ancora realizzato in modo soddisfacente.
Invece di vivere questi quattro aspetti, una considerevole parte della "nomenclatura" teologica e amministrativa nella vita della Chiesa, negli ultimi 50 anni ha promosso e ancora promuove dottrine ambigue, pastorali e liturgiche, distorcendo così l'intenzione originaria del Concilio o abusando delle dichiarazioni dottrinali meno chiare o ambigue per creare un'altra chiesa - una chiesa di tipo relativista o protestante.
Nei nostri giorni stiamo vivendo il culmine di questo sviluppo.
Il problema della crisi attuale della Chiesa consiste in parte nel fatto che alcune affermazioni del Vaticano II - oggettivamente ambigue o quelle poche dichiarazioni difficilmente concordanti con la costante tradizione magisteriale della Chiesa - sono state infallibilizzate. In questo modo è stato bloccato un sano dibattito con la necessaria correzione implicita o tacita.
Allo stesso tempo si è dato l'incentivo di creare affermazioni teologiche in contrasto con la tradizione perenne (ad esempio, per quanto riguarda la nuova teoria di un ordinario doppio supremo soggetto del governo della Chiesa, vale a dire il papa da solo e l'intero collegio episcopale insieme al Papa; la dottrina della neutralità dello Stato verso il culto pubblico da attribuirsi al vero Dio, che è Gesù Cristo, re anche di ogni società umana e politica; la relativizzazione della verità che la Chiesa cattolica è l'unico modo di salvezza, voluto e comandato da Dio).
Dobbiamo liberarci dalle catene dell'assolutizzazione e della totale infallibilizzazione del Vaticano II. Dobbiamo chiedere un clima di sereno e rispettoso dibattito frutto di un sincero amore per la Chiesa e per la sua fede immutabile.
Possiamo vedere un'indicazione positiva nel fatto che il 2 agosto 2012 Papa Benedetto XVI ha scritto una prefazione al volume relativo a Vaticano II nell'edizione della sua
opera omnia. [
vedi] In questa prefazione, Benedetto XVI esprime le sue riserve riguardo a contenuti specifici nei documenti
Gaudium et spes e
Nostra aetate. Dal tenore di queste parole di Benedetto XVI si può vedere che i difetti concreti in alcune sezioni dei documenti non sono migliorabili dall'
ermeneutica della continuità.
Una FSSPX, pienamente integrata canonicamente nella vita della Chiesa, potrebbe dare anch'essa un prezioso contributo a questo dibattito - come desiderava l'Arcivescovo Marcel Lefebvre. La presenza assolutamente canonica della FSSPX nella vita della Chiesa di oggi potrebbe anche contribuire a creare un clima generale di discussione costruttiva, affinché ciò che è stato creduto sempre, ovunque e da tutti i cattolici per 2.000 anni, sia creduto in modo più chiaro e più sicuro nei nostri giorni, realizzando così la vera intenzione pastorale dei Padri del Concilio Vaticano II.[2]
L'autentica intenzione pastorale mira all'eterna salvezza delle anime - una salvezza che si realizzerà solo attraverso la proclamazione dell'intera volontà di Dio (cfr Atti 20: 7). L'ambiguità nella dottrina della fede e nella sua applicazione concreta (nella liturgia e nella vita pastorale) minaccia l'eterna salvezza delle anime e sarebbe quindi anti-pastorale, poiché l'annuncio della chiarezza e dell'integrità della fede cattolica e la sua fedele applicazione concreta è volontà esplicita di Dio.
Solo la perfetta obbedienza alla volontà di Dio - Che ci ha rivelato attraverso Cristo il Verbo Incarnato e attraverso gli Apostoli la vera fede, la fede interpretata e praticata costantemente nello stesso senso dal Magistero della Chiesa -, porterà la salvezza delle anime .
+ Athanasius Schneider,
Vescovo ausiliare dell'Arcidiocesi di Maria Santissima a Astana, Kazakistan
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1. Note di Chiesa e post-concilio
“Non so se proprio tutt’i Padri conciliari se ne rendessero conto, ma, obiettivamente parlando, il loro strappo dalla secolare mentalità che, fin a quel momento, aveva espresso la motivazione di fondo della vita, della preghiera, dell’insegnamento e del governo della Chiesa, stava riproponendo la mentalità modernista, contro la quale san Pio X aveva preso netta posizione nell’intento di «ricentrare tutto in Cristo» (
Ef 1,10). Anche questo, questo anzi in modo particolare, è
gegen-Geist ”. [...] “quanto al Vaticano II, sarebbe assurdo negargli il carattere di magistero conciliare, quindi solenne, non ordinario, perché in tal caso si negherebbe il Concilio stesso. Occorre, tuttavia, distinguere la qualità dei suoi documenti, perché il carattere solenne del loro insegnamento né li mette tutti su un piano di pari importanza, né comporta sempre di per sé la loro validità dogmatica e quindi infallibile ”. [...] “In pratica, in nessuna delle sue quattro Costituzioni il Vaticano II «definisce come obbliganti per tutta la Chiesa» i propri pronunciamenti dottrinali; in questi è senz’alcun dubbio assente l’intento dogmatico-definitorio che dovrebbe renderli tali, mancando come dottrina propria e specifica del Vaticano II «la materia trattata e la maniera di trattarla». Per contro, soprattutto nella
Lumen gentium e qua e là anche altrove, alcune formule classiche, inserite come massi erratici in contesti sicuramente non dogmatici, riecheggiano la modalità dogmatica del precedente Magistero: «Insegniamo, questo Santo Sinodo insegna, proclamiamo». Forse che, con un modo d’esprimersi come questo, il Vaticano II si contraddice? Sicuramente no. Si tratta, infatti, di far capire anche ai non addetti ai lavori che, nonostante tutto, si è dinanzi ad un dettato conciliare, proveniente dal Magistero supremo, da «accoglier e ritenere secondo lo spirito del Concilio stesso». [...] Quanto alle formule di tipo classico presenti nei documenti conciliari e poco sopra rievocate, va tenuto presente ch’esse: – tentano la saldatura del Vaticano II con il Magistero conciliare precedente; – non effettuano la canalizzazione di nuove definizioni e nuovi dogmi nel patrimonio della Fede cattolica; – o più semplicemente riflettono sul Vaticano II una classica tonalità conciliare in funzione promozionale della sua qualità conciliare.” (Brunero Gherardini,
Concilio Vaticano II. Il discorso mancato Lindau, 2011) - [vedi anche
qui e
qui]
2. Manca la distinzione tra la maggioranza dei Padri conciliari e la 'fronda' [
vedi] che ha creato il cambiamento di rotta rispetto agli schemi preparatori e ha più o meno subdolamente influito sull'impianto ambiguo e 'novatore' dei singoli documenti, le cui conseguenze non erano immediatamente deducibili. Il che, del resto è stato ben documentato anche da Roberto de Mattei : I
l Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, Lindau, Torino 2010 [
vedi]
Fonte
Rorate Caeli - Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio